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Il mondo di oggi cinquant'anni fa
Preceduto dall’entusiasmo di
Emmanuel Carrère, dickologo da sempre (ne ha fatto uno dei suoi personaggi dal
vero, “Io sono vivo, voi siete morti”), con il blurb “coraggio amici, leggete Ubik: è il libro di un uomo che ha
visto Dio”, la nuova traduzione si propone di “un romanzo psichedelico che ha
cambiato la fantascienza”. No, l’ha fatta
prospettivistica, futuribile. Perché c’è tutto. Tutto quello che allora, 1969,
non c’era, ma Dick ha saputo “prevedere”.
Carrère ricorda che un anno dopo
ricevette una telefonata da Timothy Leary, il guru degli psichedelici “liberi e
creativi”, che chiamava dalla stanza d’albergo di John Lennon in Canada, dove i
Beatles erano in tournée. Entrambi
strafatti, Leary e Lennon, ma capaci di dire che avevano appena letto “Ubik” e ne erano entusiasti. Ma anche
questo è inesatto: “Ubik” non è il libro dell’ “acido” – acido lisergico
(sostanza cui si devono molte vittime, p.es. Carlo Rivolta): Dick andava avanti
nella sua sterminata produzione letteraria, a volte per giorni e notti di seguito,
con le anfetamine, non con le droghe pesanti - e comunque con dosi di anfetamine
meno pesanti di quelle di Sartre (avrebbe preso l’acido una sola volta, così diceva, per fare l’esperienza).
Scrittore che si voleva amato, e quindi, perché no, scrittore-scrittore come
forse non ce n’è stati altri nel secondo Novecento, col sedere attaccato alla
sedia, senza bisogno di essere legati. Uno molto saggio in realtà, malgrado il
ritratto demoniaco di Carrère: la morte è l’unica certezza, la fede è il
miracolo della costanza.
Detto
dell’infatuazione di Carrère, il quale, ora lo sappiamo, s’infatua di personaggi
mediocri (compreso se stesso ultimamente), Dick procede a ritmo confusionale. Però
divertente. Di un divertimento soprattutto
verbale. Ubik, anglolatino per ubiquo, è la scansione reclamistica di ogni
capitolo: lo spray deodorante è Ubik, Ubik è “il modo migliore di
chiedere una birra”, è Ubik “il caffè istantaneo doppia fragranza” - e sarà la
salvezza, l’essere-tutto. In un mondo popolato da precog, precognitivi ma non
troppo: psi, telepati, e mille polizie. Molto americano, soprattutto le
polizie, ma anche contemporaneo, perfino visionario. Si va sulla luna, e si
ritorna. C’è già, 1966-69, internet, “macchina omeodiana”. C’è skype,
macchine si muovono a pannelli solari, ci sono motori di ricerca, si ricerca
digitando sigle.
Un divertimento
sessantottesco. Liberato, da ogni schema di genere. Si ascolta la “Missa
sollemnis” di Beethoven, seguita dal “Requiem” di Verdi, versetto per versetto –
ricordando, al culmine dell’azione, che Toscanini usava cantare alle esecuzioni
con i cantanti. Fidel Castro è già “moneta obsoleta”, ora c’è Walt Disney.
C’è il consumismo, scandito capitolo per capitolo dagli Ubik. Con i bitcoin: “Con
del denaro che non vale niente si acquistano articoli che non valgono niente” – si chiamano
più onestamente “poscrediti”.
La filosofia, verso il fondo, con
abbondanza di Platone, è semplice: “L’io contiene – non il ragazzo – ma gli
uomini precedenti”. Non una grande filosofia come si vede, “la storia è
cominciata tanto tempo fa”. Quanto al futuro, si può credere al “Libro tibetano
dei morti”, chi lo impedisce, alla reincarnazione.
Nella nuova traduzione di Marinella
Magri (Fanucci, che pure aveva e ha in catalogo una sua traduzione, con ottima
introduzione di Pagetti, ha ceduto i diritti?): c’è sempre qualcosa da
migliorare nella prosa di Dick, che è piuttosto trascurata.
Philip K. Dick, Ubik, Oscar, pp. 252 € 13,50
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