Secondi pensieri - 453
zeulig
Anima – Roba di Platone e Aristotele.
Cioè della filosofia, come è giusto, quando comincia a scriversi, a repertarsi
– a confrontarsi, eccetera. L’essere umano non può non avere un’anima – ne va
della filosofia, non ce n’è senza un’anima, più anime in dialogo. È argomento aristotelico
ma evidente già all’uomo dell’acciarino, del primo fuoco. Nello stimolo (istinto)
che lo ha portato a provare e riprovare, di cui è difficile (impossibile)
enucleare una formazione evolutiva. È l’istinto, il principio dell’anima, un
riflesso nervoso? E quando l’anima si disgrega così il giudizio – è il problema
della follia?
Quest’anima può essere
regolata da neuroni, cellule, sinapsi, ma implica una capacità di giudizio individuale
e indipendente, per quanto condizionata - da storia, geografia, parentela,
imprinting. Cui una discendenza si può
costituire, di linguaggi ereditati, di civiltà, culture, storie. Ma il tutto
prende senso solo se regolato da un principio autonomo, e più se è complesso.
Corpo - “Il corpo esiste in funzione
dell’anima. Quando essa lo ha lasciato, non rimane nulla di prezioso. Non c’è più una persona. Solo materia che si
disgrega e si disperde. A tutti gli effetti una
cosa”. – Aristotele, “De Anima, Libro II, capitolo 1, 412b 25-27. Ma non
c’è anima senza corpo. Sì, nella memoria. Ma quello è un altro soggetto, anima
e corpo, più soggetti – il campo dell’ermeneutica è sterminato.
Natura – È potente e dinamica. Questo
essenzialmente: la natura è mobile – come dice Aristotele. Si caratterizza per
questo, per essere estremamente mobile. L’opposto del suo senso pratico, del
sentito comune. L’atto vi evolve in potenza, nel linguaggio di Gentile, e la
potenza nell’atto. In una molteplicità quasi caleidoscopica - secondo cioè
regole e secondo non regole (umori, stati transitori, casuali, concomitanze
fortuite di eventi diversi: casualità).
La fisica, la
scienza della “natura”, è studio dei movimenti, di stati transitori non di
stati fissi o statici. Tutto è dynamis,
movimento, sia esso appetito o condanna, delle piante, gli animali, tutte le
cose viventi, anche le “inanimate”, l’acqua, l’aria, la terra, il minerale, il
virus, il neurone.
È della natura
come dell’uomo in quanto essere naturale – e di ogni essere vivente, a
cominciare dall’ameba, anch’essa viva di curiosità, desideri, appetiti (e del
resto significa proprio cambiamento, trasformazione).
Esce, se ce n’era
bisogno, “rivoluzionata” dal covid - evento peraltro non eccezionale, anzi in
questo Millennio post-moderno fatto “normale”, la diffusione incontrollata di
virus letali, per cause non accertabili. Rivoluzionata in senso filosofico – lo
scienziato non ne ha mai sottostimato il capitale, imbattibile e ingovernabile,
se non con l’applicazione, con la “tecnica”. In particolare quella del
paradigma heideggeriano, della sua svolta “verde”, per il contadino e il
montanaro contro la tecnica – svolta certo non opportunista, conoscendo l’uomo
(parliamo d’altro…), benché minimalista, da pensiero debole. Il virus è natura:
sorprendente, letale. E ingovernabile, se non con la tecnica, e con molta
applicazione tecnica.
Si presta a
equivoci. Tuttora, in epoca scientista quante altre mai. La senatrice a vita
Cattaneo, biologa, può ricordare due voti del Senato, del Senato della
Repubblica, per metodi “naturali” senza senso, né scientifico e nemmeno di
buonsenso: il “metodo Stamina”, cura con “poltiglie di cellule” somministrate a
caso da “guaritori”, e ora per una “agricoltura biodinamica” che non è niente –
una idea di Rudolf Steiner, simpatico esoterista. Questo “senso della natura”,
nel paradigma oggi felicemente imperante dell’ecologia, della protezione
dell’ambiente, alza salvaguardie dalle azioni dell’uomo inconsiderate ma anche,
e più, della natura – terremoti, venti (cicloni, tornado, trombe d'aria), acque (alluvioni, mareggiate, maremoti o tsunami), virus. L’idea della natura come
maestra morale è poetica, pararomantica, di Woodsworth, Thoreau, sul solco oggi
dell’ecologia. Ma poetico è anche l’opposto, da Lucrezio in poi, anzi da Omero,
che esordisce con la pandemia.
Nazionalismo – “Molto poco «tedesco»”
lo dice Thomas Mann a Parigi, chiamando a correi la Francia e anche un po’ la
Spagna, nel racconto (“Resoconto parigino”, 47) della celebrazione che gli è
stata tributata a Parigi nel 1926: “Il nazionalismo tedesco – che, come è stato
provato di recente con notevole arguzia, affonda le sue radici nel romanticismo
di Heidelberg (Th.Mann intende: nel romanticismo europeo – n.d.r.) – è molto
poco «tedesco»; con la sua religiosità «ctonia», la sua venerazione per la
notte, la morte, il suolo, la Storia e il popolo è un fenomeno europeo, anzi
«internazionale», al pari di ogni ostinata volontà oscurantista, ed è
rinvenibile in tutta la sua lugubre sensualità già prima della guerra, sotto
appena un po’ di patina spagnola”, in Barrès, di origini spagnole. Un rifiuto
molto nazionalista tedesco.
Thomas Mann ha del
resto nei suoi tanti scritti ripetuti riferimenti a Barrès – più che a
qualsiasi altro intellettuale o scrittore francese: è il reagente del suo
nazionalismo, la giustificazione. È solo nel secondo dopoguerra che il
nazionalismo tedesco susside.
Romanticismo – In una fase, anni 1920, in cui diffida delle
“fantasticherie notturne”, del “complesso di terra, popolo, Natura, passato e
morte, à la Joseph von Görres”, di
“oscurantismo rivoluzionario”, di cui sono “stipati i cerebri dei tedeschi”, Th.
Mann contesta (“Resoconto parigino”, pp. 60-65) Baeumler, di cui ammira l’erudizione,
che nella riproposta di Bachofen distingue due romanticism, “un vero romanticismo e un romanticism solo
di nome”. Novalis e Friedrich Schlegel “sarebbero dei «cosiddetti romantici»,
ancorati nel Settecento, inficiati dal razionalismo, e quindi disprezzabili”.
Con una “virile – troppo virile – idea del futuro”. Mentre “veri romantici sarebbero” Arndt, Görres,
Grimm e Bachofen, “in quanto sono gli unici a essere dominati e determinati nel
profondo dal «grande ritorno», da una concezione materna e notturna del
passato”. Insomma,la palude “tedesca”, fangosa.
Th.Mann in realtà apprezza
Baeumler: “Nulla di più interessante; è un lavoro profondo e magnifico, e chi
conosce la materia ne rimane affascinato”. Ma vuole sottrarre Nietzsche al suo
abbraccio, al piano di Baeumler di “misurare Nietzsche col metro di Bachofen”. E
qui inciampa. Baeumler, dice Mann, inscrive Nietzsche “nella linea di Zoega,
Creuzer, Grimm, K.O.Müller e Bachofen contro il «classicismo superato e
obsoleto» di ottimisti, razionalisti ed esteti quail Winckelmann, Voss,
Bachmann, Mommsen e Wilamowitz”. Ignorante delle “sacre tenebre della preistoria”,
con una concezione razionale del mito. Th. Mann lo apparenta invece a Goethe.
Legame del tutto incongruo, se non per il “germanesimo alto e formativo” che Th. Mann attribuisce loro – sempre nel
quadro dei primati, del pensiero razionale-nazionale, strana simbiosi.
Suicidio - Schopenhauer è contro perché è un atto di libertà – perciò
condannabile. Una decisione che implica l’esercizio del giudizio, che implica
uno spazio di libertà. E quindi un segno di attaccamento-riconoscimento alla-della
vita.
Quella di darsi la morte è
comunque una scelta. Si introduce nel non essere, la morte, un atto di volontà
che è comunque un altro modo di esere. Per di più nela più totale libertà,
quanto ai tempi, modi, luogo. Una scelta.
Il rifiuto della vita dovendo essere radicale. Per esempio per lui Schopenauer,
che non ha cessato un solo istante di essere operoso, nelle liti familiari e
accademiche, nei viaggi, nella scrittura, nelle complicate vicende di
pubblicazione, e di diffusione delle pubblicazioni, nonché di pensiero, di
riflessione, perché no, quindi attivo, soggetto di scelte, di libertà?
Il nichilista suicida
introduce la libertà con l’atto stesso con cui professa al top il suo nichismo. Si direbbe una contraddizione . Uno dei tanti
sofismi della “filosofia tedesca”, labirintica – non c’è pensiero se non è
labirintico. Schopenhauer è come Nietzsche, miglior scrittore che pensatore,
suggestivo, divertente.
Tecnica – Ma non è l’uomo?
La sua capacità d’intelligenza, invenzione, adattabilità, manualità? A partire
dal fuoco? L’interdetto di Heidegger un solo senso può avere: della tecnica che
soverchia l’intenzione, il programma. Dell’energia nucleare diventata Bomba. Di
facebook che alimentasse la guerra di tutti contro tutti invece dell’amicizia.
Delle tante fantasie che si accompagnano ai sogni, di robot, golem, “programmi”
o altri chip o fusibili che si ribellano al creatore e padrone uomo… - fantasia
vecchia come il fuoco, all’inizio della storia. Che non aiutano, come si dice: la
tecnica nasce, e si sviluppa, in continuo, si rinnova, si adatta, non su queste
fantasie ma slle necessità o bisogni che via via emergono – le “sfide”.
zeulig@antiit.eu
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