lunedì 12 luglio 2021
Duras fa i conti, con la solitudine e con il comunismo
Ricami, ghirigori, come un lavoro di aghi inesperti e fili male assortiti, la scrittura ondivaga di M. Duras si applica un’estate a una decina di “pezzi” estivi per impegni editorali presi con il quotidiano “Libération”. Di malavoglia, tra piogge prima e caldo dopo, sulla spiaggia di Trouville, l’orizzonte ingombro dei supertanker in fila ad Antifer (“strano nome, non ha neanche desinenza”), il terminale petrolifero dello Havrfe, Duras si racconta la storia di un bambino “dagli occhi grigi” e della ragazza che lo accudisce alla colonia marina, nel mentre che scandisce, giornalisticamente, l’attualità. Il regime duro degli ayatollah in Iran. La fame in Uganda. La fine modesta dell’“imperatore dell’Iran” al Cairo, solo onorato da Sadat - e da Nixon, non da Carter. L’Olimpiade di Mosca, celebrazione che assimila a quelle di Hitler e Mussolini. Infine e soprattutto lo sciopero ai cantieri di Danzica.
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