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Omaggio a Lilibet, da Dublino - in segno di pace
È il 1940, Londra è sotto il blitz tedesco. I reali, Giorgio V e la regina, non
vogliono lasciare la città, per condividere moralmente i pericoli dei sudditi,
ma come tutti i padri pensano di mandare le figlie, Elisabetta e Margaret, in un posto
remoto, più sicuro. A Dublino l’ambasciata inglese chiede al governo irlandese,
che si è dichiarato neutrale in guerra e sempre diffida di Londra, asilo per due “bambini”, due ragazze, di 14 e di 10 anni. Andranno a Tipperary, che
esiste realmente ma è un posto remoto, nel castello di un lontano parente.
Sotto lo pseudonimo col quale
firma da decenni i suoi libri avventurosi, in genere gialli, John Banville
contrabbanda una delle sue storie rarefatte (l’edizione italiana riporta il “Benjamin
Black” originale a John Banville). Con poco o nessun movimento, se non
impercettibile, e lunghe fantasmagorie su non eventi, che delineano forti caratteri
e siuazioni anche drammatiche. Qui si tratta nientedimeno che della regina
Elisabetta, quattrodicenne “già bossy”,
padrona e amante del cavallo Prince, e della sorella Margaret, dieci anni,
fantasiosa e impertinente.
Che altro? La vita da sfollati si
svolge senza problemi. Un tributo di Black-Banville alla novantenne regina,
subito indirizzata come oggi la conosciamo, con l’affettuoso Lilibet? Il lungo romanzo non ha altro senso. Un po’ di suspense c’è, per i residui dell’Ira che, se sapessero
l’identità delle due ragazze, non si priverebbero di un attentato, ma tenue, in
sordina.
Il fatto sarebbe storico, delle due
principesse sfollate per un periodo in Irlanda, anche se le biografie e le
storie dei Windsor non lo citano. È comunque un’idea, attorno alla quale
sospetti, sussurri e intrighi montano, ma sul piano personale e caratteriale. Di
“tipi” irlandesi, giovani, belli, ricciuti, o anche ubriaconi, o grassi con la forfora, e confusi. Di inglesi che
inglesizzano, ridicolizzati più che satirizzati, il segretario d’ambasciata, il duca ospite, la sua governante –
roba da “Downton Abbey”, vista e rivista. Con la lentezzza, purtroppo, di Banville.
La chiave è forse questa, di un
irlandese anglicizzante, quale Banville è. Qui scettico sulla persistente
anglofobia del suo paese, pur con tutte le colpe dell’Inghilterra per sette
lunghi secoli: non perde occasione per dirla masochista. Come quando si pensò
d’imporre il gaelico invece dell’inglese. O, a proposito di un maggiore
dell’esercito de Valera che sarà determinante nella vicenda delle principesse, dove si
ricorda il padre della patria Eamon de Valera per il no frapposto alla proposta
di Churchill di unificare le due Irlande se Dublino si schierava in guerra con gli Alleati e
apriva i suoi porti alla Marina britannica. I nazionalisti irlandesi, terroristi, sono vigliacchi e malvagi.
Il complotto contro le principesse è seguito con ironia. Il mondo inglese è ritratto
invece con simpatia, il re Giorgio V con la sua balbuzie, e col buonsenso, le
principesse, la loro custode, l’agente dei servizi segreti Celia Nashe. Un omaggio è tributato da ultimo anche al principe Filippo.
Benjamin Black, Le ospiti segrete, p. 336 € 19
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