sabato 12 giugno 2021

La peste siamo noi

“La peste è fra noi perché è già da sempre in noi. Noi siamo la peste e l’antidoto alla peste. L’infezione e la cura. I vettori del contagio e il vaccino”. È condizione vitale: “Solo dove c’è esposizione alla furia devastante del microbo c’è vita”. Sopravvive “colui che è immune”. Di più, “essenza della civiltà è l’immunità”. Ma come si distribuisce l’immunità, con quale criterio? “Sembrerebbe difficile poter indicare altro che il caso. O tutt’al più la selezione naturale”. Un ordine dunque, seppure disordinato (irregolare) e incolpevole? Ma ipostatizzando un procedimento, la selezione naturale, che è invece manipolabile?
Non si finirebbe con gli interrogativi, la trattazione è densa, elaborata. Fluente: la peste, “questo non-senso, è il senso”. La riflessione che meglio di tutte avrebbe dovuto accompagnare la pandemia, un anno e mezzo ormai di sensi di colpa e di incertezze – trascurata dall’editore, si sarà dimenticato di averla in catalogo, dalla critica, dai media, che non amano riflettere?  Partendo da Lucrezio – ma già Omero apre l’“Iliade”, il poema della luce,  con la peste.
“Colpa e destino” è il sottotitolo. Sviluppato in un’introduzione concettosa sui due termini. In Jaspers, che la nozione di colpa provò a formulare, non in senso biblico, in quello storico e politico. E in Heidegger, che la risolve-decolpevolizza in destino. Qualcosa non funziona, nota Givone: “felix culpa”, il peccato originale, è “l’ossimoro più improbabile”, da Agostino a Kant. “Che cos’è la colpa tragica, o amartia, di cui il peccato originale sarebbe a suo modo la traduzione?” Un non senso: “Per un verso colpevolizza e per l’altro assolve colui che ne è portatore”. Altra è la tradizione greca: si parte dall’adikia, l’ingiustizia di Anassimandro, e si arriva alla colpa, di genere e personale. “«La peste sono io!», esclama Edipo”, che “definisce se stesso «male dei mali, male che genera male ed è generato dal male»”. Questo è il “luogo del tragico, in quanto è il luogo della responsabilità e della libertà” – “mentre in una visione materialistica e naturalistica la coscienza, ammesso che si possa parlare di coscienza, è passiva”, deve giusto accomodarsi alla necessità e pagare il debito, “in una visione mitico-religiosa, cui la tragedia sofoclea rimanda, la coscienza è invece attiva: responsabilità e libertà le appartengono”.
Lucrezio viene all’inizio, imposta l’avvertenza, e ritorna, in esteso, alla fine. In sintesi: “Per Lucrezio la natura è difettosa e quindi colpevole… Esatta allegoria della colpa incolpevole è la peste”. Lucrezio come già Tucidide, e prima ancora Sofocle.
Si comincia con i romanzieri, Cormac McCarthy, “La strada”, e Jack London, “La peste scarlatta” – prima della quale, nel 2013 (“era l’estate del 2013 quando scoppiò la Peste”), ce n’era stata una, la “peste Pantoblast”, nel 1984: la data orwelliana era già romanzata. Ogni autore è lungamente analizzato, con non poche sorprese. Segue Camus, lungamente. Che Givone pone sotto l’influenza di Melville - Moby Dick, il Leviatano. Una anamnesi, inoltre, proponendo del racconto di Camus in contrasto con quanto oggi si vive, si è vissuto, nei lockdown, la stanchezza nell’immobilità, anche del desiderio, anzi proprio del desiderio. La peste, scrive Camus, “è poca cosa”. Anche nella sua peste la vita si oscura e si opacizza. Ma è un grilletto, argomenta Givone, un incentivo: “Riattiva la memoria, acuisce il desiderio”.
Seguono la peste in Artaud, nel “teatro della crudeltà”, la Nazi-Peste, analizzata nella forma della peste linguistica, repertoriata da Viktor Klemperer nella grossa ricerca “L.T.I. Lingua Tertii Imperii”, la “banalità del male” come spiegata da H.Arendt all’esterrefatto Gerschom Scholem, il “Sogno di un uomo ridicolo” di Dostoevskij, molto Manzoni, del romanzo e della “Storia dela colonna infame”, Leopardi (il “choléra” a Napoli), Berni, E.A .Poe, anch’esso analizzato in lungo, il Puškin della pièce “Festino in tempo di peste”, Mary Shelley dello sfortunato “L’ultimo uomo” – la peste era tema diffuso a Londra nel primo Ottocento, Byron, “Darkness”, Percy B. Shelley, “The revolt of islam”, e altri – e gli illustratori, tra essi William Blake.
Si finisce con Boccaccio. E poi di nuovo Lucrezio, a lungo.      
Sergio Givone,
Metafisica della peste, Einaudi, pp. 205 € 22

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