La scoperta dell’Africa
“Sono stato molte volte in Africa”,
dice Lino Banfi festeggiato per i suoi 85 anni, con l’Unicef: “Un giorno ho
visto dei bambini angolani, sotto un temporale, che coprivano dalla pioggia non la testa ma un braccio. Era
il braccio che teneva i quaderni”. La voglia di apprendere in Africa si può
testimoniare. Delle donne etiopi che la sera, rassettate, correvano veloci nel
1974 alla scuola serale, il programma di alfabetizzazione voluto da Menghistù,
il dittatore “comunista” che aveva deposto Hailé Selassiè – che si era lasciato
deporre. Dei bambini cinque anni prima nel Kenya di Tom Mboya, sindacalista e
pedagogo, quando il paese si studiava, nientemeno, di diventare di turismo di
massa, di rendere accessibili i suoi parchi naturali agli europei, di migliorare l’igiene e
abbassare i prezzi del trasbordo aereo, che andavano disciplinati, con le divisine
colorate ancora all’inglese, alla scuola anche lontana nel bush qualche chilometro. O in Costa d’Avorio nel 1984, in classi
disciplinate di 40-50 bambini, “alla francese”, un paese da oltre trent’anni ora distrutto dalle guerre civili, che il padre della patria Houphouët-Boigny aveva
dotato di strade e scuole, e si poneva all’avanguardia della globalizzazione chiedendo
plusvalore aggiunto locale per le produzioni di cacao e caffè.
La stessa Africa che oggi è
governata, senza eccezioni, dalla corruzione e dalle faide, in regime
dittatoriale, anche dove si vota – come questo sito ha documentato:
http://www.antiit.com/2019/02/il-mondo-come-366.html
Haiti, lo Stato africano dei
Caraibi indipendente da oltre due secoli ormai e mai in pace, ogni anno anzi
più povero e scompaginato, sembra testimoniare un’incapacità di governo si direbbe etnica, per
la forza del tribalismo. Ma non è l’Africa. Che ognuno peraltro può vedere
nelle migliaia di migranti, anche ragazzi, anche donne sole, che tentano la
fortuna fuori, con decisione, anche a rischio della vita, oltre che nella determinazione degli scolaretti.
Le indipendenze africane cinquanta-sessant’anni
fa sono state rigeneratrici, ma sono durate poco. È pure vero che l’Africa più
si allontana dall’Europa più si corrompe e impoverisce. E la cosa riguarda l’Africa
ma anche l’Europa. Nella quale il continente non può non riversarsi, per la
geografia e per la demografia.
Di pari passo l’Europa, che per
qualche tempo ha sostenuto le indipendenze (l’Italia ha speso im Somalia, a
titolo di cooperazione allo sviluppo, fino a che il paese non si è dissolto
nelle guerre intestine, più del doppio dei roboanti impegni della conquista
coloniale), se ne è disinteressata. Ne ha perso la voglia, adagiata nella
globalizzazione - nel “comparaggio” cinese, asiatico, degli affari facili. Ha
dimenticato le “politiche” di vicinato, mediterranea, araba, africana. Ma queste
si imporranno, perché il flusso non si interromperà – l’“invasione”. Regolarle
sarà solo necessario. Riscoprire l’Africa non sarebbe difficile. Per esempio
regolare, programmare, l’immigrazione – lo hanno fatto gli Stati Uniti per
oltre un secolo. Investire in Africa, nelle energie rinnovabili, nelle tecnologie
manuali. Aprire all’Africa i mercati.
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