letterautore
Bernhard, Thomas – Il “New
Yorker lo mostra giovane: bello, tonico, curato, sorriso di sfida. Di sofferenza
quindi autoinflitta, se non per gabbare il lettore – il lettore è un masochista.
Era un bel ragazzo, nel senso che si curava, voleva piacere, avere successo, e
visse comodo. Si fece vittima e santo a freddo: il personaggio misantropo, di
misantropia come fonte o chiave del successo.
Big Bang – È anzitutto
letterario, visione di poeta, catastrofico, di E.A.Poe, nel racconto “Eureka”.
Ottant’anni prima che fosse concepito, in qualche modo, razionalmente.
Calvino – “Scoiattolo
della penna” è definizione di Pavese in una lettera a lui indirizzata, il 29
luglio 1949, in risposta a una critica benevola ma maliziosa di “Tra donne
sole”. Non sufficientemente meditata dagli studiosi di Calvino.
Dante – È (anche) linguista: è il tema
di una “tornata” di studi dell’Accademia della Crusca martedì 15: “Non solo
italiano. Dante, il De Vulgari Eloquentia
e le lingue: una lezione per l’Europa?”. Che Francesco Sabatini, il presidente
onorario dell’Accademia, illustra sul “Corriere della sera”: “Perché Dante è
padre (anche) delle lingue d’Europa. Ne studiò la natura. E definì una carta
degli idiomi conosciuti”. Il tutto mentre intensificava la sua partecipazione
alla politica cittadina, di cui sarebbe poi stato vittima a vita. no studio e
un’analisi che Sabatini dimostra dotto, versatile, uno dei primi della disciplina,
dopo Tertulliano, sant’Agostino, sant’Ireneo di Lione, sicuramente il primo e il
maggiore dell’epoca moderna.
Hemingway – “È lo Stendhal
del nostro tempo”, annota Pavese perentorio il 14 marzo 1947 nel diario, “Il
mestiere di vivere”. Ma più avveduto che entusiasta, cinque giorni dopo lo
spiega: “Stendhal-Hemingway. Non raccontano il mondo, la società, non dànno il
senso si attingere e una larga realtà interpretando a scelta, a volontà – come
Balzac, come Tolstòj, come ecc. Hanno una costante di tensione umana che si risolve
in situazioni sensorio-ambientali rese con assoluta immediatezza”. E “su questa
costante han costruito un’ideologia, che è poi il loro mestiere d narratori:
l’energia, la chiarezza, la non-letteratura.
“Flaubert
sceglieva un ambiente; loro no.
“Dostojevskij
costruiva un mondo dialettico; loro no.
“Faulkner
stilizza atmosfere e mitologizza; loro no
“Lawrence
indagava una sfera cosmica l’insegnava;
loro no.
“Sono
i tipici narratori in prima persona”.
Quanto
avrà influito la fine di Pavese, il solitario, l’anti-Hemingway-personaggio, su
quella di Hemingway? Hemingway, che sapeva molto dell’Italia, specie dai suoi
estimatori, Fernanda Pivano in testa, sapeva di Pavese, del “Mestiere di vivere”? - Pivano, allieva di Pavese al liceo, il suo gognin, faccino, era stata da lui indirizzata alla lettura di Hemingway, oltre che di Whitman et al..
Hitleriano – L’h si rappresenta
con l’“hitleriano”, un soldato germanico in divisa con l’elmetto sotto la croce
uncinata rossobruna, nell’“Abecedario” di Munari, opera del 1942. Una cui copia
è andata all’asta ultimamente per 4 mila euro. Uno scivolone del designer
elegante e distaccato quale Munari sarebbe stato per mezzo secolo dopo la guerra.
Che nel dopoguerra provò a sostituirlo con “hangar”. Stefano Salis però lo
giustifica, sul “Sole 24 Ore Domenica”, causa autarchia: per illustrare l’h,
“Hotel, per autarchia, non si poteva usare, Hangar idem (e poi chi lo ha visto)”,
mentre il milite tedesco sì.
Letterato americano – È, si vuole,
tragico, perlomeno drammatico. Non uno che sta seduto a leggere e a scrivere. E.A.Poe,
il primo scrittore americano professionale, che viveva di scrittura, ha inventato
anche il personaggio: inventore di se stesso, come sarà poi i ogni scrittore
americano, con rare eccezioni. S pecie il narratore, meno il poeta, è uno che d
ve avere un passato a tinte melodrammatiche, aver provato vari mestieri,
manuali di solito, avere superato vari handicap, o infelicità, familiari,
amicali, personali, aver avuto incontri, o attraversato circostanze, miracolose
e possibilmente misteriose. E poi un
professionista serio, tanto che per stare al passo della professione deve
ricorrere all’alcol o alla droga. Ed è americano, non un viaggiatore – anche i
più vagabondi: Hemingway, Fitzgerald, lo stesso Melville (Henry James non è
“americano”).
Manzoni – Di “fantasia
nera” secondo Giovanni Macchia. Non solo nella peste, del romanzo e della “Colonna
infame”. Pessimista in effetti – pessimista più che depresso.
Parti – Nicolas Bouvier, “La polvere
del mondo”, incontrava settant’anni fa nella campagna di Mahabad, nel Nord
dell’Iran presso il lago di Urmia, Azerbaigian occidentale, solo “contadini che
non parlano che il curdo, lingua iraniana molto vicina al pehlvi dell’epoca dei
Parti”. Pehlvi o pahlavi. Poi parlato “in Persia”, secondo il Petit Robert, il
dizionario francese, “sotto la dinastia dei Sassanidi”, quindi a partire dal
III secolo d.C. fino alla conquista islamica.
Parti-parsi,
i fedeli dello zoroastrismo che ancora si contano in qualche parte dell’India?
E. A. Poe - Si voleva autore di “arabeschi”, dietro
l’orrore. Il primo scrittore
professionale americano, che vuole cioè vivere dei suoi articoli e racconti, dovette
soprattutto combattere, già allora, anni 1830-1840, per essere considerato uno
scrittore e non un pubblicista da poco. I suoi racconti del terrore intitolava “Racconti
del Grottesco e Arabesco”, per immetterli, con quest’ultimo termine, nel filone
letterario mainstream, farsi prendere
in considerazione dai critici, e non come autore di storie da pochi cents - mentre “scriveva” proprio
queste, storie di eccessi, anormalità: con “arabesco” si autodefiniva, e lo
scrisse, scrittore elegante, raffinato.
Ebbe
a esecutore letterario Rufus W.Griswold, un amico-nemico che ne fece il
personaggio postumo, a metà tra il demoniaco e il folle. Un letterato di poco
spessore, anche sfortunato (epilessia, tubercolosi, un’esplosione di gas, una
figlia in un treno deragliato, abbandonato dalla moglie, la terza, mentre moriva
di tbc), restato negli annali per il personaggio Poe. A Griswold se ne deve
anche il nome: Poe evitava i cognome Allan, dei genitori affidatari, firmando
Edgar Poe, Edgar A. Poe, e E. A. Poe, fu Griswold a sancirlo come Edgar Allan
Poe. Un personaggio di cui Poe, scrivendone anni prima, notava: “Cadrà
nell’oblio”, o ricordato solo come “il servitore infedele che abusò della
fiducia”. Poe era anche un mentalista?
Shakespeare
– È
poco elisabettiano, sia nel comico che nel tragico. Pavese, anglista
entusiasta, grande lettore anche di Shakespeare, non lo dice ma lo sottolinea
(“Il mestiere di vivere”, 14 ottobre 1943): Shakespeare è soprattutto witty, si diverte con le parole, e
immaginoso - “ha delle dubbie scene
senza immagini” ma “ne ha di ricchissime”. E anche (ib., due giorni dopo): “I
commediografi elisabettiani traggono il comico soprattutto dagli eventi (scherzi,
tiri, lazzi, etc.) Shakespeare soprattutto dalle parole (wit, battute, freddure, etc.).”
Viaggio – “Che sia qui il belo del viaggio: riscoprire il proprio luogo?”: Pavese, che non viaggiò, giusto a Roma, e giusto per lavoro (non sa e non dice niente di Roma), se lo dice “riscoprendo Torino, dopo 24 ore di assenza”. Gli amanti di viaggi scritti possono essere molto sedentari.
letterautore@antiit.eu
Nessun commento:
Posta un commento