sabato 15 maggio 2021

Letture - 458

letterautore

Balzac – Un curiosone. Ha un segreto semplice secondo Pavese (“Il mestiere di vivere”, 13 ottobre 1937): è curioso – “Balzac ha scoperto la grande città come covata di mistero, e il senso che ha sempre sveglio è la curiosità. È la sua Musa. Non è mai né comico né tragico, è curioso”.
È anche, dice Pavese, “Baudelaire che si annunzia”: quando “disserta del suo complesso misterioso con entusiasmo sociologico, psicologico e lirico, è ammirevole. Vedere l’inizio di «Ferragus» o l’inizio della seconda parte di «Splendeurs et misères des courtisanes». È sublime”.
 
Cancel culture
– “La rottura c’è stata con la seconda guerra mondiale”, spiega a Gravino sul “Venerdì di Repubblica” Vittoria Alliata di Villafranca, ricordando Palermo quando era una capitale: “I bombardamenti anglo-americani hanno distrutto in pochi giorni la città più bella del mondo. Dobbiamo recuperare tutto quello che c’era prima, altro che cancel culture, sono loro che ci hanno cancellato, sono loro che devono sentirsi in colpa”. È una “cultura” in effetti americana. Di africani, ma di africani americanizzati, o americani ormai da decine di generazioni.
È straordinario, a ripensarci, quanto gli americani distruggano, quanto amino distruggere. I mobili  ogni tre anni, come il coniuge. La case dopo venti o trenta. Le città, i villaggi e ogni traccia stabile con i bombardamenti, la più vile di tutte le armi.
Si direbbe una cultura nomade, non stanziale. Come se i Padri Pellegrini non avessero nulla di britannico, del sassone terragno, ma fossero apolidi sradicati, vaganti.
 
Cane a sei zampe
– Enrico Mattei, il creatore dell’Eni, di cui il cane nero a sei zampe è il trademark, lo avrebbe trovato a Palermo, dall’antiquario Antonio Daneu, secondo Gonzalo Álvarez García, “Le zie di Leonardo”: era l’emblema della casa di vendite.
 
Comico
– Si ride di chi cade per un senso di superiorità. Si dice. Si ride per molti motivi, ma questa versione è più accreditata. Sarà per questo che gli Oscar del cinema non premiano mai le commedie. Per rispetto dell’uguaglianza, contro ogni senso di superiorità. Ma i produttori premiati non ridono? Anche gli attori e i registi, e ogni altro premiato.
 
Epidemie – Hanno effetti artistici. Baudelaire, “Quelqeus caricaturistes étrangers”, giunge a questa conclusione non sapendosi spiegare altrimenti le “tante diavolerie e meraviglie”, le “tante spaventose assurdità” di Pieter Breughel il Vecchio detto “le Drole” (il Bizzarro, in francese – in italiano “dei Velluti”): “Questa prodigiosa fioritura di mostruosità coincide nel modo più singolare con la fosca e storica epidemia delle streghe”.
 
Ce ne sono anche di mentali. L’epidemia delle streghe di Baudelaire è una. Michelet, “Histoire de France”, vol. VII, ha le “follie epidemiche del popolo”, i fenomeni di fanatizzazione collettiva. Che si potevano – si possono ancora – osservare nel khomeinismo. Le “primavere arabe” ne sono state una riproduzione –  anch’esse organizzate sulla spontaneità. O le “rivoluzioni” arancione all’Est Europa, per es. in Ucraina. Epidemie però non “spontanee”, occasionali. A partire dal quella delle streghe.
 
Flaubert – Un moralista, e al fondo un po’ misantropo? Tale lo vede, tra i tanti ma prima di molti, Pavese nel “Il mestiere di vivere”, 17 febbraio 1938, a proposito dei giudizi morali che dispensa in “Madame Bovary”, che salvano solo l’artista – “l’artista che violenta e atteggia ogni  gesto umano”. L’esito sarebbe che si può vivere “in un solo modo: facendo l’artista tappato in casa”.

Hemingway – Uno scrittore molto latino. Americanissimo nella scrittura e nello stile di vita, ma emozionato, commosso, ispirato dal mondo altino, a suo modo anche appassionato, alla Stendhal - e dall’Africa. Nel primo movimento con migliore esiti, in Italia, Spagna, a Parigi, a Cuba. Rileggendo “il vecchio e il mare”, e il primo abbozzo del racconto che è stato pubblicato con la nuova traduzione de “Il vecchio e il mare”, la cosa si impone: più a suo agio e comprensivo è nei modi di essere, di dire, di capire le cose (soprattutto le sensazioni e i sentimenti, in “innuendo”, per accenni) e di esprimerle, del mondo altino. 
 
Manzoni – Il “manzo Manzoni”, forse inevitabile, è gioco di parole di Pavese. Che ne scrive all’amico Tullio Pinelli il 4 dicembre 1939: “Prometto di scrivere d’ora innanzi come un grosso manzo (Manzoni)”.
 
Pierrot – Ce n’è – ce n’era – uno inglese. Accanto a quello francese cui siamo abituati: lunare, silenzioso, allampanato, triste – invenzione, pare, o adattamento, di un Jean Gaspard Debreau (1796-1846), mimo al teatro dei Funamboli a Parigi. Ne dà testimonianza Baudelaire in “De l’essence du rire”, ed è il clown come lo conosciamo noi, che l’Augusto lunare introduce. Il Pierrot Sette-Ottocento sdoppiato in Augusto e clown. Che gira come una trottola, riempie l’aria di suoni, cade come un pallone, ride e fa ridere con la sua stessa risaata, due macchie rosse sulle guance, sulla biacca, la bocca allargata dal carminio.
 
Poppe – Vittorini le trova improponibili in italiano, traducendo Caldwell, “Il piccolo campo del Signore”. Così ne scrive a Pavese, in una confidenza fra traduttori dall’americano, nel 1940: “Nella traduzione di «God’s little acre» mi sono preso molti arbitri. Per esempio le poppe d Griselda sono diventate gambe. Ma come scrivere poppe in italiano? Griselda sarebbe diventata una serva”. Concludendo: “Quanto al titolo, era «Il piccolo campo del Signore«, ma il Ministero ha tagliato «del Signore»”.
 
Proust – La “Ricerca” come romanzo psicologico (psicoanalitico) e non della memoria? È la lettura di Pavese (“Il mestiere di vivere”, 12 marzo 1939): “Da notare che Proust, il frantumatore degli schemi dell’esperienza in miriadi di istanti sensoriali, è poi il più arrabbiato teorico di queste sensazioni,  e costruisce il suo libro non su richiami mnemonici dall’una all’altra, ma su piani concettuali e gnoseologici che le annullano a materiale d’indagine”. Sono “caratteri” in effetti sfuggenti.
 
Sub-prime
– Sono pratica vecchia, i titolo di ventura collocati dagli intermediari esperti con investitori inesperti. A margine dei suoi resoconti giornalistici sul processo Dominici (“Note sull’affare Dominici”), per mostrare che conosce i contadini, gli usi, i linguaggi, le espressioni, Giono spiega che ha fatto a lungo il venditore di titoli pubblici, per conto della banca di cui era impiegato: “Dal 1911 al 1929, prima di pubblicare ciò che scrivevo, sono stato impiegato di banca a Manosque. I contadini della regione erano i miei clienti. Per dieci anni, dal 19 al 29, sono stato piazzista per questa banca”, un venditore porta a porta, “cioè andavo di paese in paese, di fattoria in fattoria, a piazzare i titoli. Il mio mestiere consisteva nel prendere il denaro nascosto sotto le pile di lenzuola nell’armadio e dare in cambi grandi fogli di carta. Questi grandi fogli di carta sui quali erano disegnati dei simboli,  delle allegorie, oppure delle ferrovie o delle palme, erano garantiti dallo stato. Non sorprenderò nessuno dicendo che, malgrado questa garanzia, perdevano un terzo buono del loro valore subito dopo la loro introduzione in Borsa”. 

letterautore@antiit.eu


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