domenica 6 giugno 2021

Giallo d’assalto, contro Castro

Uno Scerbanenco di destra, senza veli, anema e core. Con un personaggio tutto muscoli e ardimento , cui prometteva “una lunga serie” (la morte interruppe il proposito qualche mese dopo, nel 1969, il romanzo uscirà postumo nel 1970): “il parà italiano Ulisse Ursini”.
Ulisse non è solo un parà, alto due metri, che Livorno rifiuta perché è “chiuso e difficile”, e inguaia le minorenni. È uno che vuole l’azione, non un futuro o un posto - non lascia mai la Luger di papà. E la cerca al bordello, dove altro, e tanto lamenta e argomenta che si fa arruolare da una puttana vergine col Movimento Cuba Libera. Come il cocktail, ma di puri e duri – alla donna i castristi hanno ucciso il fratello, dopo averlo dissanguato con trasfusioni assassine. Insomma, tutto l’armamentario della guerra fredda, tra succhiatori di sangue.
Una scelta programmatica, rara in Scerbaneno, fin dall’esergo: “Anche oggi esistono i soldati di ventura,\ come nei secoli passati:\ questa è la storia di uno di essi”. Ne vuole costruire uno. Cui affiderà anche una filosofia, anche questa inedita nel narratore alluvionale, ma ben “sistematica”: “Ciò che distingueva l’uomo da qualunque altro essere vivente era la capacità di follia. Solo l’uomo può essere folle, e anche ludicamente, serenamente folle. L’animale può essere furioso di rabbia ma non folle, razionalmente folle”. Con richiami all’onore. Per l’entusiasmo di Pinketts, che presenta il volume, e assicura: ho impiegato otto anni a pubblicare il primo libro, mi hanno definito “giallista”, alla “Lady Agata (senza l’h, n.d.r.) Christie”, poi cannibale, poi pulp, poi noir, mentre ero solo un lettore ammiratore di Scerbanenco, della sua Milano ricca e violenta.
Qui la violenza c’è. Con gli ideali invece della ricchezza – Ulisse è un volontario, non un mercenario, un volontario dell’azione. E l’azione non manca, movimentatissima: ogni capitolo una nuova avventura, con scazzottature, fughe, inseguimenti, oppure scontri ad alto livello, a Washington.
Il racconto “Lupa in convento”, scritto a Poschiavo, già in Svizzera, nell’aprile 1944, si allega come contraltare a questo inno alla violenza: è un lugubre racconto di guerra, di morte. Di brutalità, nell’ebetudine: la guerra, nel mentre che Scerbanenco la vive, non ha senso. “Lupa” è l’ultima delle vivandiere rimaste, che muore di sfinimento mentre muoiono i soldati che ne abusano, cantando le canzoni della truppa. Un racconto svelto e grottesco, raggelante.
Giorgio Scerbanenco, Al servizio di chi mi vuole. Lupa in convento, Garzanti, remainders, pp. 267 € 4,16

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