La “differenza” ebraica
Annotazioni del 1931 in particolare, e per una buona metà di
dopo la guerra. Ultimate le “Ricerche filosofiche”, 1945, Wittgenstein confina
le riflessioni occasionali ai taccuini. Von Wright spiega i criteri della
scelta - omessi solo i riferimenti personali (quelli forse che avrebbero dato
gusto...). Ronchetti spiega di avere aggiunto qualche frammento, non molti. E
soprattutto di essersi astenuto, come von Wright consiglia, di annotare i
pensieri (circostanze, collegamenti, riferimenti).
Molto, nota dominante in questi pensieri, è su ebraismo\semitismo,
tema non comune nel dopoguerra. Wittgentesin fa a gara, si potrebbe dire, con
Heidegger per stabilire la “differenza ebraica”. A partire da subito, “la
tragedia è qualcosa di non ebraico”, e da se stesso. Con una sorta di rivendicazione
ebraica nell’anno in cui gli appunti sono più diffusi, il 1931. A p. 26: “Quando
Renan parla di «bon sens precoce»
delle ragazze semitiche (un’idea che mi è passata per la testa già da lungo
tempo), si riferisce alla loro mentalità impoetica,
che va direttamente al concreto. È proprio ciò che caratterizza la mia filosofia
“. E poco dopo, 32: “In questo mondo (il mio) non vi è tragicità” – contro ogni
evidenza biografica: suicidi, guerre,
morti, di amici, amanti, sensi di colpa fortissimi. E ancora, 37: “L’ebreo è una
landa desertica dove, sotto un sottile strato roccioso, si trovano però le
fluide masse infuocate dell’elemento
spirituale”. P. 47: “Il ‘genio? Ebreo è solo un santo. Il più grande pensatore
ebreo non è che un talento (io per esempio)”. Sindrome saprofitica? “È tipico
dello spirito ebraico capire l’opera di un altro meglio di quanto la capisca il suo autore”.
Un riflesso ubiquitario: “Nella natura di Rousseau c’è qualcosa di ebraico”. E
a proposito di potere e possesso, che “non sono la stessa cosa: “Se si dice che
gli ebrei non avrebbero alcun senso del possesso, ciò si concilia molto bene
con il fatto che ad essi piace essere ricchi… (Io, per esempio, non vorrei che i
miei cari diventassero poveri, perché auguro loro un certo potere…)”. O a
proposito della dissimulazione: “Si è detto talvolta che la segretezza e il
riserbo proprio degli ebrei sarebbero dovuti alla lunga persecuzione. Questo certamente
non è vero; al contrario, è sicuro che essi esistono ancora malgrado questa persecuzione
appunto perché tendono a questa segretezza”.
Dell’antisemitismo annoterà nel 1948, quindi “dopo”: “Se non puoi
sbrogliare una matassa, la cosa più intelligente che puoi fare è capirlo e la
cosa più onesta ammetterlo”.
Con molte annotazioni più o meno svagate, soprattutto sui musicisti,
Mendelssohn, Brahms, Bruckner, Schubert, Wagner, Mahler (“se è vero, come credo,
che la musica di Mahler non vale niente”…), Beethoven, Mozart. E qualche leggerezza.
Le donne inglesi gli europei non le capiranno mai. Meglio un film americano
ingenuo o stupido che un film europeo scaltrito. Altri da biscotto della fortuna.
“Il volto è l’anima del corpo”.
Molto Shakespeare. Molto Freud, contro Freud - usando cioè lo
stesso Freud, ingegnoso ma pessimo: “Con le sue fantasiose pseudo-spiegazioni
(e proprio perché sono ingegnose), ha reso un pessimo servizio”. Sui sogni, su
tutto. Hitler compare solo nel 1945. E qualche cattiveria: “Leggendo i dialoghi
socratici si ha questa sensazione: che terribile spreco di tempo!”, su
“argomentazioni che nulla dimostrano e nulla chiariscono”.
È la ripsoposta dell’edizione
1980.
Ludwig Wittgenstein, Pensieri diversi, Adelphi, pp.180 € 12
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