sabato 26 giugno 2021

Cronache dell’altro mondo – corrette (124)

Sull’origine del corona virus, “la riconsiderazione giornalistica della storia del laboratorio è l’esito non solo di nuove informazioni – «The Washington post» ha pubblicato cinque articoli sul tema in prima pagina nelle due settimane e mezza passate, alcuni a seguito dell’inchiesta di 90 giorni che il presidente Biden ha affidato alle agenzie di informazione – ma di correzione di titoli e di commenti editoriali introdotti sui servizi giornalistici di un anno fa” – “The Washington Post”, 10 giugno.
Si correggono i titoli e i commenti vecchi, rileva il quotidiano, ponendo un problema: era la teoria dell’origine da laboratorio riconosciuta “falsa”, sia pure erroneamente, oppure si trattava di cautela eccessiva, e quindi di mancato approfondimento di una traccia che poteva essere giusta - la manipolazione dei virus in laboratorio è pratica vecchia e diffusa? I media furono quasi tutti per la soppressione di ogni ipotesi-laboratorio – non per indagini più approfondite, se possibile, ma per il rifiuto dell’ipotesi come “teoria complottistica”. Solo perché era stata assunta dal presidente Trump, che aveva proposto un’indagine a quella ora ordinata da Biden. “Lancet”, la bibbia della sanità, pubblicò un proclama di 27 scienziati americani che riducevano l’ipotesi laboratorio a “teoria cospirazionista”. Promotore della lettera, si è ora saputo, scrive ancotra “The Washington Post”, il titolare di una società americana che aveva organizzato il laboratorio di biogenetica di Wuhan.
Con la prima  diffusione del covid agli inizi del 2020, il ronista scientifico del “New York Times” Donald McNeill jr. scrisse di una teoria sull’origine del virus che lo riportava al laboratorio di ricerca biogenetica di Wuhan, invece che come un elemento patogeno formatosi fortuitamente in natura. L’articolo, circostanziato, 4 mila parole, due cartelle abbondanti. non fu pubblicato dal quotidiano, per problemi di deontologia professionale – “un disaccordo in buona fede”, secondo lo stesso McNeill, che poi ha lasciato il “New York Times”.

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