La peste siamo noi
“La peste è fra noi perché è già
da sempre in noi. Noi siamo la peste e l’antidoto alla peste. L’infezione e la
cura. I vettori del contagio e il vaccino”. È condizione vitale: “Solo dove c’è
esposizione alla furia devastante del microbo c’è vita”. Sopravvive “colui che
è immune”. Di più, “essenza della civiltà è l’immunità”. Ma come si
distribuisce l’immunità, con quale criterio? “Sembrerebbe difficile poter indicare
altro che il caso. O tutt’al più la selezione naturale”. Un ordine dunque,
seppure disordinato (irregolare) e incolpevole? Ma ipostatizzando un
procedimento, la selezione naturale, che è invece manipolabile?
Non si finirebbe con gli
interrogativi, la trattazione è densa, elaborata. Fluente: la peste, “questo
non-senso, è il senso”. La riflessione che meglio di tutte avrebbe dovuto
accompagnare la pandemia, un anno e mezzo ormai di sensi di colpa e di
incertezze – trascurata dall’editore, si sarà dimenticato di averla in catalogo,
dalla critica, dai media, che non amano riflettere? Partendo da Lucrezio – ma già Omero apre l’“Iliade”,
il poema della luce, con la peste.
“Colpa e destino” è il sottotitolo.
Sviluppato in un’introduzione concettosa sui due termini. In Jaspers, che la nozione
di colpa provò a formulare, non in senso biblico, in quello storico e politico.
E in Heidegger, che la risolve-decolpevolizza in destino. Qualcosa non funziona,
nota Givone: “felix culpa”, il peccato originale, è “l’ossimoro più improbabile”,
da Agostino a Kant. “Che cos’è la colpa tragica, o amartia, di cui il peccato originale sarebbe a suo modo la traduzione?”
Un non senso: “Per un verso colpevolizza e per l’altro assolve colui che ne è
portatore”. Altra è la tradizione greca: si parte dall’adikia, l’ingiustizia di Anassimandro, e si arriva alla colpa, di
genere e personale. “«La peste sono io!», esclama Edipo”, che “definisce se
stesso «male dei mali, male che genera male ed è generato dal male»”. Questo è il
“luogo del tragico, in quanto è il luogo della responsabilità e della libertà” –
“mentre in una visione materialistica e naturalistica la coscienza, ammesso che
si possa parlare di coscienza, è passiva”, deve giusto accomodarsi alla
necessità e pagare il debito, “in una visione mitico-religiosa, cui la
tragedia sofoclea rimanda, la coscienza è invece attiva: responsabilità e
libertà le appartengono”.
Lucrezio viene all’inizio,
imposta l’avvertenza, e ritorna, in esteso, alla fine. In sintesi: “Per
Lucrezio la natura è difettosa e quindi colpevole… Esatta allegoria della colpa
incolpevole è la peste”. Lucrezio come già Tucidide, e prima ancora Sofocle.
Si comincia con i romanzieri,
Cormac McCarthy, “La strada”, e Jack London, “La peste scarlatta” – prima della
quale, nel 2013 (“era l’estate del 2013 quando scoppiò la Peste”), ce n’era
stata una, la “peste Pantoblast”, nel 1984: la data orwelliana era già
romanzata. Ogni autore è lungamente analizzato, con non poche sorprese. Segue
Camus, lungamente. Che Givone pone sotto l’influenza di Melville - Moby Dick,
il Leviatano. Una anamnesi, inoltre, proponendo del racconto di Camus in
contrasto con quanto oggi si vive, si è vissuto, nei lockdown, la stanchezza nell’immobilità, anche del desiderio, anzi
proprio del desiderio. La peste, scrive Camus, “è poca cosa”. Anche nella sua
peste la vita si oscura e si opacizza. Ma è un grilletto, argomenta Givone, un
incentivo: “Riattiva la memoria, acuisce il desiderio”.
Seguono la peste in Artaud, nel “teatro
della crudeltà”, la Nazi-Peste,
analizzata nella forma della peste linguistica, repertoriata da Viktor
Klemperer nella grossa ricerca “L.T.I. Lingua Tertii Imperii”, la “banalità del
male” come spiegata da H.Arendt all’esterrefatto Gerschom Scholem, il “Sogno di
un uomo ridicolo” di Dostoevskij, molto Manzoni, del romanzo e della “Storia
dela colonna infame”, Leopardi (il “choléra” a Napoli), Berni, E.A .Poe, anch’esso
analizzato in lungo, il Puškin della pièce
“Festino in tempo di peste”, Mary Shelley dello sfortunato “L’ultimo uomo” – la
peste era tema diffuso a Londra nel primo Ottocento, Byron, “Darkness”, Percy
B. Shelley, “The revolt of islam”, e altri – e gli illustratori, tra essi
William Blake.
Si finisce con Boccaccio. E poi
di nuovo Lucrezio, a lungo.
Sergio Givone, Metafisica della peste, Einaudi, pp.
205 € 22
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