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Viaggio povero da Ginevra all’Afghanistan
Proposto imperativamente da Paolo
Rumiz già nella “Leggenda dei monti naviganti” del 2007, e ora nella prefazione
di questa riedizione, quale scrittore “maestro di sobrietà”, anzi di “frugalità
letteraria” – “qui è difficile trovare
una parola di troppo” – autore di un racconto che “vi prenderà fin dalla prima pagina”,
“uno dei più grandi libri di viaggio di sempre”, e di “quei libri cui non è
possibile aggiungere nulla e che hanno raggiunto la perfezione”, forse per
questo è di lettura improba. Ma “aggiungere” non si vede perché, perché il racconto
non si fa mancare nulla, a parte la misura.
A giugno del 1953 Bouvier, 24
anni, ginevrino di buona famiglia, calvinista, lascia la sua città, dove ha studiato
sanscrito, storia medievale e diritto, a bordo di una Fiat “Topolino”,
raggiunge a Belgrado il quasi coetaneo pittore Thierry Vernet, e con lui intraprende
un viaggio di un anno e mezzo fino al kiplinghiano Khyber Pass, attraversando
l’ex Jugoslavia, l’Anatolia, il Nord dell’Iran (Tabriz), il Pakistan pashtun (Quetta), l’Afghanistan, fino a
Battriana, oltre l’Oxus, dove archeologi francesi cercano la città di
Alessandro Magno. Ha già esperienza di viaggi, brevi, in Francia, Algeria e
Jugoslavia. Ne farà dieci anni dopo,
pubblicandolo a spese d’autore, questo racconto. Di avventure per lo più
pratiche, legate all’attraversamento di fiumi, spesso esondati, quindi a guado, dopo aver svuotato la
Topolino della batteria e altre parti elettriche, o di montagne, su per le
quali bisogno spingere la Topolino più che esserne trasportati. La capacità
aneddotica emerge qua e là, nelle figure anonime che il giovane Bouvier incontra,
tutte per qualche verso poco regolamentari. Ma come seppellita di proposito sotto
la moltiplicazione del dettaglio, non sempre significante. Che si tratti di persone,
di etnie, serbi, bosniaci, armeni, curdi, beluci, pashtuni, di lingue, di
canti, di cibi.
A Bouvier si accredita per questo
“La polvere del mondo” un misto di cose
viste, singolarità (personaggi, situazioni), e cultura, letteraria,
linguistica, storica, geografica, sociale. Ingredienti che ci sono, ma
annegati. L’edizione Diabasis, una dozzina d’anni fa, con prefazione di
Starobinski, altro ginevrino, lo conteneva in metà delle pagine. Gli editori
dell’ebook lo propongono come un viaggio, più che altro, alla scoperta di se
stessi, come sarà poi “Lo Zen e l’arte della manutenzione della motocicletta”
di Robert M. Pirsig, e questo è già più vero.
“La polvere del mondo” fu
pubblicato nel 1963, in Francia, a spese d’autore. D’immediato successo ma solo
in Francia. Recuperato cinquant’anni dopo, è stato paragonato, chissà perché,
all’“Odissea”, e a “Moby Dick”. Forse da qualcuno che non l’ha letto.
Si legge oggi come un libro di avventure,
modeste. Un libro forse documentario, ma di un mondo passato. Lo stesso Rumiz
spiega che, tornato a Prilep in Macedonia un Ferragosto da fervente bouvieriano,
ci ha trovato “un buco polveroso”, dove non c’è motivo di fermarsi, “perso tra
alture brulle e minareti, con un fiumiciattolo torbido”. Quindi nemmeno
documentario. L’entrata in Afghanistan attraverso il Khyber Pass si vorrebbe
epica, ma il passo è alto appena mile metri, resta evocativo se legato ai
racconti di Kipling – alle disfatte degli inglesi.
Si legge oggi come un libro di
avventure, modeste. Sei mesi a Tabriz. Ma perché bloccati dalla neve. Senza
niente da fare, eccetto che guadagnarsi da vivere, suonando al piano bar. Gli
Armeni. Mossadeq. Ma niente che non si sappia – poco in realtà. La rottura di un
pistone. I grassi mercanti attratti dagli stranieri – europei non ricchi, non
potenti. In Turchia “la penetrazione della polizia” colpisce – perché oggi è
com’era ieri.
Con qualche pezzo di bravura. La
lettura della “Bibbia deli Assiri”. O a Mahabad, Curdistan iraniano, sotto il
lago di Urmia, la pensione-prigione: Bouvier e Vernet debbono, cioè possono, dormire
e mangiare in prigione perché due stranieri senza mestiere sono naturalmente
sospetti, al capoposto locale di polizia – che così se ne può gloriare. E in
coda: “In Iran niente è impossibile”, tutte le notizia sono buone, anche se
improbabili o false - “l’anima ha molta latitudine, per il meglio come per il
peggio” (ma anche qui, conoscendo l’Iran, una domanda s’impone: che Iran
Bouvier ha conosciuto, in Iran la memoria è lunga, perfino troppo).
L’edizione Feltrinelli riproduce
quella de “La Découverte”, con le llustrazioni di Vernet.
Nicolas Bouvier, La polvere del mondo, Feltrinelli, pp.
432 € 19
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