Camus si diverte
Un
ingegnere che è in realtà un Capitano marittimo reduce da un naufragio, una
diga (forse) da costruire, dono del governo francese al paese africano, siamo
in Africa, una festa di possessione, la festa in chiesa con gli ex voto, una
pietra enorme da trasportare sulle spalle, di cui l’Ingegnere si fa infine
carico, il tropico asfissiante. Un Camus esotico (in Francia ancora si può, qui
ci sono ancora i neri, e perfino i negretti), narratore puro.
Due
racconti estratti dalla raccolta “L’esilio e il regno”, “L’exil et le royaume”.
Il racconto del titolo è dell’artista al lavoro, in casa, e quindi dell’opera
d’arte rimandata: la moglie è affettuosa, i figli crescono, gli amici
s’installano, gli spazi si restringono, il tempo manca, qualche pennellata si può dare, ma vaga. Alla fine, sulla tela
bianca, una parola qualcuno legge, scarabocchiata, forse “solitaire”,
solitario, forse “solidaire”, solidale. Dell’artista che non vuole dispiacere a
nessuno, compresi i critici, anche se vieppiù perplessi.
Un
Camus umorista. Anche in Africa – seppure oggi scorretto, e anzi forse
impubblicabile. L’Africa è sempre “profonda”, come usava dire, grandi fiumi
grigi, umidità, personaggi, usi e natura inaccessibili – l’esotismo era
l’inaccessibilità, anche delle donne. Ma non per Camus, che conosce la cosa. Il
Tropico, “La pierre qui pousse”, è afrore, e stanchezza. Il fiume scorre
“monotono”. Il gergo locale fose non è evocativo, magmatico, esorcistico, forse
è solo limitato, ripetitivo per non sapere come altro dire..
Albert
Camus, Jonas ou l’artiste au travail,
Folio, pp. 120 € 2
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