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Il terrorismo della buona coscienza
Rivisto, in programmazione su Sky
Cinema, questo film che ha confuso i critici, e quindi inevitabilmente la
prima visione, ha invece una linea netta, anche se impopolare: interroga l’Europa,
il “luogo della ragione e della libertà” dice a un certo punto la protagonista,
sui suoi limiti, sulla “buona coscienza” di sé. Un esito difficile. Anche
perché la vicenda procede su un equilibrio sottile. Ed è parlata in polacco
prevalentemente, cioè nella lingua di un Paese che lo spettatore sa che da
qualche tempo si distingue per la chiusura allo straniero - dopo avere
alimentato per un paio di decenni l’emigrazione, in Italia, in Germania e in
Inghilterra. La protagonista, una poetessa polacca che vive in Italia, attorno
a Volterra, figlia di una coppia di ebrei sopravvissuti a Auschwitz, premio
Nobel, finisce rinchiusa dal maresciallo dei Carabinieri suo ammiratore dentro
la gabbia-monumento ai morti dei lager eretta
nella piazza della cittadina.
Alla notizia del Nobel conferito
alla poetessa, il sindaco, spronato dal maresciallo, vuole celebrarla come
concittadina onoraria illustre. Il giorno della cerimonia è funestato da un
attentato kamikaze islamico a Campo dei Fiori a Roma con moltissime vittime. La
poetessa sconvolge la vita della
comunità facendo l’elogio alla festa della diversità, dell’accoglienza,
dell’islam, degli arabi, e la critica dell’Europa, annunciando il rifiuto del Nobel,
finendo col definire l’attentato “un’opera d’arte”. Lo spettatore non avverte
subito la stonatura, molti in fondo con qualche anno d’età rivivono ancora com
meraviglia l’attacco all’America con gli aerei dirottati nel 2001. Ma è l’esca
a una libertà di giudizio che si rivela una prigione.
La donna, apparentemente libera,
col marito, i nipoti, la figlia, l’amante, è rigida: chi l’ha sostenuta diventa
un nemico in città (il sindaco, in campagna elettorale, è criticato, il figlio
del maresciallo, bullizzato come “marocchino” perché sua madre è siciliana,
finisce in ospedale, al suo amante egiziano distruggono il locale), ma lei
rifiuta anche un piccolo passo, la semplice precisazione che non intende
spalleggiare il terrorismo. Finché il maresciallo, ubriacandosi per riuscire a
farlo, non la rinchiude – lei, che è stata la luce della sua vita applicata di
servitore dello Stato.
Non è sinistra e destra. È sinistra
senza senno: piena di sé, e quindi dogmatica, autoritaria. Incapace di parlare con
la figlia, lo spettatore rivede la poetessa ex post, volgare con l’amante dopo
le distruzioni (“hai bisogno di soldi?”), supponente con l’inviato di “Le
Monde”, venuto apposta da Parigi per chiederle la rettifica.
La recitazione, affidata da
Borcuh a solidi attori di prosa,
notevolissmi l’italo-inglese Vincent Riotta che fa il maresciallo, e l’italo-olandese
Lorenzo De Moor nei panni di Nassir, l’amante egiziano giovane, è del resto una
chiave scoperta della “trama” del film, del suo senso. Due personaggi
sicuramente “di sinistra” ma asciutti, anche Enzo Catania nel ruolo del marito servizievole,
“in pantofole”, contro l’eloquio
inarrestabile – pieno di sé - di Krystyna Janda, la poetessa.
Jacek Borcuh, Dolce fine giornata, Sky Cinema
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