lunedì 10 maggio 2021

La scoperta dell'Italia

Un viaggio nella lentezza. “Impossibile, dirà qualcuno. Invece no. Provate a viaggiare da soli, senza navigatori, senza un passeggero accanto. Lontano dalle autostrade vi toccherà fare il punto quasi a ogni bivio. La mia andatura è, letteralmente, a singhiozzo. Sosta per controllare il radiatore, sosta per buttare giù due appunti, sosta per chiedere la strada,  sosta per controllare le carte, sosta per scattare una foto, Tranne un solo giorno, non ho mai superato la quantità  percorsa da una diligenza, un corriere Inca, o un messo a cavallo del sultano di Costantinopoli”.
È una vera e propria scoperta dell’Italia che Rumiz faceva una quindicina d’anni fa. Sulla traccia, forse inavvertita, di Pasolini:  “I borghi abbandonati degli Appennini e le Prealpi” sono di Pasolini-Orson Welles, “La ricotta”, 1963. Su una Topolino del 1955, come una volta si sarebbe fatto a dorso di mulo, invece che a cavallo: un viaggio nella lentezza. La scoperta dell’Italia nascosta, rimossa – “un Pianeta del Silenzio”. Come succede nelle famiglie che si vergognano di qualcosa. Della montagna: le Alpi e gli Appennini. Secondo un itinerario, affisso in esergo, dettagliato, come Rumiz usa prima di mettersi in moto, posto per posto, con dati e curiosità – “Ho un vizio, leggo carte geografiche e le imparo a memoria”.

Un viaggio fantastico nella realtà, i luoghi, le persone, gli eventi. Pieno anche di cose inconsuete e rare, e personaggi unici, ma narrazioni, immagini, annotazioni a ogni passo nuove e vecchie. Le “presenze”, soprattutto, sono sorprendenti. I “saggi ignoranti” di montagna di Guccini, “che sapevano Dante a memoria e improvvisavano di poesia”. Annibale un po’ ovunque lungo l’Appennino. La Legio Tebea, di Egiziani che si ammutinarono allordine di uccidere i cristiani e si sparpagliarono per le Alpi – il loro capo, Maurizio, ha dato il nome a St. Moritz. Gli Apuani nel Sannio e i Sanniti nelle Apuane – dove peraltro si parla anche “antico tedesco”. Anche “un viaggio topografico a caccia di toponimi”, che sempre hanno qualcosa da raccontare.
Rumiz sa raccontare – far parlare – le cose. Gli Appennini “dai becchi inconfondibili chiamati «Pen» che migliaia di anni fa hanno dato il nome al tutto e ancora oggi danno il senso al tuo andare.  Monte Pènice, Penna, Pennino, Penne, Pennabilli, Pescopennataro. Li ritrovi dalla Liguria al Molise. Sono le boe di una regata transoceanica…” – e penisola, etc.. O i nomi. Bobbio apre la stura – fino a Babuška e Baba Yagà. O “eremo”: “Il greco dice già tutto. Erema: dolcemente, quietamente, tacitamente, lentamente. Eremazo: sono quieto, silenzioso, melanconico. Eremei: sto calmo, zitto, saldo, immobile”. Con “i fruscianti nomi etruschi – Viesci, Ruscio, Cascia, Pescio”.
L’Appennino è un mondo frastagliato. In pochi km quadrati tra Sarzana e Alessandria, Rumiz può trovare “discendenti da pirati arabi in fuga dai genovesi”, legnaioli, lanzichenecchi di un metro e ottanta reduci da razzie, fisionomie asiatiche, una “Rabbini, ex zona ebraica”, un villaggio “dove usano ancora l’alto tedesco”, “una caserma di dragoni che ha elevato di venti centimetri l’altezza media dei locali”, e “Badi, sul crinale parmense”, dove “perfino i cavalli rivendicano ascendenza unica”. Ma, poi, l’Appennino è la montagna dietro casa. Racconti quindi soprattutto di montagna. Di un cittadino, cosmopolita, che ama e sa raccontare la montagna. I luoghi, le persone. Negli nni si è fatte tute le montagne, dalla Slovenia a Arma di Taggia, da Cervino all’Aspromonte. Con uno speciale talento nell’ìndividuare e raccontare persone e casi eccezionali nell’attività ordinaria, quotidiana.
C’è la natura, sempre rappresentata in azione. C’è la geografia, la storia, e soprattutto l’antropia, l’ambiente umano. Dal vivo e nel ricordo, che qui e là ovunque riemerge. C’è il mito – c’è dappertutto. C’è molta storia. Diego De Castro. Il mondo occitano, l’“arcana cristallizzazione” da Saluzzo alla Catalogna. Di passaggio, microanalisi storiche, politiche, ambientali. Dei luoghi, di forte impatto, analitco e narrativo: la Slovenia, per esempio, Ugliancaldo, Vagli, la “variante di valico”, l’enorme buco sotto l’Appennino tra Bologna e Firenze, e la rovina del Mugello sovrastante. O i ritratti, Joerg Haider come Vinicio Capossela, e i tanti uomini della montagna,. Bonatti, Mauro Corona, Rigoni Stern. Kapuscinski. O Francesco Bider da Biella, un amico di Rumiz dal tempo si Sarajevo, “operaio tessile”, volontario di tutte le guerre, di tutte le spedizioni umanitarie per aiutare le vittime, con “barbone mesopotamico.
Un atlante, a futura memoria. “La devastazione del Piave, disidratato dalla sorgente”. La “Passione” di Erto, sotto la diga funerea del Vajont. “L’orticello veneto” e la nostalgia da spaesamento. Da incontri anche casuali Rumiz sa estrarre vite e storie “eccezionali”: misurate e meravigliate. I siciliani giovani che emigrano in “viaggio speciale”, andando in Germania a sostituire i manovali turchi nel periodo estivo, delle vacanze – vengono dall’agrigentino, in parallelo, il lettore è portato ad associare le immagini, col rassicurante “Montabano” della tv negli stessi anni. I “monti naviganti” sono una visione onirica, dormendo a Rocca Calascio, in Abruzzo. È il paesaggio domestico, infantile, casalingo, trasportato dal mare alla montagna: “Le cime galleggiano su uno strato di nubi fosforescenti, formano un perfetto arcipelago. Una somiglia a Curzola, un’altra a Mèleda, un’altra ancora a Brazza. Ma sì, l’Appennino è solo una Dalmazia senza il mare. Sognerò un transatlantico pieno di orchestrine, in viaggio tra neri promontori. L’epifania dei monti naviganti”.
È la scoperta del Sud forse più che della montagna. Delle Alpi si è detto tutto. Della variate di valico che ha distrutto mezzo Appennino tosco-emiliano pure. Restava da passare “il muro di Ancona” del comico Ferrini. Scoprire le Marche interne, il Molise, la Basilicata, un po’ di Calabria.
Con alcune curiosità d’autore. I suoi Slavi qui inquietano Rumiz. Che si trova il più spesso a pensare in termini di Dalmazia. La genealogia del liuto, dall’arabo Al Hud, uscio, cavità risonante, è un racconto.
Si riedita in economica un viaggio presto diventato un classico, la raccolta delle corrispondenze per  “la Repubblica” l’estate del 2006. Dell’Italia dimenticata e quasi cancellata dall’incuria e gli abbandoni – o dalla disattenzione? Con molte foto, pregnanti come il testo (purtroppo non ben riprodotte), di Monica Bulaj.
Paolo Rumiz, La leggenda dei monti naviganti, Feltrinelli, pp. 343, ill. € 12

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