lunedì 28 giugno 2021

Americani a Roma - gay, in allegria

“Nel 1946 e 1947 l’Europa era ancora off limits per gli stranieri. Ma nel 1948 gli Italiani avevano cominciato a rimettersi in sesto, dimostrando ancora una volta la loro straordinaria capacità di affrontare il disastro che così perfettamente è bilanciata dalla loro assoluta incapacità di affrontare il successo”. Comincia così, nel 1948, a Roma, in un appartamento dell’American Academy, a una d i un paio di festicciole che Tennessee Williams dà per l’apertura della casa che ha preso in affitto in via Aurora (porta Pinciana, via Veneto) la conoscenza di Gore Vidal col già famoso e ricco commediografo. Con un elogio anche di Roma, “in quei giorni una città tranquilla, dove difficilmente qualcuno era di troppo, a meno che non fossimo noi, il primo gruppo di scrittori e artisti americani ad arrivare in Europa dopo la guerra”.
Comincia anche un rapporto lungo una vita, che Tennessee Williams spesso confonde nella sue “Memorie” e Vidal precisa, raddrizza, arricchisce con grande verve, anche satirica – “the Bird”, Tennessee Williams, detto altrimenti “l’autore di ‘Un tram chiamato desiderio’”, allora trionfante a Broadway, “aveva trentasette anni, ma pretendeva di averne trentatré, per la giusta ragione che i quattro anni da lui spesi lavorando per una ditta di scarpe non contavano”. Il tono è questo. Il tema è la queerness, l’omosessualità che allora si negava e Vidal era già famoso per sbandierare in tutti i toni in tutte le sedi, sbarazzino ma anche scurrile. E si entra subito in tema: alla festa c’è, calato da Firenze non invitato, l’angloamericano Harold Acton, poi storico famoso dei Borboni e dei Medici, che farà degli incontri con i giovani americani, di cui invidia i liberi costumi, il racconto in un libriccino di pettegolezzi, “More Memoirs of an Aesthete”, nel quale centra la serata invidioso sul ragazzo napoletano che si accompagna all’anfitrione, che chiama Pierino – erano anni che non solo Tennessee Williams e il futuro lord Acton navigavano beati tra Napoli e Capri, e anche (Williams) Taormina, senza riserve e senza scandalo, anche se l’epoca lgbtqia era di là da venire.
“Pierino” era Raffaello, precisa Vidal, che poi ha seguito “the Bird” in America, dove si è sposato e vive con i figli. Di Acton riportando il commento acido: “Né lui (Tennessee Williams, n.d.r.) né nessuno del gruppo che incontrai con lui parlava italiano, ma aveva un protegé tipicamente napoletano che non poteva parlare inglese”. Il tono è questo, dispettoso a sua volta, ma pieno di “cose”, notizie, persone, fatti. Acton, “una lunga e meravigliosa vita senza interesse”. Santayana, “stranamente come mia nonna, diventata improvvisamente calva”. Carson McCullers, “artisticamente dotata e umanamente spaventosa”, che parla southern, sempre in ansia per quello che se ne dice e scrive – “Parlava solo del suo lavoro. Della sua grandezza. Il lugubre accento meridionale cantilenante non si fermava mai”. Truman Capote, di cui Vidal faceva le imitazioni al telefono, ricorre in molti aspetti, più di tutti, quando non diceva le bugie e quando le dice, per un periodo in compagnia di Monster Women (ma non di Harper Lee, sua coetanea e compagna di scuola, amica di una vita: qui Vidal ha un buco), che quando andò a Parigi si voleva amante di Camus, e un certo punto pure di Gide, i quali invece non ne sapevano nemmeno il nome, come Vidal per caso appura. Paul e Jane Bowles. Frederic Prokosch. Anna Magnani – “il meglio che si possa dire della Magnani è che le piacevano i cani” (con commenti furibondi di Marlon Brando). Un Arbasino senza remore.
Un articolo-saggio che la “New York Review of Books” rispolvera in regalo ai naviganti – per invogliarli alla sottoscrizione. L’“età dell’oro” non è quella della gaytudine – o forse sì, anche di questo, quando l’omosessualità interessava anche ai non gay proprio per essere diversa, per non essere improsatura quotidiana. L’età dell’oro è di quando gli scrittori facevano testo e personaggio: a Broadway “nella stagione teatrale 1947-48 andavano in scena 43 nuovi testi teatrali. Nel 1974-75 ce n’erano 18”, in maggioranza testi importati dall’Inghilterra e “raffazzonate commedie musicali”.
         
Recensendo le “Memorie” di Tennessee Williams sulla “New York Review of Books” il 5 febbraio 1976 , Gore Vidal si lascia andare a una gustosissima carrellata di personaggi “equivoci”, cioè
queer, cioè omosessuali, e aneddoti più o meno veritieri. Del drammaturgo trentasettenne che ricorda di avere sconosciuto il Vidal aitante, bello, giovane di 22 anni, a Roma nel 1948, mentre Vidal sa che lo ha seguito a New York sulla Quinta Strada, mentre lui stava seguendo un altro – non ricorda più chi. Il pettegolezzo gay, su chi è più gay, elevando a racconto. Ma con qualche spunto critico che sarà di interesse se ci sarà un ritorno di storia della letteratura . Di Tennessee che avrebbe sceneggiato nei tanti drammi la sua famiglia: Rose la Sorella. Edwina la Madre, Dakin il Fratello, Cornelius il Padre, il reverendo Dakin il Nonno, eccetera. E le conversioni di Williams, da ultimo quella al cattolicesimo – la scena finale è di Williams invitato a un ricevimento dai gesuiti, che li sbalordisce, anzi li stomaca, parlando di Dio.  
Gore Vidal,
Selected Memories of the Glorious Bird and the Golden Age, “The New York Review of Books”, free online

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