Duras fa i conti, con la solitudine e con il comunismo
Ricami,
ghirigori, come un lavoro di aghi inesperti e fili male assortiti, la scrittura
ondivaga di M. Duras si applica un’estate a una decina di “pezzi” estivi per
impegni editorali presi con il quotidiano “Libération”. Di malavoglia, tra
piogge prima e caldo dopo, sulla spiaggia di Trouville, l’orizzonte ingombro
dei supertanker in fila ad Antifer (“strano nome, non ha neanche desinenza”),
il terminale petrolifero dello Havrfe, Duras si racconta la storia di un
bambino “dagli occhi grigi” e della ragazza che lo accudisce alla colonia
marina, nel mentre che scandisce, giornalisticamente, l’attualità. Il regime
duro degli ayatollah in Iran. La fame in Uganda. La fine modesta
dell’“imperatore dell’Iran” al Cairo, solo onorato da Sadat - e da Nixon, non da Carter. L’Olimpiade di
Mosca, celebrazione che assimila a quelle di Hitler e Mussolini. Infine e
soprattutto lo sciopero ai cantieri di Danzica.
Lo
scipero sarà l’inizio della fine dell’impero sovietico, ma non è dato ancora
saperlo. Duras però vive lo sciopero come tale: questa estate e queste
scritture disappetenti la determinano al conto finale col comunismo sovietico, la
brutta chimera di gioventù.
Era
anche - il lettore può saperlo dal dato biografico - un periodo personalmente
difficile: Duras stava per finire in ospedale per alcolismo. Ma incontrava,
proprio in quella estate, un provvidente compagno, cui subito dedica queste
prose, Yann Andréa, omosessuale, che conviverà con le per i suoi ultimi
quindici anni, difficili per alcolismo e tabagismo. Il filo che unisce i dieci
“pezzi”-racconti, la favola del bambino dagli occhi grigi e della ragazza che
lo accudisce, sono chissà una parabola dell’ultimo trasporto della scrittrice.
Marguerite
Duras, Estate ’80, Filema,
remainders, pp. 107 € 4,65
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