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La scoperta dell'Italia
Un viaggio nella lentezza. “Impossibile,
dirà qualcuno. Invece no. Provate a viaggiare da soli, senza navigatori, senza
un passeggero accanto. Lontano dalle autostrade vi toccherà fare il punto quasi
a ogni bivio. La mia andatura è, letteralmente, a singhiozzo. Sosta per controllare
il radiatore, sosta per buttare giù due appunti, sosta per chiedere la
strada, sosta per controllare le carte,
sosta per scattare una foto, Tranne un solo giorno, non ho mai superato la
quantità percorsa da una diligenza, un
corriere Inca, o un messo a cavallo del sultano di Costantinopoli”.
È una vera e propria scoperta dell’Italia
che Rumiz faceva una quindicina d’anni fa. Sulla traccia, forse inavvertita, di Pasolini: “I borghi
abbandonati degli Appennini e le Prealpi” sono di Pasolini-Orson Welles,
“La ricotta”, 1963. Su una Topolino del 1955, come una
volta si sarebbe fatto a dorso di mulo, invece che a cavallo: un viaggio nella
lentezza. La scoperta dell’Italia nascosta, rimossa – “un Pianeta del Silenzio”.
Come succede nelle famiglie che si vergognano di qualcosa. Della montagna: le
Alpi e gli Appennini. Secondo un itinerario, affisso in esergo, dettagliato,
come Rumiz usa prima di mettersi in moto, posto per posto, con dati e curiosità
– “Ho un vizio, leggo carte geografiche e le imparo a memoria”.
Un viaggio fantastico nella
realtà, i luoghi, le persone, gli eventi. Pieno anche di cose inconsuete e rare,
e personaggi unici, ma narrazioni, immagini, annotazioni a ogni passo nuove e
vecchie. Le “presenze”, soprattutto, sono sorprendenti. I “saggi ignoranti” di montagna di Guccini, “che
sapevano Dante a memoria e improvvisavano di poesia”. Annibale un po’ ovunque
lungo l’Appennino. La Legio Tebea, di Egiziani che si ammutinarono allordine di
uccidere i cristiani e si sparpagliarono per le Alpi – il loro capo, Maurizio, ha
dato il nome a St. Moritz. Gli Apuani nel Sannio e i Sanniti nelle Apuane –
dove peraltro si parla anche “antico tedesco”. Anche “un viaggio topografico a
caccia di toponimi”, che sempre hanno qualcosa da raccontare.
Rumiz sa raccontare – far parlare
– le cose. Gli Appennini “dai becchi inconfondibili chiamati «Pen» che migliaia
di anni fa hanno dato il nome al tutto e ancora oggi danno il senso al tuo
andare. Monte Pènice, Penna, Pennino,
Penne, Pennabilli, Pescopennataro. Li ritrovi dalla Liguria al Molise. Sono le
boe di una regata transoceanica…” – e penisola, etc.. O i nomi. Bobbio apre la
stura – fino a Babuška e Baba Yagà. O “eremo”: “Il greco dice già tutto. Erema: dolcemente,
quietamente, tacitamente, lentamente. Eremazo:
sono quieto, silenzioso, melanconico. Eremei:
sto calmo, zitto, saldo, immobile”. Con “i fruscianti nomi etruschi – Viesci, Ruscio,
Cascia, Pescio”.
L’Appennino è un mondo
frastagliato. In pochi km quadrati tra Sarzana e Alessandria, Rumiz può trovare
“discendenti da pirati arabi in fuga dai genovesi”, legnaioli, lanzichenecchi
di un metro e ottanta reduci da razzie, fisionomie asiatiche, una “Rabbini, ex
zona ebraica”, un villaggio “dove usano ancora l’alto tedesco”, “una caserma di
dragoni che ha elevato di venti centimetri l’altezza media dei locali”, e “Badi,
sul crinale parmense”, dove “perfino i cavalli rivendicano ascendenza unica”.
Ma, poi, l’Appennino è la montagna dietro casa. Racconti quindi soprattutto di
montagna. Di un cittadino, cosmopolita, che ama e sa raccontare la montagna. I
luoghi, le persone. Negli nni si è fatte tute le montagne, dalla Slovenia a Arma
di Taggia, da Cervino all’Aspromonte. Con uno speciale talento nell’ìndividuare
e raccontare persone e casi eccezionali nell’attività ordinaria, quotidiana.
C’è la natura, sempre rappresentata
in azione. C’è la geografia, la storia, e soprattutto l’antropia, l’ambiente umano.
Dal vivo e nel ricordo, che qui e là ovunque riemerge. C’è il mito – c’è
dappertutto. C’è molta storia. Diego De Castro. Il mondo occitano, l’“arcana cristallizzazione”
da Saluzzo alla Catalogna. Di passaggio, microanalisi storiche, politiche,
ambientali. Dei luoghi, di forte impatto, analitco e narrativo: la Slovenia, per
esempio, Ugliancaldo, Vagli, la “variante di valico”, l’enorme buco sotto l’Appennino
tra Bologna e Firenze, e la rovina del Mugello sovrastante. O i ritratti, Joerg
Haider come Vinicio Capossela, e i tanti uomini della montagna,. Bonatti, Mauro
Corona, Rigoni Stern. Kapuscinski. O Francesco Bider da Biella, un amico di
Rumiz dal tempo si Sarajevo, “operaio tessile”, volontario di tutte le guerre,
di tutte le spedizioni umanitarie per aiutare le vittime, con “barbone mesopotamico.
Un atlante, a futura memoria. “La
devastazione del Piave, disidratato dalla sorgente”. La “Passione” di Erto,
sotto la diga funerea del Vajont. “L’orticello veneto” e la nostalgia da
spaesamento. Da incontri anche casuali Rumiz sa estrarre vite e storie
“eccezionali”: misurate e meravigliate. I siciliani giovani che emigrano in
“viaggio speciale”, andando in Germania a sostituire i manovali turchi nel periodo
estivo, delle vacanze – vengono dall’agrigentino, in parallelo, il lettore è portato
ad associare le immagini, col rassicurante “Montabano” della tv negli stessi
anni. I “monti naviganti” sono una visione onirica, dormendo a Rocca Calascio,
in Abruzzo. È il paesaggio domestico, infantile, casalingo, trasportato dal
mare alla montagna: “Le cime galleggiano su uno strato di nubi fosforescenti,
formano un perfetto arcipelago. Una somiglia a Curzola, un’altra a Mèleda, un’altra
ancora a Brazza. Ma sì, l’Appennino è solo una Dalmazia senza il mare. Sognerò
un transatlantico pieno di orchestrine, in viaggio tra neri promontori. L’epifania
dei monti naviganti”.
È la scoperta del Sud forse più
che della montagna. Delle Alpi si è detto tutto. Della variate di valico che ha
distrutto mezzo Appennino tosco-emiliano pure. Restava da passare “il muro di Ancona”
del comico Ferrini. Scoprire le Marche interne, il Molise, la Basilicata, un
po’ di Calabria.
Con alcune curiosità d’autore. I
suoi Slavi qui inquietano Rumiz. Che si trova il più spesso a pensare in
termini di Dalmazia. La genealogia del liuto, dall’arabo Al Hud, uscio, cavità
risonante, è un racconto.
Si riedita in economica un
viaggio presto diventato un classico, la raccolta delle corrispondenze per “la Repubblica” l’estate del 2006. Dell’Italia
dimenticata e quasi cancellata dall’incuria e gli abbandoni – o dalla
disattenzione? Con molte foto, pregnanti come il testo (purtroppo non ben riprodotte), di Monica Bulaj.
Paolo Rumiz, La leggenda dei monti naviganti, Feltrinelli, pp. 343, ill. € 12
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