Giallo messicano – ieri come oggi
Una dei racconti recuperati
postumi, subito dopo la morte dello scrittore. Non il più felice: per la location alla moda, probabilmente, nel
1970, di gran grido, o sennò per nient’altro.
Uno delle serie esotiche. Che non
riescono a spolverare il vecchio metodo del “chi è stato”. Con investigatori
improbabili. Un po’ sbrodolati.
C’è Acapulco, Che è, era, gran
nome, quando queste cose usavano, anche più di Portofino, i luoghi dei ricchi.E
l’opulenza abbonda, anche nelle mance agli sbirri. Condita di un po’ di
nostalgia russo-ucraina: le principesse del titolo, signore di Acapulco, madre
figlia e nipote, sono Rudescenko. L’ambiente anche c’è tutto, il Messico come
uno se lo immagina, e Acapulco. Perfino la storia regge, o reggerebbe -
Scerbanenco non si scervella, la manipola come viene.
Va però veloce, molto meglio
delle serie “internazionali” (esotiche) che si leggono adesso. E sa di cose
viste – diavolo di un uomo, che stava a scrivere diciotto ore al giorno, come
avrà fatto a conoscere così bene (anche) Acapulco? con tutto il Messico
d’intorno? E, ci credereste?, in pieno fulgore, Acapulco è un luogo di
misfatti. Si comincia così: “Un morto, al Messico, è semplicemente un morto.
Specialmente ad Acapulco, ogni giorno viene commessa una media di sei omicidi,
tre quattro rapine e una dozzina di risse con feriti anche gravi, la bellezza
del luogo e i miliardi che vi scorrono, per misteriose ragioni psicanalitiche e
sociali, rende la gente più violenta e dedita all’uccidere”.
E ancora. Alla festa delle
principesse – è un giallo alla Poirot, di tutti possibili colpevoli – “ci sono
perfino i cinesi, eccoli lì, che stanno tramando per cinesizzare il Messico”.
Giorgio Scerbanenco, Le principesse di Acapulco, Garzanti,
remainders, pp. 94 € 3,12
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