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Giallo d’assalto, contro Castro
Uno Scerbanenco di destra, senza
veli, anema e core. Con un personaggio tutto muscoli e ardimento , cui
prometteva “una lunga serie” (la morte interruppe il proposito qualche mese
dopo, nel 1969, il romanzo uscirà postumo nel 1970): “il parà italiano Ulisse
Ursini”.
Ulisse non è solo un parà, alto
due metri, che Livorno rifiuta perché è “chiuso e difficile”, e inguaia le
minorenni. È uno che vuole l’azione, non un futuro o un posto - non lascia mai
la Luger di papà. E la cerca al bordello, dove altro, e tanto lamenta e
argomenta che si fa arruolare da una puttana vergine col Movimento Cuba Libera.
Come il cocktail, ma di puri e duri – alla donna i castristi hanno ucciso il
fratello, dopo averlo dissanguato con trasfusioni assassine. Insomma, tutto
l’armamentario della guerra fredda, tra succhiatori di sangue.
Una scelta programmatica, rara in
Scerbaneno, fin dall’esergo: “Anche oggi
esistono i soldati di ventura,\ come nei secoli passati:\ questa è la storia di
uno di essi”. Ne vuole costruire uno. Cui affiderà anche una filosofia,
anche questa inedita nel narratore alluvionale, ma ben “sistematica”: “Ciò che
distingueva l’uomo da qualunque altro essere vivente era la capacità di follia.
Solo l’uomo può essere folle, e anche ludicamente, serenamente folle. L’animale
può essere furioso di rabbia ma non folle, razionalmente folle”. Con richiami
all’onore. Per l’entusiasmo di Pinketts, che presenta il volume, e assicura: ho
impiegato otto anni a pubblicare il primo libro, mi hanno definito “giallista”,
alla “Lady Agata (senza l’h, n.d.r.) Christie”, poi cannibale, poi pulp, poi
noir, mentre ero solo un lettore ammiratore di Scerbanenco, della sua Milano
ricca e violenta.
Qui la violenza c’è. Con gli
ideali invece della ricchezza – Ulisse è un volontario, non un mercenario, un
volontario dell’azione. E l’azione non manca, movimentatissima: ogni capitolo
una nuova avventura, con scazzottature, fughe, inseguimenti, oppure scontri ad alto
livello, a Washington.
Il racconto “Lupa in convento”,
scritto a Poschiavo, già in Svizzera, nell’aprile 1944, si allega come contraltare a questo inno alla violenza: è un lugubre racconto
di guerra, di morte. Di brutalità, nell’ebetudine: la guerra, nel mentre che
Scerbanenco la vive, non ha senso. “Lupa” è l’ultima delle vivandiere rimaste,
che muore di sfinimento mentre muoiono i soldati che ne abusano, cantando le canzoni
della truppa. Un racconto svelto e grottesco, raggelante.
Giorgio Scerbanenco, Al servizio di chi mi vuole. Lupa in
convento, Garzanti, remainders, pp. 267 € 4,16
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