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C’è un’altra Europa a Est di Trieste
A
cinquant’anni, senza allenamento, con qualche dolorino, Paolo Rumiz parte col
figlio Michele, sedicenne, per un gita in bicicletta da Trieste fino a Vienna.
Farà poi Trieste-Kiev e Berlino-Istanbul in treno, il Danubio su chiatta,
l’Adriatico ex Dalmazia in automobile. Nell’“Oriente”, l’Europa ha ancora un
Oriente. Anche se qualcuno, lamenta Rumiz, lo vuole ridurre a Est, una sigla. Ma
il “viaggio” di questi racconti è fisico, esemplato dalla bici – si conclude
col “profondo Nord-Est” in bici: si fatica, ma si capisce forse di più, comunqne
si assapora, la fatica è una morfina.
Uno
dei primi titoli di Rumiz viaggiatore. Scritti in gran parte per “la
Repubblica” nei tardi anni 1990 – Rumiz sarà stato il grande acquisto di
Scalfari al suo quotidiano, se non l’unico, la promessa che diventa un
campione. Senza dimenticare il gusto e la sensibilità per i Balcani, per la
storia recente e la politica. In Italia purtroppo ancora terra incognita benché limitrofa. Nonché un grande mercato, dalla
Slovenia all’Ungheria, le cui aperture sono dall’Italia ignorate. La miseria
dell’asse ferroviario europeo n.5, Milano-Trieste-Lubiana-Budapest, a fronte del
velocissimo e trafficatissimo Parigi-Monaco-Vienna-Budapest è perfino esilarante,
roba da farsa.
Ma
con Rumiz più di tutto si viaggia nella natura fisica: le carte al 100 mila,
anche al 50, in dettaglio, programmate toponimo per toponimo, poca gastronomia,
il giusto, e Borges, Shakespeare, i geni dei luoghi. Un sacrificio s’immagina,
in bici o anche in treno, fissare dei tanti viaggi, mentalmente e magari su carta, le impressioni
piccole e grandi, faticoso. Ma il racconto scivola senza frizioni, lieve anzi, al
lettore chiedendo solo uno sguardo posato. Per un’invenzione che sa di realismo, di cose – di cose viste,
in tralice.
Magistrale l’analisi delle
Venezie, Friuli compreso, il più leghista di tutti. Investitrice e incerte. Ottimiste
e ansiose. “Il mestiere che tira di più al Nord è lo strizzacervelli” – “in
Veneto gli psicologi crescono al ritmo di 160 unità all’anno” (“tutti ne hanno
bisogno: famiglie, aziende, associazioni, enti pubblici”). Di una scissione
catastrofica. Non si circola, ogni giorno ovunque è “il solito spaventoso
ingorgo di camion”, perché gli stessi comuni che chiedono insistentemente una
viabilità migliore hanno impedito gli espropri per realizzarla”. Una protesta
che si avvita su se stessa: “È come per gli immigrati. In Veneto chi invoca
manodopera straniera e chi grida contro gli extracomunitari non sono affatto due
persone diverse”. I Rumeni, che allora passavano per clandestini, “non ne
possono più. E spesso sono i migliori” – questo “Oriente” è “una sensazione di deriva
e di fuga”.Ma, poil, il “veneto” e “friulano” volentieri cedono il passo al
ladino. A valle a monte tutti ladini da
qualche tempo. Per lucrare sui benefci europei a protezione delle minoranze.
Anche nel Trentino, che è già “la regione più assistita d’Italia”.
L’Ucraina è già divisa nel 1999.
Da un “nazionalismo malato”, contro gli ebrei, contro i russi. Finanziato dalla
“diaspora negli Stati Uniti che passa fondi agli ultras per tenere l’Ucraina
lontana da Mosca”. O l’oblio in agguato nella memoria tedesca, che si è fatta
corta, cortissima. Proiettata com’è solo sull’economia, sul lavoro ben fatto e
redditizio, “anche per la gente di sinistra” – “il cancelliere Schröder considera
la politica un service dell’economia”,
Rumiz si fa dire: “Prende atto che in
Germania l’orgoglio dell’identità si fonda, più che su Goethe, sulla Deutsche
Bank”. Un revanscismo piatto, grigio, non smacchiatore.
Con un ritratto breve ma lungo a affettuosissimo
di Claudio Magris, trovandosi a parlare del suo
“Danubio”, che “suggella una storia completamente finita, la
Mitteleuropa prima della caduta del Muro”, e tuttavia “indispensabile come un
portolano”. Un ritratto di Magris che “ritorna a casa la sera”, è
“invariabilmente frettoloso”, è “burlone e imprendibile, triestinissimo battitore
di bettole e silenzi”.
Paolo
Rumiz, È Oriente, Feltrinelli, pp.
199 € 9,50
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