Secondi pensieri - 453
zeulig
Altruismo – “La forma
tipica dell’egoismo che supera se stesso”, è deduzione di Lou Andreas Salomé,
“Riflessioni sul problema dell’amore”. Che si realizza meglio – più compiuto,
più proficuo – espandendosi. Si vede, con esito pratico coerente, nei volontari
delle onlus che assicurano il soccorso in mare alla tratta degli emigranti, E
con esito nullo o avverso nei volontari missionari all’avventura in Africa.
Amore – È ancora al tempo delle amebe? L’amore psichico Lou
Andreas Salomé riscontra (“Riflessioni sul problema dell’amore”) famosamente
sulla congiunzione delle amebe: “Le
amebe si accoppiano e riproducono
premendosi l’una nell’altra, fondendosi in modo assoluto in un unico essere e dividendosi di nuovo in amebe figlie”. Noi
non lo possiamo in ambito fisico: il corpo, avendo raggiunto un alto grado di
differenziazione, concede solo una piccola
parte al processo riproduttivo. Ma nell’ambito psichico, “troviamo stranamente
più degno di noi il punto di vista delle amebe”. Anzi ideale, superiore.
“È come
se la nostra differenziazione psichica fosse rimasta indietro rispetto a quella
fisica”, continua Salomé. O non più avanti? Che sia tornata alla
identificazione dopo essersene allontanata, per lungo tempo e in tutte le
civiltà, nella differenziazione dei
sessi, e delle età della vita, con relative funzioni? Tornata col romanticismo,
e la vita di coppia in appartamento (in ambito ristretto), nell’età dell’umidità
direbbe Virginia Woolf di “Orlando”, quando si misero i vetri alle finestre, e
tendine ai vetri. C’erano uxoricidi, anche sotto forma di suicidi indotti
(tanto poetici tra Sette e Ottocento), questa forma di identificazione prima
che di possesso, in precedenza? Non nei registri.
Corpo – Nelle leggi oltre che nel catechismo è
bestia da museruola. E il solo modo di essere, quello corporale, degno di rilievo in materia di colpa:
l’assassinio, come il peccato, è del corpo più che della mente – anche se si
pratica con minore frequenza, probabilmente, della violenza psichica. Nel rifiuto
cenobitico o eremitico del corpo, il santo si figura protetto e quasi monumentalizzato
dall’isolamento, come se i pensieri che l’isolamento affolla fossero tutti
belli-e-buoni. Può non essere così, anzi è più facile che non lo sia, ma il
pensiero così vuole.
C’è una
distinta funzione – e attività – tra corpo e spirito? Un distinto corso della
storia, tra pensiero e azione, che si ricompatta (razionalizza) ex post? Un modo
di essere fisico autonomo dal pensiero, dalla riflessione? Sì, c’è il mondo che
s chiama istintuale. Che poi normalmente la ragione interviene a correggere
(correzione), a sanare. Con effetto espansivo o riduttivo?
E c’è un
corpo distinto dall’animo, dallo spirito? L’effetto psicosomatico indotto da se
stessi: sicurezza come incertezza, malinconia, delusione, depressione, come
entusiasmo.
“Il
corpo è il potere più conservatore”, Lou Andreas Salomé, “Riflessioni sul
problema dell’amore”, “e molto s’imprime lentamente in esso per poi scomparire,
con altrettanta lentezza”. E superficialmente?
Potere
non sarebbe la parola giusta: il corpo è un recettore.
Dialetto – “Il dialetto è sottostoria”, C. Pavese, “Il
mestiere di vivere”, 11 marzo 1949: “L’ideale dialettale è lo stesso in tutti i
tempi. Il dialetto è sottostoria”. La lingua è “entrare nella storia”: “Nel
dialetto non si sceglie - si è immediati, si parla d’istinto. In lingua si
crea”.
È un più
e un meno nell’analisi di Pavese, che pure visse, volle vivere e scriverne, una
realtà “dialettale”, di provincia, di campagna. Come forma verbale riduttiva,
come forma espressiva ricca: “Beninteso il dialetto usato con fini letterari è
un modo di far storia, è una scelta, un gusto, etc.”.
Linguaggio – “Noi lottiamo
contro il linguaggio”, è tema ricorrente di Wittgenstein (qui nei “Pensieri
diversi”), filosofo che si può dire del linguaggio. Lotta impari, allora, e interminabile,
poiché il linguaggio è flessibile, sfuggente.
Ma, poi, c’è altro linguaggio che il nostro, quello che dall’acciarino in poi
si è venuto accumulando – stratificando certo, quindi un po’ nascosto, un po’ emergente,
e illuminato variamente.
Lo stesso Wittgenstein riflette subito dopo che “la filosofia non fa
mai un vero progresso, che ancora ci occupiamo degli stessi problemi filosofici
di cui si occupavano già i greci”, perché “il nostro linguaggio è rimasto lo stesso,
e ci seduce di continuo verso gli stessi interrogativi”. Il linguaggio evolve
lentamente. La storia, la parabola storica, è breve. Da qui la sensazione del
pensiero in surplace - come si
direbbe nel ciclismo su pista, dove ci si rincorre stando fermi, un istante più
dell’altro.
Orrore-Terrore – L’orrore spaventa, il terrore respinge. L’orrore è mentale, il terrore è corporeo fisico. L’orrore è una relazione e una scena, della riflessione
che interagisce con un ambiente. Il terrore riprende e sconvolge l’immaginazione,
non ne è governato.
I termini sono interscambiabili in letteratura spesso. P.es. parlando
di Poe, i cui racconti sono “capolavori del terrore” o “racconti dell’orrore”
indifferentemente. Mentre lo scrittore li intitolava “Racconti del Grottesco e
dell’Arabesco” – per sfuggire alla maledizione della letteratura di consumo, a
sensazione, fuori già allora, dal mainstream,
ma non senza ragione: ben scritti, i racconti anche dell’orrore sono pur sempre una
forma d’intrattenimento, di evasione – sono “grotteschi”, è la parola giusta.
Platone – “Leggendo i dialoghi socratici si ha
questa sensazione: che terribile spreco di tempo!”, è sfogo di Wittgenstein nel
1931 (“Pensieri diversi”, 38): “A che
servono queste argomentazioni che nulla dimostrano e nulla chiariscono?” Conversation pieces, prolisse?
Tesoro – C’è sempre un bene
segreto e inalienabile, nei miti, le fiabe, i racconti naturalmente di
avventura, ma anche nella storia politica, delle e fra le città greche, pegno
di alleanza, comunitaria (urbana) o fra comunità diverse. Da non cedere (commerciare,
monetizzare), da custodire con estrema cura e decisione. O segreto, se ancora
manca, da ricercare e scoprire. Di cui si sa che è prezioso e anzi indispensabile ma non la natura o la qualità – può essere
anche un foglio di carta. Una sorta di patrimonio esistenziale. Anche solo
virtuale.
Umorismo – Una visione del
mondo, secondo Wittgenstein (“Pensieri diversi”, 1948): “L’umorismo non è una
disposizione dell’animo, bensì una visione del mondo”. Una distinzione che serve
a capire la profondità del baratro in cui la Germania è caduta, spiega Wittgenstein,
quando si dice “che nella Germana nazista l’umorismo era stati estirpato”: la
gente continuava a essere anche di buon umore, ma senza umorismo.
Nella forma dell’ironia, Wittgenstein lo trova in Beethoven, “per la prima
volta” in musica: “Nel primo movimento della nona sinfonia, per esempio”. Non
lieve: “In realtà si tratta di un’ironia tremenda, e cioè dell’ironia del
destino”.
Con Wagner “l’ironia ritorna, ma in versione borghese”.
zeulig@antiit.eu
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