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Dialetto
– La lingua della “grande poesia”, per Cesare Pavese,
“Il mestiere di vivere”, 5 ottobre 1943 - nella fase in cui il dialetto è la
lingua. Tradito in questa funzione quando è stata “scoperto” e eretto a lingua:
“Il secolo scorso condusse a termine il tradimento del dialetto scoprendolo e
assegnandogli un posto accanto ala lingua letteraria Così il dialetto finì di
perdere quella sua all-pervadingness sottesa
a tutti gli sforzi letterari in lingua”, che da tempo si veniva disseccando,
nel rigore accademico: “La grande poesia era cresciuta su un terreno di lingua
e dialetto indifferenziati, il volgare”.
Disinformazione – “Alcibiade
tagliò le orecchie al suo bel cane e lo mandò sulla piazza, dimodoché il popolo
chiacchierasse di questo lasciandolo in pace nelle sua altre attività” –
Montaigne, ”Saggi”, Oscar, 1109
Follia – È solo umana. Così riflette un personaggio
di Scerbanenco, il romanziere, il paracadutista Ulissi di tutte le guerre: “Ciò
che distingueva l’uomo da qualunque altro essere vivente era la capacità di
follia. Solo l’uomo può essere folle, e anche ludicamente, serenamente folle.
L’animale può essere furioso di rabbia ma non folle, razionalmente folle”. Quindi: “La follia è il segno d’onore
dell’uomo”
E ancora: est gradus ad folliam.
Giornalismo –
“Eingesendet”, inviato, da un lontano Concerto di Capodanno a Vienna: ¨Polka
veloce di Johann Strauss, dedicata ai giornalisti, del cui appoggio c’è sempre
bisogno” – presentatrice alto-atesina.
Salvemini, giornalista, aveva “l’abominevole giornalismo italiano” - cit. da W. De Mauro, in “Pasolini: cronaca giudiziaria”, 253.
Grecia
e Roma
– La Grecia è un’isola, spiega Gertrude Stein (“Autobiografia di A lice B.
Toklas”) a Bertrand Russell, discorrendo di istruzione: “L’Inghilterra che è
un’isola ha bisogno della Grecia che fu o potrebbe essere stata un’isola. In
ogni caso il greco è essenzialmente una cultura isolana” – diverso il caso per
l’America, continua: “L’America ha bisogno essenzialmente di una cultura continentale
che è di necessità latina”.
Odissea
–
“Tutte le maniere di vedere il mondo sono buone, purché si torni”, anche dai lager di Hitler - Nicolas Bouvier, “L’uso
di mondo”, 1953, a proposito di un’ebrea macedone, “una ragazzona spessa e
rossa, piantata su larghi piedi nudi”, che è stata internata tre anni a
Ravensbrück, il lager nazista femminile, orgogliosa di essere stata in Germania
e di parlare tedesco.
Proust – Si direbbe scrittore “cattolico” – più di scrittori “cattolici” per etichetta, tipo Mauriac: ha riferimenti morali, rituali e religiosi unicamente cattolici, e più, e più sentitamente oltre che a proposito, di scrittori per definizione “cattolici”- Riferimenti non biblici, nemmeno evangelici (ma un po’ di vangelo c’è qua e là), eminentemente rituali (culti, chiese, santi, sacramenti, pratiche), ma sentiti, non d’accatto. Questo risalta nella brevità degli inediti, abbozzi di racconti, che ora si pubblicano sotto il titolo “Il misterioso corrispondente”: nell’economia ristretta della scrittura i riferimenti sono molteplici e, soprattutto, giusti. Anche sentiti, senza l’abituale distacco ironico. Nelel formule di rito, nei rinvii contestuali, nelle interrogazioni sulla vita, a partire dalla felix culpa (il peccato originale), nel ricorso frequente all’angiologia, inferno compreso. Con frequentazione di autori (Ernest Renan) anche condannati Tutto opera sua, o dei licei che ha frequentato benché laici, essendo cresciuto e educato in ambiente agnostico, anzi areligioso.
Scandinavi
–
Si tende (tendono?) a isolarsi, fuori dal contesto europeo, dentro il quale
pure si suppone siano cresciuti e si siano sviluppati, con letture, viaggi,
adattamenti. Da Andersen, Strindberg e Ibsen fino a Hamsun e compreso lo stesso
Bergman, il regista: non se ne dicono o sanno collegamenti, formazioni,
interessi, anche solo curiosità, rispetto a mondi altri, eccetto un po’ di
russi.
Si discute ora, politicamente, se la Russia
sia europea. Mentre si dà per scontato che gli scandinavi, danesi compresi, lo
siano a tutti gli effetti. Ma non c’è aspetto della cultura russa, poesia,
prosa, filologia (filosofia no, ma i
russi non “sono” filosofi), pittura, architettura, che non sia o non ambisca a
essere europeo. Non si conoscono invece,
non si indagano, attaches europee
degli scandinavi. Gli ultimi re di Svezia, non solo la regina Cristina, sono di
casa in Italia. Il regnante Carlo XVI Gustavo è italianista perfetto. Come il
suo nonno, Gustavo Adolfo, che da ultimo
si poteva incontrare, riservato ma semplice, a pasteggiare da “Cesaretto” a
Roma - al tempo successivo. quando era retto da Crocetta e Luciano - come con
un avventore qualsiasi, alla table d’hôte per singoli, ottantenne ben eretto,
riservato ma non muto).
Shakespeare – L’ “Enrico VI” Pavese legge come un romanzo, “uno dei più raccontati e ricchi lavoro di Shakespeare”. E si chiede: “Possibile che sia il suo primo dramma?”. Ha già tutta la “lingua tragica” di Shakespeare, “dalle volate retoriche alle saporose uscite popolari”. E “abbonda di vivissime descrizioni di gesta e di casi”, sempre illuminati dal wit. “È multicolore: le guerre in Francia, con avventure estere (la duchessa d’Auvergne, la Pucelle); gli intrighi e le fazioni in casa, con tumulti (Cade); le guerre feroci con tradimenti e alti e bassi e fughe (foresta in Scozia)”. Con un eroe per ciascuna delle tre parti: Talbot, York, Warwick, il soldato eroico e semplice, il pretendente capace e perseverante, il soldato eroico e politico”.
Tedeschi
–
Hanno metodo ma non organizzazione, insiste Gertrude Stein (“Autobiografia di A
lice B. Toklas”): “Gertrude Stein era solita infuriarsi quando gli inglesi
parlavano di organizzazione tedesca. Insisteva che i tedeschi non hanno
organizzazione, hanno metodo ma non organizzazione”. Non sanno applicare il
metodo, insisteva, perché “non sono moderni, sono un popolo arretrato”.
Viaggio – “Il viaggio
fornisce occasioni di sgranchirsi, ma non – come si credeva – la libertà”, è
una delle tante riflessioni in tema di Bouvier, scrittore di viaggi, “L’uso di
mondo”: “ Fa piuttosto provare una sorta di riduzione; privato del suo quadro
abituale, spogliato dalle abitudini come da un voluminoso imballaggio, il
viaggiatore si trova riportato a più umili proporzioni”. Ma con qualche
vantaggio: “Più aperto anche ala curiosità, all’intuizione, al colpo di fulmine”.
“La mobilità sociale del viaggiatore gli
rende l’oggettività più facile”, ancora Bouvier, nei confronti della comunità d’origine.
Il viaggio è in effetti nella diversità. “La virtù di un viaggio”, ancora
Bouvier, “è di purgare la vita prima che di guarnirla”.
letterautore@antiit.eu
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