Giallo come un treno
Un
giallo italiano che fila come un treno. Nel plot,
e nel con orno – il corso di formazione all’Istituto di Medicina Legale,
un’ambientazione accademica che si direbbe perfetta, nel senso della verità
della cosa. Profuso, com’è d’obbligo
– chissà perché i best-seller devono
essere chilometrici (con danno anche economico: limitandoli a 200 pagine,
invece di 400, non se ne potrebbero fare due invece di uno?) – ma il giusto.
Con personaggi di spessore, non a due dimensioni cioè, o piatti. Per un plot a sorpresa naturalmente ma del
tutto vero, in ogni interstizio – se Gazzola lo ha scritto per caso e di corsa,
come dice, allora ha avuto la grazia infusa. La tensione va sull’onda hertziana
giusta, non si sbrodola – e non ha bisogno di effettacci: ogni poche pagine si
riannoda, su questo o quel particolare nuovo
Libero
anche, il giusto. Non c’è il partito preso femminista che fa vangelo: gli
uomini sono anche bravi, e giusti. La storia d’amore è tra una lei e un lui –
anzi due lui. In qualche punto Gazzola si spinge perfino a fare torto alle
donne in quanto estimatrici e acquirenti di arte contemporanea – quando è
risaputo che il business cultura
(compresi best-seller, i
romanzi) è opera di donne.
La
trovata della coinquilina giapponese è geniale, apre un mercato enorme – cinese
sarebbe stata meglio. E c’è anche, a p. 351, a Khartum, tutto quello che
bisogna sapere sull’Africa e invece sfugge - sarebbe stato più utile al povero Regeni del breviario di Cambridge.
Con pochi
svarioni. “Noartri” per il romanesco “noantri”. O la cena al bistroti di Villa
Pamphili. Giustificati: Gazzola è di
Messina, è pure brava ad ambientare tutto a Roma – anche se i belli-e-ricchi
accasati tra viale Manzoni e via Merulana stonano un po’ – l’area è d’immigrazione,
tutto l’Esquilino. L’impasse è del
genere giusto, maschile, ma non l’ortografia (empasse).
Alessia
Gazzola, L’allieva, Tea, pp. 376 € 5
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