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Dante diventa Dante a Firenze
Dante
era appena morto, forse ancora no, e già Firenze si impadroniva della “Divina
Commedia”, copiando quasi in serie il poema. Per committenti cioè che già
volevano possedere il poema, tanto lo pregiavano, e non averne cognizione, la
copia costava anche molto. Il più delle volte facendola arricchire di miniature
e glosse. Mentre la città stessa, che pure ne aveva confermato la proscrizione,
con condanna a morte, nel 1315, nel 1333, dodici anni dopo la morte di Dante a
Ravenna, ne commissionava la celebrazione nientemeno che a Giotto. Nel palazzo
del Bargello, cioè della rappresentanza ufficiale della città. A celebrazione di
Dante e per la curisoità dei cittadini comuni, che si potevano così documentare
sulle mmmagini della “Commedia”, se non sui versi.
Dante
tentò in tutti i modi di rientrare in Firenze, dopo la condanna e la
proscrizione, del 1302. Dopotutto era una condanna azionata da uno straniero
non amico, Carlo di Valois, per una colpa che non aveva commesso. La città non
aveva risposto, e Dante ne finirà easacerbto, protestandosi nella epistola a
Cangrande fiorentino di nascita ma non per
scelta. Il ripudio di fatto però non c’era – anche da parte, tutto sommato, di
Dante, malgrado gli avvilimenti patiti: non per l’opera di Dante, che a Firenze
continuò a circolare sempre. Anche nella forma poetica, della “Commedia”.
Boccaccio
asserisce che i primi sette canti dell’“Inferno” Danme li aveva composti ancora
a Firenze, quindi prinma dell’espulsione nel 1302. Ma si ebbero presto copie a
Firenze dell’intera cantica, pubblicata a Verona nel 1314-15, e del “Purgatorio”,
pubblicato nel 1316. Trascrizioni e annotazioni di versi dell’“Inferno” e del
“Purgatorio” si ritrovano a partire dal 1317 in testi notarili, toscani. A metà
Trecento Francesco da Barberino organizzò
a Firenze uno studio di copisti da best-seller
per trascrivere la “Divina Commedia”, producendone in poco tempo un centinaio di
copie – i “Danti del Cento”. Di pari passo con le copie della “Commedia”.se ne
commissionavano anche di Boezio e di Orazio, per poter capire i riferimenti
contenuti nel poema. Alla morte di Dante, il proscritto, Firenze diventò una
sorta di fucina dantesca.
Dante
si impone a Firenze, come poeta e come tutto, linguista, scienziato politico,
filosofo, storico: con la “Commedia” tutto Dante venne ripreso e divulgato. Tra
il 1374 e il 1375 la “Commedia” sarà “divina” a opera di Boccaccio, che la
lesse in pubblico, sempre a Firenze, nella chiesa di santo Stefano in Badia. Ma
c’era già stata una celebrazione ufficiale a Firenze di Dante: era stato
dantesco l’ultimo dei capolavori di Giotto – il sommo pittore che Dante stesso
aveva già celebrato – nel canto XI del “Purgatorio”, quindi già vent’anni
prima, 94-96: “Credette Cimabue ne la pittura,\ tener lo campo, e ora ha Giotto
il grido,\ sì che la fama di colui è oscura”. Un’opera commissionata dalla
città, gli affreschi della cappella del Podestà – accanto alla sala oggi detta
di Donatello nella quale era stata pronunciata la condanna a morte dello stesso
Dante. L’opera sarà completata dalla scuola di Giotto, dopo la sua morte, l’8
gennaio 1338, e anche prima vide il maestro raramente impegnato con la sua
mano, distratto da altri impegnativi incarichi, a Bologna, a Milano, e nella
stessa Firenze sotto l’alluvione. Ma d’impronta sicuramente giottesca.
Commissionata già nel 1333, al ritorno di Giotto da Napoli.
Luca
Azzetta-Sonia Chiodo-Teresa De Robertis, Il
Bargello per Dante. “Onorevole e antico cittadino di Firenze, Firenze,
Museo Nazionale del Bargello
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