martedì 22 giugno 2021

Secondi pensieri - 453

zeulig


Altruismo
– “La forma tipica dell’egoismo che supera se stesso”, è deduzione di Lou Andreas Salomé, “Riflessioni sul problema dell’amore”. Che si realizza meglio – più compiuto, più proficuo – espandendosi. Si vede, con esito pratico coerente, nei volontari delle onlus che assicurano il soccorso in mare alla tratta degli emigranti, E con esito nullo o avverso nei volontari missionari all’avventura in Africa.
 
Amore
– È ancora al tempo delle amebe? L’amore psichico Lou Andreas Salomé riscontra (“Riflessioni sul problema dell’amore”) famosamente sulla congiunzione delle amebe:  “Le amebe si accoppiano e  riproducono premendosi l’una nell’altra, fondendosi in modo assoluto in un unico essere  e dividendosi di nuovo in amebe figlie”. Noi non lo possiamo in ambito fisico: il corpo, avendo raggiunto un alto grado di differenziazione,  concede solo una piccola parte al processo riproduttivo. Ma nell’ambito psichico, “troviamo stranamente più degno di noi il punto di vista delle amebe”. Anzi ideale, superiore.
“È come se la nostra differenziazione psichica fosse rimasta indietro rispetto a quella fisica”, continua Salomé. O non più avanti? Che sia tornata alla identificazione dopo essersene allontanata, per lungo tempo e in tutte le civiltà,  nella differenziazione dei sessi, e delle età della vita, con relative funzioni? Tornata col romanticismo, e la vita di coppia in appartamento (in ambito ristretto), nell’età dell’umidità direbbe Virginia Woolf di “Orlando”, quando si misero i vetri alle finestre, e tendine ai vetri. C’erano uxoricidi, anche sotto forma di suicidi indotti (tanto poetici tra Sette e Ottocento), questa forma di identificazione prima che di possesso, in precedenza? Non nei registri.
 
Corpo – Nelle leggi oltre che nel catechismo è bestia da museruola. E il solo modo di essere, quello corporale, degno di rilievo in materia di colpa: l’assassinio, come il peccato, è del corpo più che della mente – anche se si pratica con minore frequenza, probabilmente, della violenza psichica. Nel rifiuto cenobitico o eremitico del corpo, il santo si figura protetto e quasi monumentalizzato dall’isolamento, come se i pensieri che l’isolamento affolla fossero tutti belli-e-buoni. Può non essere così, anzi è più facile che non lo sia, ma il pensiero così vuole.
C’è una distinta funzione – e attività – tra corpo e spirito? Un distinto corso della storia, tra pensiero e azione, che si ricompatta (razionalizza) ex post? Un modo di essere fisico autonomo dal pensiero, dalla riflessione? Sì, c’è il mondo che s chiama istintuale. Che poi normalmente la ragione interviene a correggere (correzione), a sanare. Con effetto espansivo o riduttivo?  
E c’è un corpo distinto dall’animo, dallo spirito? L’effetto psicosomatico indotto da se stessi: sicurezza come incertezza, malinconia, delusione, depressione, come entusiasmo.

 
“Il corpo è il potere più conservatore”, Lou Andreas Salomé, “Riflessioni sul problema dell’amore”, “e molto s’imprime lentamente in esso per poi scomparire, con altrettanta lentezza”. E superficialmente?
Potere non sarebbe la parola giusta: il corpo è un recettore.
 
Dialetto – “Il dialetto è sottostoria”, C. Pavese, “Il mestiere di vivere”, 11 marzo 1949: “L’ideale dialettale è lo stesso in tutti i tempi. Il dialetto è sottostoria”. La lingua è “entrare nella storia”: “Nel dialetto non si sceglie - si è immediati, si parla d’istinto. In lingua si crea”.
È un più e un meno nell’analisi di Pavese, che pure visse, volle vivere e scriverne, una realtà “dialettale”, di provincia, di campagna. Come forma verbale riduttiva, come forma espressiva ricca: “Beninteso il dialetto usato con fini letterari è un modo di far storia, è una scelta, un gusto, etc.”.
 
Linguaggio – “Noi lottiamo contro il linguaggio”, è tema ricorrente di Wittgenstein (qui nei “Pensieri diversi”), filosofo che si può dire del linguaggio. Lotta impari, allora, e interminabile, poiché il linguaggio  è flessibile, sfuggente. Ma, poi, c’è altro linguaggio che il nostro, quello che dall’acciarino in poi si è venuto accumulando – stratificando certo, quindi un po’ nascosto, un po’ emergente,  e illuminato variamente.
Lo stesso Wittgenstein riflette subito dopo che “la filosofia non fa mai un vero progresso, che ancora ci occupiamo degli stessi problemi filosofici di cui si occupavano già i greci”, perché “il nostro linguaggio è rimasto lo stesso, e ci seduce di continuo verso gli stessi interrogativi”. Il linguaggio evolve lentamente. La storia, la parabola storica, è breve. Da qui la sensazione del pensiero in surplace - come si direbbe nel ciclismo su pista, dove ci si rincorre stando fermi, un istante più dell’altro.
 
Orrore-Terrore – L’orrore spaventa, il terrore respinge. L’orrore è mentale, il terrore è corporeo fisico.  L’orrore è una relazione e una scena, della riflessione che interagisce con un ambiente. Il terrore riprende e sconvolge l’immaginazione, non ne è governato.
I termini sono interscambiabili in letteratura spesso. P.es. parlando di Poe, i cui racconti sono “capolavori del terrore” o “racconti dell’orrore” indifferentemente. Mentre lo scrittore li intitolava “Racconti del Grottesco e dell’Arabesco” – per sfuggire alla maledizione della letteratura di consumo, a sensazione, fuori già allora, dal mainstream, ma non senza ragione: ben scritti, i  racconti anche dell’orrore sono pur sempre una forma d’intrattenimento, di evasione – sono “grotteschi”, è la parola giusta.
 
Platone “Leggendo i dialoghi socratici si ha questa sensazione: che terribile spreco di tempo!”, è sfogo di Wittgenstein nel 1931 (“Pensieri diversi”, 38): “A che servono queste argomentazioni che nulla dimostrano e nulla chiariscono?” Conversation pieces, prolisse?
 
Tesoro – C’è sempre un bene segreto e inalienabile, nei miti, le fiabe, i racconti naturalmente di avventura, ma anche nella storia politica, delle e fra le città greche, pegno di alleanza, comunitaria (urbana) o fra comunità diverse. Da non cedere (commerciare, monetizzare), da custodire con estrema cura e decisione. O segreto, se ancora manca, da ricercare e scoprire. Di cui si sa che è prezioso e anzi indispensabile  ma non la natura o la qualità – può essere anche un foglio di carta. Una sorta di patrimonio esistenziale. Anche solo virtuale.
 
Umorismo – Una visione del mondo, secondo Wittgenstein (“Pensieri diversi”, 1948): “L’umorismo non è una disposizione dell’animo, bensì una visione del mondo”. Una distinzione che serve a capire la profondità del baratro in cui la Germania è caduta, spiega Wittgenstein, quando si dice “che nella Germana nazista l’umorismo era stati estirpato”: la gente continuava a essere anche di buon umore, ma senza umorismo.
 
Nella forma dell’ironia, Wittgenstein lo trova in Beethoven, “per la prima volta” in musica: “Nel primo movimento della nona sinfonia, per esempio”. Non lieve: “In realtà si tratta di un’ironia tremenda, e cioè dell’ironia del destino”.
Con Wagner “l’ironia ritorna, ma in versione borghese”.


zeulig@antiit.eu

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