mercoledì 23 giugno 2021

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (459)

Giuseppe Leuzzi

Gianfranco Ulisse, classe 1948, fondatore dell’azienda vitivinicola Crecchio, ricorda del Montepulciano d’Abruzzo quarant’anni fa: “Era tutto molto diverso. Il vino era un alimento, il consumo locale. Ma nulla ci spaventa, nemmeno quel Montepulciano scuro e denso”. Detto “l’inchiostro” - si può testimoniarlo. Uno dei vini oggi più venduti, il “rosso” di Roma.
L’Abruzzo è certo favorito dalla vicinanza col grande mercato di sbocco che è Roma. Ma pur non avendo gli asset vinicoli di varietà e qualità della Sicilia e della Puglia non ha aspettato gli imprenditori veneti e lombardi per valorizzare il poco che aveva.
 
Difficile non vedere il razzismo dei londinesi del Tottenham contro Gattuso allenatore. Sì, siamo tutti omofobi, etc., eccetto chi denuncia, ma il motore dei social contro Gattuso è il “Ringhio” milanista che risponde agli insulti del loro Jordan abbattendolo.
Il razzismo è subdolo: quelli del Brexit che si fanno campioni dell’antirazzismo lo praticano naturalmente al quadrato – i neo inglesi figli di immigrati e non solo.
 
Jumpha Lahiri, la scrittrice indo-americana di successo che ha scelto l’Italia e l’italiano per  una “rigenerazione”, ha nel suo secondo libro italiano, “Dove mio trovo”, il potere liberatorio dell’isolamento. Anche di essere stranieri in patria – questo si nota di più nella traduzione dall’italiano in inglese, che la scrittrice non ha fatto da sé, ha voluto professionale. C’è anche libertà nell’emigrazione.
 
 Al Concorso Sud, per competenze informatiche e digitali, in grado di gestire il Recovery Plan europeo, un candidato su tre degli ammessi non si è presentato alle prove – in alcuni posti uno su due. Se ne trova la ragione nel fatto che il concorso non dà “il posto” alla Checco Zalone, il posto a vita.
No, il concorso garantisce comunque una buona retribuzione, e solido titolo di curriculum. Il fatto è che molti non hanno le competenze richieste. Hanno il titolo di studio ma non le competenze che le prove di concorso prevedono. Il posto pubblico al Sud è ancora quello del laureato in legge che insegna inglese.
 
Si sono fatte indagini scrupolose, lunghe, dettagliate, sulla trombosi che ha colpito una giovane di Sestri Levante alcuni giorni dopo la vaccinazione con AstraZeneca. Che non si sono fatte per i primi morti dopo analoga vaccinazione, i tre giovani militari e una giovane in Sicilia, quelle morti accantonando sotto la frequenza statistica, bassissima. Non è un diverso trattamento, legale e medico, tra Nord e Sud – lo è, ma ininfluente. È un altro approccio alla vita, e alla morte.
 
Il Piemonte non ha canzonette, spiegava Libero Novara, “Bero” per Pavese, “Berin” per gli amici di Torino, da Parma allo stesso Pavese in una lettera del 25 gennaio 1931: “Quando mai il Reale Piemonte ebbe una poesia dialettale che valesse uan cica?” Qualcuna sì, ma adattata: “Qualcuno di loro (dei “nostri nonni… i nostri barabba”) ha fatto il soldato nel meridionale, ha sentito canzoni e stornelli…le ha importate e qui furono presto adottate”. Nell’unità il Sud qualcosa ha apportato.
 
I banditi stanno al Sud
A Mahabad, tra i curdi dell’Iran, non c’erano briganti. Ma le storie di briganti, spiega Nicolas Bouvier, “La polvere del mondo”, il racconto delle sue peregrinazioni nel 1953, “fornivano un pretesto comodo al mantenimento di una guarnigione importante. Gli ufficiali li illustravano compiaciuti, e li esibivano  al bisogno con arresti arbitrari”. Non s’inventa niente?
 
Il comandante dello Scico, Servizio centrale d’investigazione slla criminalità organizzata, della Guardia di Finanza, generale Alessandro Barbera, denuncia sul “Corriere della sera” ‘ndrangheta e camorra come quelli che si sono appropriati i fondi pubblici contro il coronavirus – “Così le cosche hanno sfruttato la pandemia”. Uno “sfruttamento” che ha visto in corsa migliaia di operatori, più o meno improvvisati, tra essi anche una ex presidente della Camera.
‘Ndrangheta e camorra si sono approfittati più degli altri? Kit speciali, ventilatori polmonari, pillole miracolose, anche da 600 euro, oltre a mascherine a decine di milioni e gel igienizzanti privi di qualsiasi requisito, migliaia, decine di migliaia di truffe, tutte milionarie, opera di cinesi e di padani, anche di toscani, non mafiosi quindi per definizione, scoperti quasi tutti peraltro dalla Guardia di Finanza. È l'organo che crea la funzione - tante autorità antimafia tanta mafia? Giustamente, il generale dello Scico ingrandisce le mafie.
 
Come già il sindaco Marino, che si era applicato far lavorare i Vigili Urbani di Roma, il pro-assessore ai Parchi Pubblici della capitale, principe Marco Doria, che voleva liberare gli immobili  occupati (e ceduti in affitto…) nella Villa Doria Pamphilj, è andato sotto tiro. Questa volta con le minacce dirette, benché anonime, e le bombe. Ma naturalmente non c’è mafia a Roma, né tra i Vigili né tra gli addetti ai Parchi, la mafia è meridionale.
 
“Una tonnellata di cocaina tra le banane. Ennesimo maxisequestro a Gioia Tauro”. Grande l’annuncio, ma senza dire se a Gioia Tauro i sequestri si fanno e altrove no, a Rotterdam, Amburgo, Anversa, Marsiglia. Perché, da dove entra la cocaina a in Europa?
E non si dice a chi era destinato il carico di banane con cocaina: sicuramente non alle ‘ndranghete (l’avremmo saputo).
 
Basta il nome
La Regione ha fatto una gara europea per il trasporto pubblico regionale sei anni fa, e solo ora, dopo sei anni, la gara va a buon fine. In questi sei anni i finanziamenti europei per il rinnovo ecologico dei mezzi di trasporto si sono perduti. Il servizio è andato avanti rappezzato, con mezzi vecchi e concessionari scaduti.  
Si continua a morire per l’amianto. Anche in grande azienda multinazionale, la Solvay.
Il portale regionale del vaccino anti-Covid accetta solo prenotazioni per gli over 60. Non si sa quando aprirà alle prenotazioni per il resto della popolazione, come in tutta Italia.
Tra medici e infermieri sono almeno settemila persone nella sola Asl Centro, una delle tre regionali, i cosiddetti camici bianchi “no vax”.
Siamo in Calabria? No, in Toscana: è la lettura di un giorno del “Corriere Fiorentino”, un inserto locale di poche pagine del “Corriere della sera”.
Le altre notizie del giorno. A Firenze centinaia di persone devono dormire per strada, accatastate malgrado il covid, per riuscire l’indomani, forse, a raggiungere lo sportello per i permessi di soggiorno.
“Rischio continuo” sulla Fi-Pi-Li, l’autostrada Firenze –Pisa-Livorno - in effetti, stretta e tutta buche (non da ora, per la verità, già trent’anni fa era così). Ma anche l’autostrada Firenze-Mare, ribitumata, è un “rischio continuo”, stretta, tuta curve - una specie di Salerno-Rc vecchio tracciato al quadrato.
Saltano a decine le corse dell’Ataf, l’azienda comunale fiorentina dei trasporti: autisti sottopagati, con contratti a termine, oppure forniti da agenzie di amministrazione del lavoro e (finte) cooperative, non si presentano la mattina. “Alcuni non si presentano neanche il giorno dell’assunzione”, secondo un sindcalista.
Al Forte Belvedere di Firenze si può tenere una mostra fotografica, intitolata “Beach Stories”, in cui  Massimo Vitali è bravissimo a fare scogliere e spiagge di sabbia di sogno, con bagnanti rari, iperdistanziati, e acque celestine, ove invece la copertura è totale di ombrelloni degli stabilimenti, non un metro è libero, e le acque, benché certificate da Bandiera Blu per congrua promozione, sono ovunque grigie e sporche – questo non lo dice il “Corriere Fiorentino”, si vede.
Lo stesso giorno “La Nazione”, il giornale storico di Firenze e della Toscana, può celebrare: “La Toscana è tornata a essere la terra dei vip. Nella stagione post Covid non badano a spese”. La foto mostra “una fila di Lamborghini e Ferrari accanto al Grand Hotel Principe di Piemonte a Viareggio”. È un raduno, ma non importa: Toscana, basta la parola – e la Storia, naturalmente.
 
I pentiti fallirono in trasferta
Il film di Bellocchio su Buscetta che si rivede su Rai 1 trascura un episodio che pure avrebbe figurato nella sceneggiatura con più risvolti, drammatici e anche comici: la trasferta dello stesso Buscetta, con Mannoia e Mutolo, a New York, nel 1993. I tre, portati al processo per traffico di droga e omicidio a carico dei fratelli Gambino riuscirono a far annullare il processo. La giuria, dopo nove giorni di consiglio, riferì al giudice di non poter decidere. Con questa motivazione: “Nessuno dei testimoni era credibile”.
Mannoia e Mutolo erano stati portati al processo dall’accusa, Buscetta dalla difesa. Buscetta fu più abile: riuscì a screditare Mannoia e Mutolo. Il Pubblico Ministero Pat Fitzgerald lo disse “non completamente credibile”, per via dei suoi “precedenti non confessati” in sede di pentimento. Ma riuscì a insinuare il dubbio nella giuria.
A New York erano altri i criteri di valutazione. Meno generosi. Meno politici – è la debolezza-forza del giurato popolare: non vuole sulla coscienza un verdetto errato. Claudio Lindner così descriveva Buscetta al processo, pochi mesi dopo la strage di Capaci e la morte del giudice Falcone, che aveva garantito per lui: “In forma smagliante. Da far invidia. Rilassato, abbronzato, capelli neri e folti (veri o finti? Difficile dirlo…), doppiopetto blu, cravatta con pochette al taschino, l’aria da manager fresco fresco di Caraibi”.   
Bellocchio ha trascurato anche un altro elemento altrettanto teatrale – ma forse contestabile: che Buscetta era un informatore dei servizi segreti. L’accusa era venuta lo stesso anno, il 28 aprile, dal senatore Carmine Mancuso, della Rete, il gruppo politico palermitano creato da Leoluca Orlando in funzione antimafia. Mancuso, ex poliziotto ed ex presidente del Coordinamento antimafia di Palermo, disse di averlo saputo da suo padre, Lenin Mancuso, maresciallo di Polizia, assassinato nel centro di Palermo a settembre del 1979, insieme con il giudice Cesare Terranova. Buscetta collaborava con i servizi segreti “dai tempi del Sifar del generale De Lorenzo”, imputato del golpe “Solo”, spiegò Mancuso. Aggiungendo: “Tutto ciò che ho detto non lo posso dimostrare perché dopo la morte di mio padre i suoi appunti furono rubati”.
 
Milano
La città degli untori la vuole Stajano, nel libro-saggio omonimo che si ripubblica. Senza malanimo, né il solito polemismo. La città non della peste, degli untori. È come diceva Malaparte, che Milano butta sempre gli avanzi di sotto.
 
Il suo sogno di dirigere un corpo di ballo Carla Fracci lo ha potuto dirigere, ma a Roma. Dove fu per dieci anni, ma con la testa sempre a Milano. Alla Scala, che aveva reso illustre, dove invece non la vollero. La stessa Scala e la stessa Milano che he hanno celebrato in pompa commossi la morte.
Ipocrisia? No, è la maniera d’essere: appropriarsi anche dei cadaveri, se rendono.
 
Una teoria vuole che Carla Fracci non abbia avuto la direzione del corpo di ballo della Scala perché di sinistra, in epoca leghista. Fracci non si ricorda in politica per nessun fatto o evento. Ma, pare, abbia festeggiato il 25 aprile.
 
Lo stesso allora che il maestro Muti, cacciato dalla Scala perché “di destra”. Muti pare festeggiasse il 4 novembre – o forse solo il 2 giugno.
La verità è che la città è indifferente, e la politica povera - da ringhiera, opportunista.
 
Soffre di black-out elettrici in continuazione, una decina in questa ultima settimana, alcuni anche prolungati, fino a due giorni, per la rete insufficiente  che la utility cittadina non rinnova. Con danni ingenti alle attività alimentari e della conservazione che non dispongono di un generatore autonomo. Ma di questo non si parla, non si legge: non fa notizia.

Rumiz ancora nel 2007 (“La leggenda dei monti naviganti”) lega la Lega alle “valli del Norditalia”. Ma la Lega è da tempo – era stata – Milano, il quartiere dei più ricchi e intellettuali d’Italia.

“Un grosso proprietario di Milano era Carlo Emilio Gadda”, per l’insegnate di Lettere del liceo di Marcia Corti, “Il ballo dei sapienti”, “che si prendeva il fiorfiore, dal politecnico alla Fiera di Sinigaglia, alla Certosa di Garegnano: qualche volta anche col ghiribizzo di fare quattro passi  insieme al Petrarca «sino a tre miglia milanesi dalle mura»: un passeggio che andava a sfociare nell’eterno”.
 
“La gente a Milano non guardava né il cielo né gli alberi”, la milanese Maria Corti fa riflettere a un suo personaggio del “Ballo dei sapienti”: “Per guardarli usciva di città, il sabato e la domenica”. Questo  negli anni 1960, quando c’era la nebbia. Ma l’uso è lo stesso oggi.
 
Milano, anche, sapeva nel romanzo scolastico di Corti, di petrolio: “Molto odore di petrolio in piazza Sei Febbraio, in via Vincenzo Monti, odore di petrolio in corso Sempione, odore di petrolio in tutta l’aria”. Di “petrolio e affini”, fa dire Corti spiritosissima, da riscaldamento, raffreddamento, auto in corsa, o imbottigliate: “L’odore combinato di petrolio e affini entrava anche negli appartamenti, sicché la città poteva dirsi, quanto agli odori, una efficiente superautorimessa”. Questo è vero anche oggi, che “le raffinerie del Pero” non ci sono più.

leuzzi@antiit.eu


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