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L’altra Calabria
Una “Calabria da bere”. Peppe
Smorto ci ha rubato il titolo, ma ha fatto bene: per una volta un cronista che
si applica a raccontare cose e persone che si vorrebbero frequentare, in
Calabria – cioè: non la solita cronaca locale di arresti, “dispetti”, processi,
condanne (e non locale, v. il catalogo dello stesso editore, Zolfo-Melampo).
C’è un aspetto luttuoso della
Calabria – c’è un altro posto al mondo dove le cronache siano solo di
malvivenza, a parte il verbo degli assessori e sindaci locali? Ma c’è anche un
aspetto festivo, non può non esserci, e Smorto ha voluto portarlo alla luce. Anche
se, pure lui, con un fondo di malinconia, legandolo praticamente al lavoro
delle parrocchie e dell’associazionismo religioso.
Questo è vero, e non lo è Molto
si fa anche senza la forza della chiesa.
Ma è vero che il problema della Calabria è quello che un tempo si diceva della
classe o ceto dirigente. Che si riforma in
continuazione, una partenogenesi incessante, molto democratica, ma in
una sorta di processo distruttivo. Basti il raffronto tra gli anni 1960, di
Mancini e Misasi, e il nulla odierno.
Nella società civile il declassamento
non è analogo, anzi ci sono oggi molte opportunità di formazione nella Regione che
cinquant’anni fa non c’erano. Ma non si è formato un tessuto connettivo, societario,
di idee e di interessi. Un tessuto che regga la produzione, moltiplicando l’accumulazione
– che possa o che ci riesca: la Calabria non accumula, al meglio segna il passo.
E questo perché dalla Calabria si continua a partire. Non per bisogno. Perché
le opportunità sono altrove – con i tanti medici calabresi di Roma si sarebbe
risolto da tempo l’ottuso commissariamento della sanità nella Regione.
Smorto, che pure lui è partito, senza
complessi o patemi, una vita e una carriera a “la Repubblica”, ha scoperto che
si può anche tornare, con piacere. Con disappunto, per il tanto spreco, ma a
sommatoria positiva. Non c’è un contesto favorevole, non politico, non d’opinione,
non, tutto sommato, repressivo, ma le idee e le energie profuse sono di per sé
esilaranti. Verrà pure un giorno in cui faranno valanga, invece di tenere, come
oggi, gli interstizi, o salvare la scialuppa col secchiello.
L’altra Calabria è raccontata con
vena lieve in una ventina di episodi. Non le bellezze naturali della pubblicità
– “l’aria” non è mai mancata, a sentire mezzo secolo fa Otello Profazio. Ma di
normalità eccellenti. Sì, c’è anche la storia, per dire, del palazzo di
Giustizia di Reggio Calabria, ma anche questa si legge in allegria (e poi la “Calabria”
non c’entra, ne è vittima): in costruzione dal tempo di Martelli ministro della
Giustizia, quindi almeno da un quarto di secolo, “un castello” di 600 stanze, bloccato
da dieci anni, non protetto nemmeno dalle intemperie, uno scheletro.
Giuseppe Smorto, A Sud del Sud, Zolfo, pp. 176 € 16
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