L’esilio è un’altra vita
“In
questa vita non serve molto\ al vagabondo, al pellegrino, a me,\ non abbiamo
nostalgia di una patria\ e di pentole sul fuoco”. Emigrazione vuol dire nostalgia.
Non per la giovane Nina Berberova, che è
sì russa, e in esilio, ma non sta a piangere sul latte versato: ha le idee
chiare da subito, come il quasi coetaneo
Nabokov, e sarà con lui – che a Berberova dovrà il primo riconoscimento - una
narratrice russa con un occhio sul mondo, non confinato alla Russia. L’esilio di Camus, sia pure volontario, è “la vita
secca, delle anime morte: per rivivere, ci vuole una grazia, l’oblio di sé o
una patria”.
Calusio
correda la traduzione con un’ottima inquadratura, biografica e critica, dell’esule
che non si voleva esule. Non legata a un passato comunque impossibile, e sempre
attiva e innovativa, nella narrativa e nella saggistica. Impegnata, questo sì,
per gli esuli russi (“a Billancourt diecimila russi costruiscono le automobili
Renault”), col marito, il poeta russo eminente (“il più grande poeta russo che
finora il Novecento abbia prodotto” per Nabokov, 1962) Chodasevič, al quale
dedicherà la raccolta del 1984. Malgrado ogni sorta di difficoltà. Per tre anni
vissero mantenuti da Gor’kij, a Saarow, le terme di Berlino, Marienbad, Sorrento, Capri. Per un breve
periodo, a fine 1923, si trasferirono a Praga, dove la Repubblica neonata
aveva promosso una “azione di soccorso ai russi”. La coppia si stabilì quindi a Parigi, per venticinque anni, fino al 1950 - Chodasevic vi morì, rimpianto, nel 1939. Collaborando a periodici e pubblicazioni russe. E poi in America, dove Nina si risposerà e vivrà insegnando, a Yale e Princeton, e scrivendo i racconti lunghi, povesti, che si continuano a rieditare. Tornerà in Russia, con qualche
trasporto, poco prima della caduta del sovietismo ma con le crepe molto in
vista – ma più da turista, con osservazioni intelligenti, non offuscate dalla
malinconia.
Una vita tutto sommato felice. Per la forza della poesia: “Non è forse così tranquillo\ il volo
giambico dell’anima\ perché intorno a lei il mondo\ è disarmonico, da secoli,
da anni?”. Lo ha detto subito, in una composizione del 1924: “Lo dico: non sono
in esilio,\ non cerco strade terrestri,\ non sono in esilio, sono in missione,\
mi è facile vivere tra la gente”.
Anche
se deve pagare pegno: “Per la vita perduta volevo amare,\ per la vita perduta
mi è impossibile amare”. Felice col marito. La curatrice riporta un ritratto cattivo che che un letterato russo a Berlino, che la coppia frequentava nel 1923, ne ha fatto nelle memorie, come se riportasse una lamentela del marito. Ma furono una bella coppia - wikipedia inglese la illustra con una foto a Capri nel 1925. Una poesia comunque della memoria. Già in questo primo
libro, dei primi anni. Nel rapporto col poeta illustre: “Sì, le nostre vite erano
dissimili.\ Il mio ardore per il tuo freddo,\ la tua ira in cambio di tenerezza
e tentazioni”.
In
originale, con la traduzione di Maurizia Calusio, una scelta di Mario Luzi, dal
primo libro, “Poesie 1923-1933”, della raccolta che Berberova si decise a fare
delle sue poesie tardi, nel 1984. L’unica pubblicata, con una selezione severa
di tutti i suoi componimenti, da quando era adolescente, solo un’ottantina di
composizioni.
Nina
Berberova, Antologia personale,
Passigli, remainders, pp. 113 € 4,95
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