Landolfi impossibile
Un
Landolfi giocoso. Apre “La passeggiata”, tre pagine di nulla, parole senza più
senso estratte dallo Zingarelli – allora il vocabolario più diffuso. Un giallo
elucubrato su una notazione di Gaboriau, una parodia. Allevatori di polli in batteria finiti dentro una rete più
grande, gestita da polli giganti. Un esercizio sarcastico di filologia
inventiva su S.P.Q.R. Qualcuno nel cosmo ha letto di un pianeta Terra, padre e
figlio si chiedono cosa possa essere.
Chiudono la raccolta due brevi testi molto landolfiani. Uno, da ultimo, sui modi del raccontare. Il penultimo è la confidenza di un compagno di viaggio, che la inventa e la modula per compiacere il suo occasionale interlocutore, che presume scrittore - una esemplificazione del romanzesco.
Un
Landolfi scherzoso come lo è sempre stato, benché divagante, fantastico,
metafisico, loico, segreto. Ma sempre da remoto, intellettualistico. Una
lezione in classe sulla morte prende cinquanta pagine: un racconto filosofico,
ma non alla maniera di Voltaire, no, di filosofia vera, argomentata, un dialogo
platonico, più frammentato. Freddo di programma, il lettore di racconti si
smarrisce.
Un
Landolfi risentito. La raccolta è assortita in appendice di due testi testi
polemici, “Conferenza personalfilologicodrammatica con implicazioni” e “Fatti
personali”, l’ultimo testo, questo, proposto al “Corriere della sera”, cui
Landolfi collaborava, che però non lo pubblicò. Contro Leone Piccioni, che pure
si era speso molto per Landolfi, nei premi leterari, nelle critiche, in
televisione, e contro Paolo Milano e, a lungo, Montale (Fatti personali”), rei
di essersi occupati, con benevolenza, dei “Racconti impossibili”. Perfino
contro Geno Pampaloni, che alla periclitante Vallecchi aveva passato la
pubblicazione della raccolta nel 1966, malgrado le limitazioni imposte
dall’autore: niente scheda, niente risvolto, niente presentazioni, niente
promozioni, interviste, conferenze.
Un risentimento di cui Giovanni Maccari,
che cura il volume, non si dà ragione. Trovandola in ultimo in una sorta di
complesso di superiorità, per quanto irriflesso. Essendo Landolfi “l’autore di
limpide speculazioni linguistiche come il ‘Dialogo dei massimi sistemi’ (1937)
e ‘La Dea cieca o veggente’ (1962)”, e “uno scrittore poliglotta, ipercolto e,
si è detto, insieme a D’Annunzio, il più addentro alla lingua italiana del
Novecento”. Ma è la narratività che lo isola. Un paio di racconti brevi,
centrati sul romanesco, lingua e caratteri, nella forma ironica di Gadda, ne
mostra la distanza dalla narratività dell’Ingegnere – Landolfi non esce dal
bozzetto
Tommaso
Landolfi, Racconti impossibili,
Adelphi, pp. 195 € 14
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