giovedì 24 giugno 2021

Viaggio povero da Ginevra all’Afghanistan

Proposto imperativamente da Paolo Rumiz già nella “Leggenda dei monti naviganti” del 2007, e ora nella prefazione di questa riedizione, quale scrittore “maestro di sobrietà”, anzi di “frugalità letteraria”  – “qui è difficile trovare una parola di troppo” – autore di un racconto che “vi prenderà fin dalla prima pagina”, “uno dei più grandi libri di viaggio di sempre”, e di “quei libri cui non è possibile aggiungere nulla e che hanno raggiunto la perfezione”, forse per questo è di lettura improba. Ma “aggiungere” non si vede perché, perché il racconto non si fa mancare nulla, a parte la misura.
A giugno del 1953 Bouvier, 24 anni, ginevrino di buona famiglia, calvinista, lascia la sua città, dove ha studiato sanscrito, storia medievale e diritto, a bordo di una Fiat “Topolino”, raggiunge a Belgrado il quasi coetaneo pittore Thierry Vernet, e con lui intraprende un viaggio di un anno e mezzo fino al kiplinghiano Khyber Pass, attraversando l’ex Jugoslavia, l’Anatolia, il Nord dell’Iran (Tabriz), il Pakistan pashtun (Quetta), l’Afghanistan, fino a Battriana, oltre l’Oxus, dove archeologi francesi cercano la città di Alessandro Magno. Ha già esperienza di viaggi, brevi, in Francia, Algeria e Jugoslavia. Ne farà dieci anni  dopo, pubblicandolo a spese d’autore, questo racconto. Di avventure per lo più pratiche, legate all’attraversamento di fiumi, spesso esondati,  quindi a guado, dopo aver svuotato la Topolino della batteria e altre parti elettriche, o di montagne, su per le quali bisogno spingere la Topolino più che esserne trasportati. La capacità aneddotica emerge qua e là, nelle figure anonime che il giovane Bouvier incontra, tutte per qualche verso poco regolamentari. Ma come seppellita di proposito sotto la moltiplicazione del dettaglio, non sempre significante. Che si tratti di persone, di etnie, serbi, bosniaci, armeni, curdi, beluci, pashtuni, di lingue, di canti, di cibi.
A Bouvier si accredita per questo “La polvere del mondo”  un misto di cose viste, singolarità (personaggi, situazioni), e cultura, letteraria, linguistica, storica, geografica, sociale. Ingredienti che ci sono, ma annegati. L’edizione Diabasis, una dozzina d’anni fa, con prefazione di Starobinski, altro ginevrino, lo conteneva in metà delle pagine. Gli editori dell’ebook lo propongono come un viaggio, più che altro, alla scoperta di se stessi, come sarà poi “Lo Zen e l’arte della manutenzione della motocicletta” di Robert M. Pirsig, e questo è già più vero.
“La polvere del mondo” fu pubblicato nel 1963, in Francia, a spese d’autore. D’immediato successo ma solo in Francia. Recuperato cinquant’anni dopo, è stato paragonato, chissà perché, all’“Odissea”, e a “Moby Dick”. Forse da qualcuno che non l’ha letto.
Si legge oggi come un libro di avventure, modeste. Un libro forse documentario, ma di un mondo passato. Lo stesso Rumiz spiega che, tornato a Prilep in Macedonia un Ferragosto da fervente bouvieriano, ci ha trovato “un buco polveroso”, dove non c’è motivo di fermarsi, “perso tra alture brulle e minareti, con un fiumiciattolo torbido”. Quindi nemmeno documentario. L’entrata in Afghanistan attraverso il Khyber Pass si vorrebbe epica, ma il passo è alto appena mile metri, resta evocativo se legato ai racconti di Kipling – alle disfatte degli inglesi.
Si legge oggi come un libro di avventure, modeste. Sei mesi a Tabriz. Ma perché bloccati dalla neve. Senza niente da fare, eccetto che guadagnarsi da vivere, suonando al piano bar. Gli Armeni. Mossadeq. Ma niente che non si sappia – poco in realtà. La rottura di un pistone. I grassi mercanti attratti dagli stranieri – europei non ricchi, non potenti. In Turchia “la penetrazione della polizia” colpisce – perché oggi è com’era ieri.
Con qualche pezzo di bravura. La lettura della “Bibbia deli Assiri”. O a Mahabad, Curdistan iraniano, sotto il lago di Urmia, la pensione-prigione: Bouvier e Vernet debbono, cioè possono, dormire e mangiare in prigione perché due stranieri senza mestiere sono naturalmente sospetti, al capoposto locale di polizia – che così se ne può gloriare. E in coda: “In Iran niente è impossibile”, tutte le notizia sono buone, anche se improbabili o false - “l’anima ha molta latitudine, per il meglio come per il peggio” (ma anche qui, conoscendo l’Iran, una domanda s’impone: che Iran Bouvier ha conosciuto, in Iran la memoria è lunga, perfino troppo).
L’edizione Feltrinelli riproduce quella de “La Découverte”, con le llustrazioni di Vernet.
Nicolas Bouvier,
La polvere del mondo, Feltrinelli, pp. 432 € 19

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