Americani a Roma - gay, in allegria
“Nel
1946 e 1947 l’Europa era ancora off
limits per gli stranieri. Ma nel 1948 gli Italiani avevano cominciato a rimettersi
in sesto, dimostrando ancora una volta la loro straordinaria capacità di affrontare
il disastro che così perfettamente è bilanciata dalla loro assoluta incapacità
di affrontare il successo”. Comincia così, nel 1948, a Roma, in un appartamento
dell’American Academy, a una d i un paio di festicciole che Tennessee Williams dà per l’apertura
della casa che ha preso in affitto in via Aurora (porta Pinciana, via Veneto) la
conoscenza di Gore Vidal col già famoso e ricco commediografo. Con un elogio
anche di Roma, “in quei giorni una città tranquilla, dove difficilmente qualcuno era di troppo, a meno che non
fossimo noi, il primo gruppo di scrittori e artisti americani ad arrivare in
Europa dopo la guerra”.
Comincia
anche un rapporto lungo una vita, che Tennessee Williams spesso confonde nella
sue “Memorie” e Vidal precisa, raddrizza, arricchisce con grande verve, anche satirica – “the Bird”,
Tennessee Williams, detto altrimenti “l’autore di ‘Un tram chiamato desiderio’”,
allora trionfante a Broadway, “aveva trentasette anni, ma pretendeva di averne
trentatré, per la giusta ragione che i quattro anni da lui spesi lavorando per
una ditta di scarpe non contavano”. Il tono è questo. Il tema è la queerness, l’omosessualità che allora si
negava e Vidal era già famoso per sbandierare in tutti i toni in tutte le sedi,
sbarazzino ma anche scurrile. E si entra subito in tema: alla festa c’è, calato
da Firenze non invitato, l’angloamericano Harold Acton, poi storico famoso dei
Borboni e dei Medici, che farà degli incontri con i giovani americani, di cui invidia
i liberi costumi, il racconto in un libriccino di pettegolezzi, “More Memoirs of an Aesthete”, nel quale centra la serata invidioso sul ragazzo napoletano che si accompagna all’anfitrione,
che chiama Pierino –
erano anni che non solo Tennessee Williams e il futuro lord Acton navigavano
beati tra Napoli e Capri, e anche (Williams) Taormina, senza riserve e senza
scandalo, anche se l’epoca lgbtqia era di là da venire.
“Pierino”
era Raffaello, precisa Vidal, che poi ha seguito “the Bird” in America, dove si
è sposato e vive con i figli. Di Acton riportando il commento acido: “Né lui
(Tennessee Williams, n.d.r.) né nessuno del gruppo che incontrai con lui parlava
italiano, ma aveva un protegé tipicamente
napoletano che non poteva parlare inglese”. Il tono è questo, dispettoso a sua
volta, ma pieno di “cose”, notizie, persone, fatti. Acton, “una lunga e
meravigliosa vita senza interesse”. Santayana, “stranamente come mia nonna,
diventata improvvisamente calva”. Carson McCullers, “artisticamente dotata e
umanamente spaventosa”, che parla southern,
sempre in ansia per quello che se ne dice e scrive – “Parlava solo del suo lavoro.
Della sua grandezza. Il lugubre accento meridionale cantilenante non si fermava
mai”. Truman Capote, di cui Vidal faceva le imitazioni al telefono, ricorre in
molti aspetti, più di tutti, quando non diceva le bugie e quando le dice, per
un periodo in compagnia di Monster Women (ma
non di Harper Lee, sua coetanea e compagna di scuola, amica di una vita: qui
Vidal ha un buco), che quando andò a Parigi si voleva amante di Camus, e un
certo punto pure di Gide, i quali invece non ne sapevano nemmeno il nome, come
Vidal per caso appura. Paul e Jane Bowles. Frederic Prokosch. Anna Magnani – “il
meglio che si possa dire della Magnani è che le piacevano i cani” (con commenti
furibondi di Marlon Brando). Un Arbasino senza remore.
Un
articolo-saggio che la “New York Review of Books” rispolvera in regalo ai naviganti – per invogliarli
alla sottoscrizione. L’“età dell’oro” non è quella della gaytudine – o forse
sì, anche di questo, quando l’omosessualità interessava anche ai non gay proprio
per essere diversa, per non essere improsatura quotidiana. L’età dell’oro è di
quando gli scrittori facevano testo e personaggio: a Broadway “nella stagione
teatrale 1947-48 andavano in scena 43 nuovi testi teatrali. Nel 1974-75 ce n’erano
18”, in maggioranza testi importati dall’Inghilterra e “raffazzonate commedie
musicali”.
Recensendo
le “Memorie” di Tennessee Williams sulla “New York Review of Books” il 5
febbraio 1976 , Gore Vidal si lascia andare a una gustosissima carrellata di
personaggi “equivoci”, cioè queer,
cioè omosessuali, e aneddoti più o meno veritieri. Del drammaturgo trentasettenne
che ricorda di avere sconosciuto il Vidal aitante, bello, giovane di 22 anni, a
Roma nel 1948, mentre Vidal sa che lo ha seguito a New York sulla Quinta Strada,
mentre lui stava seguendo un altro – non ricorda più chi. Il pettegolezzo gay,
su chi è più gay, elevando a racconto. Ma con qualche spunto critico che sarà
di interesse se ci sarà un ritorno di storia della letteratura . Di Tennessee che
avrebbe sceneggiato nei tanti drammi la sua famiglia: Rose la Sorella. Edwina
la Madre, Dakin il Fratello, Cornelius il Padre,
il reverendo Dakin il Nonno, eccetera. E le conversioni di Williams, da ultimo quella
al cattolicesimo –
la scena finale è di Williams invitato a un ricevimento dai gesuiti, che li
sbalordisce, anzi li stomaca, parlando di Dio.
Gore
Vidal, Selected Memories of
the Glorious Bird and the Golden Age, “The New York
Review of Books”, free online
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