Profumo di Chanel, pepato
“La
piccola figura tormentata da indiana jivaro”
si racconta. Con fedeltà, chissà, ma molto alla Morand.
Ritorna nella vasta produzione di
Paul Morand questo autoritratto di Gabrielle “Coco” Chanel, nel revival Chanel in corso, per i
cinquant’anni dalla morte. Nel quadro di una riaffermazione del marchio di
fabbrica “France” nei piani del presidente Macron. Con le trionfali celebrazioni
in costume alle sfilate di Parigi, sulla scalinata del Palais Galliera, e con
la mostra “Gabrielle Chanel, Manifeste de Mode”, nello stesso palais, un edificio dell’800 restaurato
per ospitare mostre. Il percorso stilistico e di vita di Mademoiselle, dalla prima
marinière, 1916, allo Chanel N° 5,
1921, al tailleur, di più
generazioni, al little black dress e
al prêt-à-porter. Di una stilista sempre
avanti agli altri, e sempre nel gusto dei più. Con pezzi provenienti da varie
collezioni e musei importanti, il Victoria & Albert, il Momu di Anversa, il
De Young di San Fancisco.
È notevole il personaggio. Tutto
fatto da sé. Solitaria ma non zitella. Anche se con pochi amori, non più di due grandi amori nella lunga vita,
e non di comodo. In gioventù col “bell’inglese” Boy Capel”, “essere di una
vasta cultura, di un carattere originale”, “inglese beneducato”, fornitore di
guerra, molto amato da Clemenceau, che la “installa in un hotel a Parigi”, presto
morto in un incidente d’auto. E dieci anni più tardi, nel 1924, a 41 anni, già
stilista famosa, col bellissimo e ricchissimo duca di Westminster, altro
britannico, l’uomo più ricco del mondo, per dieci anni (secondo questa
“memoria”, per cinque secondo wikipedia) – una relazione probabilmente
promozionale, come sarà quella di Onassis con Jacqueline Kennedy: il duca aveva
una moglie, la seconda o terza, e non viveva a Parigi. Dopo un intermezzo con
Paul Iribe, “l’uomo più complicato che abbia conosciuto”.
Con molta Italia. Il Lido entra
nella narrazione come il faubourg Saint-Honoré, un posto di casa, il Lido di
Venezia. I viaggi sono molteplici nella penisola, col Veronese, il parmigiano,
Roma, Leonardo, e altri riferimenti domestici – tra le due guerre l’Europa era
nazionalista ma ancora cosmopolita, meno identitaria di oggi.
Un carattere forte, che qui si
esemplifica in tante storie, piccole (con le dipendenti) e grandi, con gli
amici, i titolati, i potenti. Un mestiere studiato. Un mestiere: l’invenzione
con le mani, la prova, l’aggiustamento, l’innovazione provata e riprovata, mai
l’eccesso - la moda “concettuale”, o l’illusione per i fresconi, per quanto
ricchi. Con molte notazioni, via via, su personaggi piccoli e grandi:
Diaghilev, grasso, pieno d’anelli, instancabile, maestro d’innovazione e di
cultura ai francesi, Picasso, la contessa Adhéaume de Chévigné, née Sade, personaggio proustiano,
Stravisnsky, un flirt che rischiò di diventare amore, e in breve, con vista
acuta, Colette e Cocteau. E i “trucchi”, o criteri, del “taglio”, del mestiere.
Molto sua, di Chanel, è la rivendicazione centrale: aver preso la donna
inutile, superflua, adorna, per lo più di stravaganze, anteguerra e averla
vestita come persona attiva - una che “si sente”, si conosce e cammina, non
naviga.
L’autobiografia è però di fatto un
testo morandiano. Anche perché è scorretto: Morand si approfitta per saldare
alcuni suoi conti aperti. L’avrebbe scritto nell’inverno del 1946, così vuole
il sito del marchio, basandosi su una serie di conversazioni avute con Chanel in
un albergo di St. Moritz, su invito di lei. Lo stile è della confessione-confidenza,
ma è un testo di Morand, scritto dopo la morte della stilista e pubblicato nel
1976.
La griffe di Morand - benché già accademico di Francia, dopo il lungo
ostracismo del generale De Gaulle, per essersi schierato in guerra, da
diplomatico in servizio, col regime di Vichy - è nella reiterazione di alcune
sue fisime, oggi politicamente scorrette ma non censurate in questa riedizione:
sugli ebrei (Morand non si priva nella sua lunga opera, prima e dopo la guerra,
di sottolineare il forte legame etnico fra ebrei), e sugli “invertiti”. Ma
anche contro l’intellettualizzazione della moda, dai sarti a Roland Barthes: la
“poesia sartoriale” è un bel pezzo satirico. Nella prima idiosincrasia rientra
la reiterata, perfino estenuante, vendetta contro Misia Sert, il “personaggio”
più influente della scena parigina tra le due guerre, nata Godebska, “pianista
e modella russa”: “asiatica”, modella a 15 anni per le prostitute di Toulouse-Lautrec,
Renoir, Vuillard e Bonnard, “cinquant’anni tra i grandi artisti e nessuna cultura”,
“una inferma di cuore, strabica in amicizia, zoppa in amore”, “anima ebrea”,
che solo si cura degli ebrei.
Con la - inevitabile? anche nel 2021? anche nelle celebrazioni? - rimozione del collaborazionismo, antisemita, che accomuna i due, Chanel e Morand. E, curiosamente, della passione di Coco per la caccia che fu la parte grossa della relazione col duca di Westminster - certificata anche da Churchill, stranito da tanto vigore.
Paul Morand, L’allure de Chanel, Folio, pp. 248 € 7,50
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