Le primarie e la tirannia delle minoranze
Una dozzina di candidati, un voto confuso di
cui ancora si aspettano gli esiti, ma con una caratterizzazione precisa: alle
primarie del partito Democratico per il sindaco a New York c’è il candidato dei
neri, degli asiatici, dei latini, degli italo-americani, dei gay, delle donne, dei
“latini”, degli ebrei, e di altre “minoranze”, cioè di gruppi ristretti e bene identificati.
Le primarie sono essenzialmente una
mobilitazione di gruppo. Politico principalmente ma, in America, con non impercettibili connotazioni
etniche. A New York Eric Adams, che sicuramente avrà vinto le primarie
Democratiche, ed è anzi già quasi sindaco, è quello che è riuscito a mobilitare
e compattare la comunità afroamericana della città. Come il sindaco uscente De
Blasio, portato su alle primarie dalla comunità italo-americana.
Farsi maggioranza con le primarie, questa è le
verità dello strumento cardine - che si ritiene cardine - della democrazia:
vincere sfruttando le divisioni all’interno dei partiti, e la compattezza dei
sottogruppi: le primarie non sono determinate dalla più larga adesione ma dal
gruppo più compatto. Gruppo politico-personale come in Italia, le “correnti”. O
anche etnici come in America.
È il segreto del successo di Renzi, persona e
gruppo politico estramemnte minoritari che però, con la compattezza, hanno
dominato il Pds a Firenze per quasi vent’anni ora, e l’Italia per tutta la
passata legislatura. A Roma Gualtieri vince con gli zingarettiani – senza cioè
i lettiani. Diventa il candidato del Pd, e quindi andrà al ballottgaggio. E
solo dopo mostrerà le sue capacità, se ne ha. Renzi diventò il candidato Pd a
sindaco di Firenze mobilitando alle primarie i (pochi) voti ex Dc contro gli ex
Pci, divisi fra tre candidature. Lo stesso meccanismo ha applicato poi a
livello nazionale, nelle primarie per segretario Pd (ora, a Bologna come probabilmente altrove, gareggiando cioè alle primarie PD da fuori del PD, concorre solo a una pubblicità gratuita).
Una salda comunità, minoritaria ma unita, politica o etnica, è la via
per diventare maggioranza, entro un corpo più ampio ma non altrettanto coeso. Da qui le insofferenze, dentro i partiti e dentro le
nazioni, delle cosiddette maggioranze silenziose. Un sistema divisivo, questo
delle minoranze che si impongono, invece che unificante, come la politica (si)
vorrebbe. Delle minoranze s’intende che si difendano: le costituzioni si sono affermate
essenzialmente a questo fine. Con le primarie – in politica - diventano maggioritarie.
E, nella vecchia posizione, ideologica e psicologica, della minoranza da
proteggere, assolutiste: niente compatta una comunità più dei “diritti” da
imporre.
È il tema e lo snodo, oggi in Italia, della
legge Zan.
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