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Gobetti uomo del Sud
Gobetti, “un giovane alto e
sottile” nel ricordo di Carlo Levi, fu nei suoi pochi anni, morì di 25 anni, editore,
giornalista, politico, filosofo politico, slavista (“Il fiore del verso russo”),
e uno degli oppositori più temuti da Mussolini, benché ancora agli inizi della
sua “lunga marcia”, con la chiusura d’autorità delle sue attività editoriali, l’attacco
fisico impunito dei fascisti per strada, l’esilio, benché volontario – morì a
Parigi poche settimane dopo l’attacco torinese.
Ci sono molti aspetti di Gobetti
che meritano una ripresa, una riflessione. Per primo l’ “operaismo liberale”, che
ipotizzò su “La rivoluzione liberale”, la più pregnante delle sue creazioni
giornalistiche, sulla traccia di Gramsci e il suo “Ordine nuovo”, dove aveva cominciato
a scrivere, seppure solo di teatro - come già Gramsci sul quotidiano del partito Socialista. Spadolini ne ripercorre molti, in vari interventi
su pubblicazioni diverse, soprattutto su “Il Mondo” e su “La Stampa”, da
storico e da politico. In Gobetti individuando il personaggio e il pensiero che
più lo hanno sostenuto nella sua avventura politica, da ministro di vari
governi in varie funzioni, da ultimo come presidente del Senato, e nel mezzo da
presidente del consiglio. Un anno e mezzo soltanto a palazzo Chigi ma denso: la
guerra in Libano, la strage di Palermo contro Dalla Chiesa, la P 2, il
sequestro e la liberazione del generale Dozier, lo schieramento in Italia, a
Comiso, dei missili a testata nucleare Curise, l’inflazione al 22 per cento, la
visita di Arafat in Italia, la malevolenza degli alleati di governo, i democristiani
soprattutto – Spadolini si reggeva sull’autorità del presidente della Repubblica,
Pertini.
Cosimo Ceccuti, il presidente
della Fondazione Spadolini Nuova Antologia che fu collaboratore di lungo corso
di Spadolini, custode della sua sterminata biblioteca personale, ha raccolto i
tanti saggi sparsi che lo storico del giolittismo, e politico di fede
repubblicana, ha dedicato a Gobetti. Uno in particolare incuriosisce, “Gobetti
uomo del Sud. All’attacco del parassitismo”, su “La Stampa”, 18 maggio 1993, un
anno prima della morte.
Il 2 dicembre 1924 “La rivoluzione
liberale” pubblicava l’“Appello ai meridionali”, steso da Guido Dorso e firmato
da molti intellettuali. È il testo che propone una rilettura del Risorgimento,
e la questione meridionale come “la questione italiana”. Gobetti è d’accordo. A
maggio era stato a Palermo, osservatore acuto, come testimoniano le sue “Lettere
dalla Sicilia”, pubblicate via via su “La rivoluzione liberale”. L’anno prima,
a gennaio, si era recato a Napoli per incontrare Benedetto Croce – per presentare
a Croce la moglie, una forma di tributo. Pubblicava Nitti, dopo che perfino la
casa editrice Bemporad , nota Spadolini, “con quell’insegna ebraica”, gli aveva
chiuso “le porte in faccia”. Sturzo collaborava con “La rivoluzione liberale”,
Zanotti Bianco, Giuseppe Lombardo-Raidce. E Giustino Fortunato.
L’“Appello ai meridionali” era
seguito dall’impegno a pubblicare in ogni numero del settimanale una pagina
dedicata alla “Vita meridionale”. Gobetti conveniva con Einaudi, nota
Spadolini, e indirettamente con Salvemini, nella denuncia del protezionismo e dell’interventismo
pubblico in favore dell’industria, quindi del Nord. Nella denuncia del
giolittismo: “La nuova economia italiana del Nord”, scrisse, “sorgeva come
industria protetta, rinnegando ogni senso di dignità”. Mentre “l’iniziativa del
Sud, subito dopo il’61 connessa col brigantaggio e con l’eredità del vecchio
regime, aveva reso impossibile il formarsi di condizioni obiettive” di
produzione, finendo per adagiarsi in “parassitismo e beneficenza”. Era il giudizio di Giustino Fortunato, il
fallimento del “liberalismo dei conservatori”.
Mentre “un’industria nata liberisticamente non sarebbe stata l’antitesi
della vita agricola, ma l’avanguardia”.
Negli ultimi momenti convulsi, l’aggressione
fascista, la chiusura delle sue attività voluta da Mussolini, la nascita del
figlio Paolo, la decisione di andarsene a Parigi, per fare solo l’editore, non l’agitatore
politico, è a Giustino Fortunato che confida per lettera le sue decisioni.Un
mese dopo, a Parigi, sarà morto. Con Fortunato Gobetti purtroppo dooveva condividere
l’amara constatazione che il fascismo avrebbe trovato inerte il Meridione.
Spadolini conclude con Fortunato: “Il Meridione non disturberà il fascismo. Servirà
plebeamente Mussolini. Come ha sempre servito tutti, salvo a darne la colpa
agli spagnoli e ai Borboni, quintessenza del nostro sangue e della nostra carne”.
Non soltanto il fascismo, si può aggiungere: il Meridione non disturberà
nessuno, servemdo via via i Lauro locali o la Dc, poi Berlusconi, e ora Salvini
e Di Maio. Il Sud è, diciamo politicamente, servo.
Giovanni Spadolini. Gobetti, un’idea dell’Italia, Luni, pp.
455 € 25
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