mercoledì 9 giugno 2021

Il mondo di oggi cinquant'anni fa

Preceduto dall’entusiasmo di Emmanuel Carrère, dickologo da sempre (ne ha fatto uno dei suoi personaggi dal vero, “Io sono vivo, voi siete morti”), con il blurb “coraggio amici, leggete Ubik: è il libro di un uomo che ha visto Dio”, la nuova traduzione si propone di “un romanzo psichedelico che ha cambiato  la fantascienza”. No, l’ha fatta prospettivistica, futuribile. Perché c’è tutto. Tutto quello che allora, 1969, non c’era, ma Dick ha saputo “prevedere”.
Carrère ricorda che un anno dopo ricevette una telefonata da Timothy Leary, il guru degli psichedelici “liberi e creativi”, che chiamava dalla stanza d’albergo di John Lennon in Canada, dove i Beatles erano in tournée. Entrambi strafatti, Leary e Lennon, ma capaci di dire che avevano  appena letto “Ubik” e ne erano entusiasti. Ma anche questo è inesatto: “Ubik” non è il libro dell’ “acido” – acido lisergico (sostanza cui si devono molte vittime, p.es. Carlo Rivolta): Dick andava avanti nella sua sterminata produzione letteraria, a volte per giorni e notti di seguito, con le anfetamine, non con le droghe pesanti - e comunque con dosi di anfetamine meno pesanti di quelle di Sartre (avrebbe preso l’acido una sola  volta, così diceva, per fare l’esperienza). Scrittore che si voleva amato, e quindi, perché no, scrittore-scrittore come forse non ce n’è stati altri nel secondo Novecento, col sedere attaccato alla sedia, senza bisogno di essere legati. Uno molto saggio in realtà, malgrado il ritratto demoniaco di Carrère: la morte è l’unica certezza, la fede è il miracolo della costanza.
Detto dell’infatuazione di Carrère, il quale, ora lo sappiamo, s’infatua di personaggi mediocri (compreso se stesso ultimamente), Dick procede a ritmo confusionale. Però divertente. Di un divertimento soprattutto verbale. Ubik, anglolatino per ubiquo, è la scansione reclamistica di ogni capitolo: lo spray deodorante è Ubik, Ubik è “il modo migliore di chiedere una birra”, è Ubik “il caffè istantaneo doppia fragranza” - e sarà la salvezza, l’essere-tutto. In un mondo popolato da precog, precognitivi ma non troppo: psi, telepati, e mille polizie. Molto americano, soprattutto le polizie, ma anche contemporaneo, perfino visionario. Si va sulla luna, e si ritorna. C’è già, 1966-69, internet, “macchina omeodiana”. C’è skype, macchine si muovono a pannelli solari, ci sono motori di ricerca, si ricerca digitando sigle.
Un divertimento sessantottesco. Liberato, da ogni schema di genere. Si ascolta la “Missa sollemnis” di Beethoven, seguita dal “Requiem” di Verdi, versetto per versetto – ricordando, al culmine dell’azione, che Toscanini usava cantare alle esecuzioni con i cantanti. Fidel Castro è già “moneta obsoleta”, ora c’è Walt Disney. C’è il consumismo, scandito capitolo per capitolo dagli Ubik. Con i bitcoin: “Con del denaro che non vale niente si acquistano articoli che non valgono niente” – si chiamano più onestamente “poscrediti”.
La filosofia, verso il fondo, con abbondanza di Platone, è semplice: “L’io contiene – non il ragazzo – ma gli uomini precedenti”. Non una grande filosofia come si vede, “la storia è cominciata tanto tempo fa”. Quanto al futuro, si può credere al “Libro tibetano dei morti”, chi lo impedisce, alla reincarnazione.
Nella nuova traduzione di Marinella Magri (Fanucci, che pure aveva e ha in catalogo una sua traduzione, con ottima introduzione di Pagetti, ha ceduto i diritti?): c’è sempre qualcosa da migliorare nella prosa di Dick, che è piuttosto trascurata.
Philip K. Dick, Ubik, Oscar, pp. 252 € 13,50

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