Cerca nel blog

mercoledì 2 giugno 2021

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (458)

Giuseppe Leuzzi

Il Sud sabaudo
Fa senso rivedere su “La Lettura”, con l’evidenza della grafica, il risultato regione per regione del referendum sulla Repubblica, ci cui è oggi il 75mo anniversario: il “muro di Ancona” del comico Ferrini c’è stato veramente. Sopra di esso perfino il Piemonte, sabaudo da un millennio, votò per la repubblica, 57 a 43. Il fronte repubblicano s’incrina nel Lazio, appena sotto il 50 per cento - 48,63. Dal Lazio in giù, a partire dall’Abruzzo, è un mezzo plebiscito. In Molise, Puglia e Sicilia è addirittura 1-2 a favore della monarchia. Per un’istituzione moribonda ovunque. E che già allora veniva incolpata dei disastri del Sud, dell’“annessione”, dell’insensibilità, delle ruberie (il re Umberto si sospettava di ogni appalto). 
Come dire che il Sud non capisce. Come va l’Italia, come va il mondo. Potrebbe essere ua chiave.
Reggono le monarchie in alcuni staterelli asiatici. E nel Nord. Dell’Europa - anche in Spagna, ma non volentieri: Belgio, Olanda, Danimarca, Regno Unito, Svezia (e i granducati, ma lì di comodo, per gli affari fiscali).
 
La squadra del giudice
Muore un Grande Giudice Grande Animatore del Grande Sport nella Grande Città con Grande Cordoglio del Grande Giornale cittadino. È il giudice che ci ha rovinati, con quattro decreti ingiuntivi nel mese di agosto, uno a settimana prima e dopo il Ferragosto, avallando per buono dall’Alto della Sua Autorità immediatamente esecutiva le cambiali dei “cugini” strozzini,  e non calcolando le ricevutine di pagamento, seppure autografe – non avevano nemmeno la marca da bollo! – che il Tribunale di prima istanza aveva invece debitamente conteggiate, dichiarando estinto il debito e chiedendo la restituzione\distruzione delle cambiali. Con un decreto i “cugini” si prendevano la casa, con uno la campagna con la casa, con uno il frantoio, e con uno ogni bene mobile e immobile nella disponibilità di papà.
Un fulmine a ciel sereno, atteso il verdetto favorevole del giudice di prima istanza, anche se non di prima nomina, Giuseppe Gambadoro, che si era andato a spulciare tutte le ricevutine e, benché in sede civile, avesse avvertito netta la puzza di usura, fatto il semplice raffronto fra i pagamenti attestati dalle ricevutine e le cambiali in mano agli strozzini. Un processo penale non si poté fare, l’avvocato disse: “Non c’è in repertorio una condanna penale per usura” – possibile, nel 1987? Ma il giudice coscienzioso aveva comunque ristabilito la verità.
Un fulmine a ciel sereno, per essere precisi, non è vero, oltre che stracco modo di dire. I “cugini” in Appello al Grande Giudice si erano affidati all’avvocato Panuccio, avevano fatto sapere ghignando, “che non perde una causa in Appello” - “costa ma rende”.
Questo è un classico in Calabria: ci sono – ci sono stati - avvocati che vincono – che vincevano - sempre le cause. Il più famoso è l’avvocato Mazzeo di Palmi, che è stato poi presidente democristiano della provincia, e candidato non fortunato al Senato. A Reggio l’avvocato Alberto Panuccio era famoso per vincere le cause in Appello. Un coetaneo del Grande Presidente. Di cui “chi ha avuto la fortuna di conoscerlo si è arricchito di valori”, dicono le celebrazioni.
Il Grande Giudice rigettò anche, con immediatezza, bisogna riconoscere, invece delle solite lungaggini giudiziarie, la domanda di sospensiva dell’esecutività a motivo della tarda età di papà. Pendente il ricorso dello stesso in Cassazione, di cui era già stata accertata la fondatezza giuridica. E senza colpa, naturalmente: il giudice decide in autonomia, in base a scienza e coscienza.
 
Niente famiglie niente mafie…
Tremila ettari agricoli concimati con veleni, tra Lombardia, Piemonte, Emilia, Veneto, il cuore della Padania, da una ditta bresciana che vi ha scaricato, per anni, almeno 150 mila tonnellate di fanghi tossici. L’equivalente di 150 mila tir, cioè una cosa che si vede, non uno sversamento di soppiatto, di notte. E niente, niente criminalità organizzata. Niente preti dal pulpito. Niente articoli. Giusto uno, per stigmatizzare un geologo che se la rideva.
La mafia dei rifiuti è solo nella Terra dei Fuochi. E nell’Aspromonte, dove però i rifiuti non ci sono.
Non è del resto un mistero, non da ora, da almeno mezzo secolo, che la Padania serve da scarico, a pagamento, dei residui tossici delle lavorazione svizzere e tedesche. Ogni tanto se ne sa qualcosa. Ma senza scandalo. Gli accordi si fanno, tra industrie e smaltitori ma senza mafie: al Nord la criminalità non è organizzata.

 …. O la mafia sconfitta dall’eugenetica
Si dice mafia la criminalità organizzata, cioè familiare, tra padri e figli, o tra fratelli, e allora certo c’è bisogno di famiglie numerose, che al Nord non ci sono più, da qualche generazione. Oppure le mafie sono a cupola. Ma neanche la cupola sembra essere genere nordico. Al Nord tutto è organizzato ma non la malavita.
Però, allora c’è speranza: col calo demografico le mafie familiari andranno finalmente a finire? Sarebbe infine il trionfo che l’eugenetica attende da un secolo buono: eliminiamo le nascite “cattive”, improduttive, morbose, pericolose, e la pace scenderà in terra.
Si dice delle donne, mogli, figlie, sorelle, che sfidano le mafie familiari, eroine, madri coraggio eccetera. Ma se non fanno più figli è ancora meglio, si evitano ritorsioni. L’inverno demografico sarà l’arma vincente? Dove non arrivano i Carabinieri, arriva lo zero nascite.

L’impero di Vigata
“Il lavoro del regista è essenziale: mette in scena il sottinteso”, Francesca Marciano con Cecilia Bressanelli su “La Lettura”. Il regista trasforma il racconto in immagini, le mette in scena, e le racconta (le monta), con i tempi e i tagli. Sulle avventure di “Montalbano”, con il relativo non piccolo boom economico del Sud-Est della Sicilia, fino a prima dei “Montalbano” l’area più depressa della Sicilia, da Agrigento a Pozzallo, campagne aride, città semiabbandonate, mari poco curati, si è creato un monumento a Camilleri. Che lo merita per il personaggio, ma non per la Sicilia  che ne ha beneficiato, che lui non conosceva – era a conoscenza di pochi, fuori Noto non c’era nessuna attrattiva, ad Avola nel ’68 si sparava ai braccianti, ed è stato poi un miracolo (delle cooperative di sinistra) l’invenzione nel deserto di Vittoria dei “Pachino”, il pomodoro a peso d’oro  – come poi del “Nero d’Avola”, che forse ha soppiantato il Chianti come vino più venduto.
Dunque il piccolo miracolo della Sicilia di Sud-Est è stato politico, ed era già in atto da qualche decennio. Ma è stato Sironi, il regista dei “Montalbano” ad azionarlo alle dimensioni che ora conosce – secondato dal suo produttore, Carlo Degli Esposti: mai serie tv è stata così ricca di ambientazioni, esterni, caratterizzazioni, un mondo di attrattive. Posti dove nessuno si sognava di andare, da Gela, anzi dalla stessa Agrigento, a Porto Palo,  sono così diventati attrazioni. Una Sicilia “inventata” da un emiliano e un lombardo, anche questo è parte del miracolo. Sironi in particolare, con la sigla monumentale, curioso, luminosa, creativa, che di borghi fatiscenti ha fatto rocche splendenti, e di spiagge abbandonate miraggi. Cin un lusso di interni, ognuno scelto con cura, tra il fantasioso e il fantastico, ognuno per qualche memorabile.
Come varia la geografia economica, basta poco. Basta Alberto Sironi, regista peraltro dimenticato, e le mafie scompaiono d’un tratto. Ci vuole così poco (senza offesa per Sironi) per ribaltare il Sud? Sì, basta la fiducia, anche solo un poco, purché zittisca le prefiche - i prefichi. O bisogna affidare la Sicilia ai padani?
 
Stato mafia?
Brusca libero è la legge, quindi nulla da eccepire. Una legge voluta da una delle sue tre-quattrocento vittime, il giudice Falcone, anche se ne beneficia un assassino tra i più crudeli che si ricordino nelle cronache nere. Ma non si cancella lo sconcerto che un simile personaggio se la cavi così bene. Tra i cittadini e tra, conoscendoli, gli stessi mafiosi, che prima che bestie sono calcolatori. Tra l’altro, Brusca esce dopo una carcerazione non punitiva, e tra mille benefici, piccoli e grandi. A partire dai permessi premio, in realtà contrattualizzati: una settimana di vacanza (organizzata e pagata dallo Stato) ogni 45 giorni di detenzione, già da una ventina di anni - di che stropicciato gli occhi.
La legge voluta dal giudice Falcone, per indurre i mafiosi a tradire, avrà senz’altro avuto l’effetto voluto – è dubbio, ma ammettiamo che l’abbia voluto, che abbia indotto molti a parlare. È però una lotta alla mafia che sa di mafia. Il famoso Stato-mafia.
Si parla di Stato-mafia a proposito di probabili trame segrete tra corpi più o meno segreti dell’apparato repressivo, poliziotti, carabinieri, e malviventi. È perciò curioso leggere il plauso a Brusca libero di uno dei maggiori assertori dello Stato-mafia, il giudice e politico di estrema sinistra Pietro Grasso: “Segnale potentissimo a tutti i mafiosi che sono rinchiusi in cella e la libertà, se non collaborarono, non la vedranno mai”. E perché dovrebbero vedere la libertà?
La guerra alle mafie con i pentiti è infetta. Con i pentiti per i benefici di legge. Diverso il caso delle vittime (per esempio le mogli, le figlie, i figli) della coercizione mafiosa, che si ribellano (si pentono) per disperazione.
 
Sicilia
Damiano Caruso di Ragusa è il ciclista che è riuscito a sollevare un po’ di entusiasmo al Giro d’Italia. Che è sceso quest’anno fino a Foggia, vale a dire all’altezza di New York.
Sempre la Sicilia dà lustro ed entusiasma l’Italia, dunque anche nel ciclismo. L’Italia senza la Sicilia sarebbe monca, si sa: un po’ di fenici, un po’ di greci, un po’ di arabi, perfino di tedeschi, e molti normanni, con la poesia, i limoni, il marsala, i vini bianchi, i rossi, i teatri greci, la musica, i romanzi celebri, il teatro celebre, e ora anche il ciclismo. Alla sommatoria fa più di tutta la Padania.
 
Sciascia, raccontò Camilleri da ultimo a Cazzullo sul “Corriere della sera” (“Camilleri: gli scontri con Sciascia”) “era di un anticomunismo viscerale. Nei giorni del sequestro Moro lui e Guttuso andarono da Berlinguer e lo trovarono distrutto: Kgb  Cia, disse, erano d’accordo nel volere la morte del prigioniero. Sciascia lo scrisse. Berlinguer smentì, e Guttuso diede ragione a Berlinguer. Io mi schierai con Renato”.
 
“Un’altra cosa non mi convinceva di Sciascia”, continua Camilleri nell’intervista: “Nei suoi libri a volte rendeva la mafia simpatica”. Il boss don Mariano che discetta di “uomini, mezzi uomini, ominicchi, piglianculo e qaquaraquà”, ne “Il giorno della civetta”, a teatro faceva ridere. Allo stesso boss Sciascia fa dire: “Lei è un  uomo”.
In effetti, il boss  (prima di Riina) è anche un notabile. Ma Camilleri dissentiva: “La mafia non ti elogia, la mafia ti uccide”.
 
“La Sicilia per Sciascia è come una donna”, Álvarez García, “Le zie di Leonardo”. Dopo avere osservato meravigliato, insieme con Vincenzo Consolo e Caterina Pilenga, che non ci sono donne nei romanzi di Sciascia, “salvo quando occorre piangere sui cadaveri dei morti ammazzati o quando bisogna fare le corna ai mariti”. Ma non salva nulla, della Sicilia come delle donne, arguisce l’ex sacerdote cattolico già grande amico di  Sciascia.  
 
A Lucio Piccolo Álvarez García spiega, quando già era in crisi con la vocazione sacerdotale, che Sciascia ha torto, che i siciliani sono religiosi, pieni di santuari e di devozioni: “Sciascia confonde religiosità con cattolicesimo. Io credo che i siciliani non riusciranno mai a essere veri cattolici  proprio perché sono troppo religiosi. Hanno venerato come santi perfino i delinquenti! Pensi al culto che i palermitani tributavano alle anime dei «decollati»”.
 
Ancora Tomasi di Lampedusa, inclemente con  la sua isola, il “ragionier Ferrara”, suo (o di suo padre) procuratore legale presso gli affittuari di Salina, lo dice “individuo di teneri sentimenti, varietà umana rarissima in Sicilia”.
 
Il disprezzo dei “borghesi”, parvenu  e avari, Gioacchino Lanza Tomasi condivide con l’autore del “Gattopardo”. In nota ai “Racconti” li fa - in un inciso alle diatribe successorie che portarono i nobili alla rovina (n.37, p. 90) – mafiosi, anzi della mafia i fondatori: “La mafia aveva difatti avuto origine tra gli imprenditori agricoli. L’impresa rendeva in fitto e potere e i campieri erano la sua milizia armata”.
 
Castelvetrano, oggi (1957) “cittadina civettuola e ambiziosa”, Tomasi di Lampedusa ricordava prima della Grade Guerra “borgo lugubre, con le fognature allo scoperto ed i maiali che si pavoneggiavano nel corso centrale; e miliardi di mosche”. Basta poco, a volte.
Casteveltrano è poi diventata centro dell’uva Italia, l’uva da tavola degli italiani - e di buona parte dell’olio di oliva. Immune evidentemente alla mafia, benché “patria” e forse rifugio di Messina Denaro e altri capicosca.
 
Della serie la Sicilia impossibile, o dell’odio-di-sé. Tomasi di Lampedusa, esempio insigne, inalterabile, fin dai primi viaggi ai vent’anni, di notabile sradicato, ha, tra i notabili del paese materno, Santa Margherita Belìce, con l’accento sulla i, prima della Grande Guerra, un Ciccio Neve, “che viveva con una sorella pazza”. E aggiunge, fra parentesi: “Quando si conosce bene un villaggio siciliano si vengono a scoprire innumerevoli pazzi”.
 
Romantica, o aromatica: non sarà materia di refusi, mentali? Gioacchino Lanza Tomasi, riordinando le carte dell’autore del “Gattopardo”, trova a un certo punto nel racconto “Lighea” (o “La sirena”) il mare “aromatico”. Ma è quello che Tomasi di Lampedusa intendeva. Giorgio Bassani aveva corretto, nella prima edizione dei racconti: “Il mare, il mare di Sicilia è il più colorito, il più romantico…”. Tomasi aveva scritto invece: “Il mare, il mare di
Sicilia è il più colorito, il più aromatico…”.

leuzzi@antiit.eu

Nessun commento: