martedì 6 luglio 2021

Secondi pensieri - 453

zeulig


Anima
– Roba di Platone e Aristotele. Cioè della filosofia, come è giusto, quando comincia a scriversi, a repertarsi – a confrontarsi, eccetera. L’essere umano non può non avere un’anima – ne va della filosofia, non ce n’è senza un’anima, più anime in dialogo. È argomento aristotelico ma evidente già all’uomo dell’acciarino, del primo fuoco. Nello stimolo (istinto) che lo ha portato a provare e riprovare, di cui è difficile (impossibile) enucleare una formazione evolutiva. È l’istinto, il principio dell’anima, un riflesso nervoso? E quando l’anima si disgrega così il giudizio – è il problema della follia?
Quest’anima può essere regolata da neuroni, cellule, sinapsi, ma implica una capacità di giudizio individuale e indipendente, per quanto condizionata - da storia, geografia, parentela, imprinting.  Cui una discendenza si può costituire, di linguaggi ereditati, di civiltà, culture, storie. Ma il tutto prende senso solo se regolato da un principio autonomo, e più se è complesso.
 
Corpo - “Il corpo esiste in funzione dell’anima. Quando essa lo ha lasciato, non rimane nulla di prezioso. Non c’è più una persona. Solo materia che si disgrega e si disperde. A tutti gli effetti una cosa”. – Aristotele, “De Anima, Libro II, capitolo 1, 412b 25-27. Ma non c’è anima senza corpo. Sì, nella memoria. Ma quello è un altro soggetto, anima e corpo, più soggetti – il campo dell’ermeneutica è sterminato. 
 
Natura – È potente e dinamica. Questo essenzialmente: la natura è mobile – come dice Aristotele. Si caratterizza per questo, per essere estremamente mobile. L’opposto del suo senso pratico, del sentito comune. L’atto vi evolve in potenza, nel linguaggio di Gentile, e la potenza nell’atto. In una molteplicità quasi caleidoscopica - secondo cioè regole e secondo non regole (umori, stati transitori, casuali, concomitanze fortuite di eventi diversi: casualità).
La fisica, la scienza della “natura”, è studio dei movimenti, di stati transitori non di stati fissi o statici. Tutto è dynamis, movimento, sia esso appetito o condanna, delle piante, gli animali, tutte le cose viventi, anche le “inanimate”, l’acqua, l’aria, la terra, il minerale, il virus, il neurone.
È della natura come dell’uomo in quanto essere naturale – e di ogni essere vivente, a cominciare dall’ameba, anch’essa viva di curiosità, desideri, appetiti (e del resto significa proprio cambiamento, trasformazione).
 
Esce, se ce n’era bisogno, “rivoluzionata” dal covid - evento peraltro non eccezionale, anzi in questo Millennio post-moderno fatto “normale”, la diffusione incontrollata di virus letali, per cause non accertabili. Rivoluzionata in senso filosofico – lo scienziato non ne ha mai sottostimato il capitale, imbattibile e ingovernabile, se non con l’applicazione, con la “tecnica”. In particolare quella del paradigma heideggeriano, della sua svolta “verde”, per il contadino e il montanaro contro la tecnica – svolta certo non opportunista, conoscendo l’uomo (parliamo d’altro…), benché minimalista, da pensiero debole. Il virus è natura: sorprendente, letale. E ingovernabile, se non con la tecnica, e con molta applicazione tecnica.
 
Si presta a equivoci. Tuttora, in epoca scientista quante altre mai. La senatrice a vita Cattaneo, biologa, può ricordare due voti del Senato, del Senato della Repubblica, per metodi “naturali” senza senso, né scientifico e nemmeno di buonsenso: il “metodo Stamina”, cura con “poltiglie di cellule” somministrate a caso da “guaritori”, e ora per una “agricoltura biodinamica” che non è niente – una idea di Rudolf Steiner, simpatico esoterista. Questo “senso della natura”, nel paradigma oggi felicemente imperante dell’ecologia, della protezione dell’ambiente, alza salvaguardie dalle azioni dell’uomo inconsiderate ma anche, e più, della natura – terremoti, venti (cicloni, tornado,  trombe d'aria), acque (alluvioni, mareggiate, maremoti o tsunami), virus. L’idea della natura come maestra morale è poetica, pararomantica, di Woodsworth, Thoreau, sul solco oggi dell’ecologia. Ma poetico è anche l’opposto, da Lucrezio in poi, anzi da Omero, che esordisce con la pandemia.  
 
Nazionalismo – “Molto poco «tedesco»” lo dice Thomas Mann a Parigi, chiamando a correi la Francia e anche un po’ la Spagna, nel racconto (“Resoconto parigino”, 47) della celebrazione che gli è stata tributata a Parigi nel 1926: “Il nazionalismo tedesco – che, come è stato provato di recente con notevole arguzia, affonda le sue radici nel romanticismo di Heidelberg (Th.Mann intende: nel romanticismo europeo – n.d.r.) – è molto poco «tedesco»; con la sua religiosità «ctonia», la sua venerazione per la notte, la morte, il suolo, la Storia e il popolo è un fenomeno europeo, anzi «internazionale», al pari di ogni ostinata volontà oscurantista, ed è rinvenibile in tutta la sua lugubre sensualità già prima della guerra, sotto appena un po’ di patina spagnola”, in Barrès, di origini spagnole. Un rifiuto molto nazionalista tedesco.
Thomas Mann ha del resto nei suoi tanti scritti ripetuti riferimenti a Barrès – più che a qualsiasi altro intellettuale o scrittore francese: è il reagente del suo nazionalismo, la giustificazione. È solo nel secondo dopoguerra che il nazionalismo tedesco susside.
 
Romanticismo – In una fase, anni 1920, in cui diffida delle “fantasticherie notturne”, del “complesso di terra, popolo, Natura, passato e morte, à la Joseph von Görres”, di “oscurantismo rivoluzionario”, di cui sono “stipati i cerebri dei tedeschi”, Th. Mann contesta (“Resoconto parigino”, pp. 60-65) Baeumler, di cui ammira l’erudizione, che nella riproposta di Bachofen distingue due romanticism, “un vero romanticismo e un romanticism solo di nome”. Novalis e Friedrich Schlegel “sarebbero dei «cosiddetti romantici», ancorati nel Settecento, inficiati dal razionalismo, e quindi disprezzabili”. Con una “virile – troppo virile – idea del futuro”. Mentre “veri romantici sarebbero” Arndt, Görres, Grimm e Bachofen, “in quanto sono gli unici a essere dominati e determinati nel profondo dal «grande ritorno», da una concezione materna e notturna del passato”. Insomma,la palude “tedesca”, fangosa.
Th.Mann in realtà apprezza Baeumler: “Nulla di più interessante; è un lavoro profondo e magnifico, e chi conosce la materia ne rimane affascinato”. Ma vuole sottrarre Nietzsche al suo abbraccio, al piano di Baeumler di “misurare Nietzsche col metro di Bachofen”. E qui inciampa. Baeumler, dice Mann, inscrive Nietzsche “nella linea di Zoega, Creuzer, Grimm, K.O.Müller e Bachofen contro il «classicismo superato e obsoleto» di ottimisti, razionalisti ed esteti quail Winckelmann, Voss, Bachmann, Mommsen e Wilamowitz”. Ignorante delle “sacre tenebre della preistoria”, con una concezione razionale del mito. Th. Mann lo apparenta invece a Goethe. Legame del tutto incongruo, se non per il “germanesimo alto e formativo”  che Th. Mann attribuisce loro – sempre nel quadro dei primati, del pensiero razionale-nazionale, strana simbiosi.    
 
Suicidio - Schopenhauer è contro perché è un atto di libertà – perciò condannabile. Una decisione che implica l’esercizio del giudizio, che implica uno spazio di libertà. E quindi un segno di attaccamento-riconoscimento alla-della vita.
Quella di darsi la morte è comunque una scelta. Si introduce nel non essere, la morte, un atto di volontà che è comunque un altro modo di esere. Per di più nela più totale libertà, quanto ai tempi,  modi, luogo. Una scelta. Il rifiuto della vita dovendo essere radicale. Per esempio per lui Schopenauer, che non ha cessato un solo istante di essere operoso, nelle liti familiari e accademiche, nei viaggi, nella scrittura, nelle complicate vicende di pubblicazione, e di diffusione delle pubblicazioni, nonché di pensiero, di riflessione, perché no, quindi attivo, soggetto di scelte, di libertà?
Il nichilista suicida introduce la libertà con l’atto stesso con cui professa al top il suo nichismo. Si direbbe una contraddizione . Uno dei tanti sofismi della “filosofia tedesca”, labirintica – non c’è pensiero se non è labirintico. Schopenhauer è come Nietzsche, miglior scrittore che pensatore, suggestivo, divertente. 
 
Tecnica – Ma non è l’uomo? La sua capacità d’intelligenza, invenzione, adattabilità, manualità? A partire dal fuoco? L’interdetto di Heidegger un solo senso può avere: della tecnica che soverchia l’intenzione, il programma. Dell’energia nucleare diventata Bomba. Di facebook che alimentasse la guerra di tutti contro tutti invece dell’amicizia. Delle tante fantasie che si accompagnano ai sogni, di robot, golem, “programmi” o altri chip o fusibili che si ribellano al creatore e padrone uomo… - fantasia vecchia come il fuoco, all’inizio della storia. Che non aiutano, come si dice: la tecnica nasce, e si sviluppa, in continuo, si rinnova, si adatta, non su queste fantasie ma slle necessità o bisogni che via via emergono – le “sfide”.


zeulig@antiit.eu

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