Giuseppe Leuzzi
La
mafia è la famiglia. La scoperta è di Saviano, facendo il Pasolini sul
“Corriere della sera”: “Quando mi chiedono quando finiranno le mafie rispondo
quando finiranno le famiglie. Quando l’umanità troverà nuove forme
d’organizzazione”, eccetera – Saviano reitera i concetti, come Pasolini. Ma col
conforto di André Gide – che però aveva solo il problema di scopare in libertà:
“Famiglie! Focolari chiusi; porte serrate; geloso possesso della felicità. Vi
detesto”.
Camilleri
segnala l’“idea” della mafia, che era sfuggita, di Manlio Sgalambro. Che a lui
sembra balzana e invece non lo è – è anzi “centrale”, si sarebbe detto un tempo.
Sulla rivista “IdeAzione”, intervistato da Giuseppe Rasiti, il filosofo
catanese distingueva nel 1997 i mafiosi dall’idea di mafia. Questa dicendo una
“astrazione”, alla pari di Stato, di Giustizia, di Polizia. Una “astrazione”
che non si combatte con la Polizia, ma “con una buona logica”. Vero è – Camilleri
è contro, ma non spiega perché.
Il
“Corriere della sera-Milano” celebra l’Olimpiade di Tokyo come un successo
lombardo. Pagine da memoriale, “Lombardia da medaglia”, con foto-ricordo e
statistiche. Tutto speciale:
“Cinquantotto dei 384 azzurri in gara ai
Giochi di Tokyo” titola per l’ultimo giorno, domenica, “vivono e si allenano in
regione”, nelle più diverse discipline.
I 58 in rapporto a 384 sono meno dei dieci milioni di Lombardi in rapporto ai sessanta della popolazione
italiana. Senza contare che “vivono e si allenano in regione molti atleti di
altra provenienza”. Per il clima? No, perché la Lombardia è favorita negli
impianti sportivi.
Ma
l’orgoglio è ancora un peccato? Nel “mercato”, globale?
Il Sud è opera
pubblica
È
lo Stato che allarga il divario Nord-Sud, con prestazioni e infrastrutture
cattive e pessime. Non per una volontà politica, non dichiarata, ma per una
burocrazia errata. Invece di definire i “livelli elementari di prestazione”,
come richiesto dalla Costituzione, art. 117, lo Stato finanzia gli enti locali,
addetti ai servizi e alle infrastrutture, con i Fab, livelli di fabbisogno.
Cioè, in base alla spesa storica – chi più ha avuto più ha. Un fattore di
distorsione talmente abnorme che sarebbe inconcepibile, se non fosse la prassi.
Sul
“Quotidiano del Sud” di sabato 7 agosto Fabrizio Galimberti fa un riesame
comparato dei trasferimenti dello Stato (“settore pubblico allargato”) in euro
pro capite, per regioni e per grandi aree, sui dati disponibili per il 2018,
che parla da solo. Basti il dato medio per grandi aree, Centro Nord e
Mezzogiorno:
Centro-Nord Mezzogiorno
Sanità
2.057 1.790
Amm.
Generale
2.090 1.513
Mobillità
931 586
Reti
infrastrutturali
1.688 1.394
Politiche
sociali
7.180 5.626
Servizi
generali
1.358 1.002
Attività
prod.-Opere pubbliche 1.282 1.097
Acqua
230 146
Ambiente
e gestione territorio
310 72
Conoscenza,
cultura, ricerca 1.488 1.209
Con
alcune curiosità. La Lombardia riceve di meno per l’ambiente e per la cultura e
ricerca – molto meno della media del
Centro-Nord, e meno anche delle regioni del Sud esemplificate in tabella,
Campania, Puglia, Calabria e Sicilia. Ma
la sperequazione resta larga. E regionale: il divario Nord-Sud è ben
pubblico.
Il circolo
vizioso sembra all’apparenza ben fondato: i Comuni del Nord hanno Fab più alti
perché offrono più servizi. Ma il Fab è un meccanismo sperequativo: non
induce i Comuni del Sud a spendere di
più per i servizi, ma li obbliga al contrario, a contrarre la spesa. Mentre la
spesa pubblica ha – deve avere – indirizzo egualitario. Di più nel quadro di
una politica nazionale presuntamente (costituzionalmente) solidaristica.
La Procura di
Palmi
Famosa
per essere stata a suo tempo gestita da Agostino Cordova, il Procuratore Capo di
destra professa (Msi) che scalò i vertici della magistratura portato dall’ex
Pci, la Procura di Palmi si vuole un bastione contro la mafia calabrese,
dovendo controllare tutta la Piana di Gioia Tauro – la “plaga” la chiamava
Cordova, insomma l’area a più alta densità mafiosa del mondo. Ora soppiantata
in questa funzione dalla Procura distrettuale antimafia di Reggio Calabria, ma
pur sempre un bastione.
Trent’anni
fa, nella primavera-estate del 1991, la densità mafiosa fu tale che trabordò
negli uffici giudiziari. Il Procuratore Cordova, nel pieno di un’offensiva
giudiziaria contro due o trecento amministratori di Usl, amministratori comunali,
amministratori di Enel e Fiat, politici socialisti e politici democristiani, massoni
di varia obbedienza, tutti più o meno mafiosi, avanzò su “la Repubblica” il
sospetto, anzi la certezza, che anche gli uffici giudiziari lo fossero. I giudici
del Tribunale e della Corte d’Appello accusavano Cordova, nei corridoi, di
“velenosità e astii personali” per la distribuzione degli spazi al palazzo di
Giustizia. Cordova accusò il presidente del Tribunale, Domenico Grillea, di tenere
ormeggiata la sua barca nella darsena del porto di Gioia Tauro (non quello di
ora, il gigante trans-shipment¸ il
vecchio porticciolo dei pescatori), “notoriamente controllato” dalla cosca
mafiosa Piromalli. E di avere preteso da un ufficiale di Polizia “informazioni sugli
sviluppi dell’inchiesta sulla barca”. Il presidente della Corte d’Appello,
Alfredo Teresi, accusava invece di “irregolarità nel sorteggio dei giudici
popolari” – in senso favorevole agli imputati, sottinteso. Un bell’ambientino.
Il
quotidiano fu costretto a una precisazione. Con accuse rovesciate. Il presidente
del Tribunale diceva “una pura insinuazione “ il controllo della darsena da
parte dei Piromalli, “dato che nessun dato obiettivo e nessuna voce corrente lo
rendeva percepibile”. Quanto alla tentata subornazione, o all’abuso di potere,
nei confronti dell’ufficiale di Polizia, scrisse non contestato, che il procedimento
era invece “di un inquietante caso di indagini fraudolentemente compiute ai
miei danni mediante microspia”. Il presidente della Corte d’Assise spiegò che
il procedimento sui giudici popolari era stato da tempo archiviato dal gip di
Messina in quanto “completamente destituito di fondamento”.
Non
è dato sapere come la controversia sugli spazi a palazzo di Gìustizia di Palmi sia
terminata. La “plaga” era, e resta, ampiamente mafiosa. Erano quelli anche gli
anni dei rapimenti di persona, cui la ”plaga” era interessata.
L’onorevole
meglio del Nord
È
cupio dissolvi, sicuramente, ma dà
un’idea di stupidità. Come la Calabria oggi su De Magistris, uno che ha sempre
disprezzato i calabresi, il Sud ama molto adagiarsi sui “falsi amici”, Grandi
Giornalisti, Grandi Politici, Grandi Giudici. Rinunciando a quell’importante,
decisivo, strumento di costruzione del
futuro che è la politica. Che la stessa Calabria, Napoli, la Sicilia, Bari hanno
sperimentato con Mancini, Bassolino, nei lontani tempi di Alessi e La Loggia la
Sicilia, Bari con Moro, il Salento con D’Alema.
Non
c’è falsa causa per la quale il Sud non si immoli. Da ultimo per i 5 Stelle e
per la Lega – per la Lega. In passato ha votato entusiasta Berlusconi, la Sicilia
per ben due legislature ha solo votato Berlusconi, che non ha speso un euro in Sicilia
e non ha portato un solo provvedimento di legge, uno solo, di beneficio. Salvini è senatore
della Calabria, il leader della Lega. Il plebiscito meridionale per i 5 Stelle, che hanno inventato come
“reddito di cittadinanza” la vecchia pensione di invalidità che non si negava a
nessuno – ed era frse una elemosina necessaria, ma quanti danni non ha
provocato. E hanno voluto e sbandierato
il cashback per i ricchi del Nord.
La
Calabria ora si adopera a far vincere alle Regionali l’ex giudice napoletano De
Magistris, fresco di un fallimento decennale come sindaco di Napoli. I peana si
sprecano ogni giorno sui giornali locali. Uno che della Calabria disprezza anche
l’aria: s’inventò inchieste di ogni genere, perché lo cacciassero per incompatibilità
da Catanzaro, anche solo per Santa Maria Capua Vetere. E come lo rincorre il Pd
locale – in tutte le sue frazioni. Dopo la serie comica di commissari alla
Sanità, ora anche un presidente di Regione commissariale.
Sicilia
Nel 1911, due
anni dopo la pubblicazione di “I vecchi e i giovani”, il romanzo critico dell’unificazione,
Pirandello dettava per la scuola di Porto Empedocle una lapide che sanciva la questione
meridionale: “Due stirpi\ con vicenda ineguale di nascita di vita di morte\ due
Italie\ florida una di comuni\ splendida di signorie\ come da fiumi percorsa\
da vicini alterni destini\ l’altra arida da secoli povera\ feudalmente immota”…
Anche se “sempre accesa nell’ansia\ da generosi ardimenti”.
Riflettendo
sulle difficoltà dei sondaggi elettorali di saggiare gl umori reali dell’elettore
in Sicilia, Camilleri difende così i siciliani: “Da queste parti non solo indulgono
a raffinate beffe, ma amano soprattutto «fare teatro», cioè apparire agli occhi
di un estraneo in modo diametralmente opposto a quello che in realtà sono”. E
così privarsi della politica? Il sondaggio è politica.
Pronunciandosi
per il Ponte sullo Stretto, nel 1997,
Camilleri si pronunciava anche contro la “sicilitudine” – “Ecco perché quel
ponte s’ha da fare”, pubblicato su “la Repubblica-Palermo” (ora in “La Sicilia
secondo Camilleri”): “L’insularità crea quasi sempre….una condizione di
diversità che marcia o nella direzione del compiacimento o nella direzione
dello scoramento. In altri termini, il ponte taglierebbe alla radice la «sicilitudine», non l’essere siciliani”.
Una pagina di
“la Repubblica-Palermo” per celebrare, a dieci anni dalla morte, Lodovico Corrao,
artefice a trent’anni, sessant’anni fa, dell’“esperimento Milazzo”, delle sinistre
che sostenevano un governo regionale Dc “contro la Dc”, e Sergio Troisi non
trova una riga per nominare i cugini Salvo. Ricorda che Corrao ha ricostruito Gibellina,
di cui fu a lungo sindaco, come un paese lunare, inabitabile - “una pianta
urbana disposta per altre realtà e qui catapultata”. Ma non spiega che la
ricostruzione si fece in un’area dei Salvo, gli esattori poi condannati per
mafia e all’epoca molto sospetti. Sostenitori accesi nel 1958, anche loro, dell’“esperimento
Milazzo”.
Sarà vero che
in Sicilia la narrazione è tutto.
“Angilo era
un galantomo”, un personaggio di Camilleri (“L’oro a Vigata”), “ma come tutti i
galantuomini siciliani si scantava a morte dei carrabineri”.
Vero è, per
dirla come Camilleri, ma fra i tanti scrittori siciliani solo Camilleri lo
dice.
È in Sicilia,
a Capo d’Orlando, non al mare della Versilia o della Liguria, che Gino Paoli
concepisce “Sapore di sale”, 1963 – poi arrangiato da Ennio Morricone.
Andrea
Erminia Constand, la cestista che ha accusato tre anni fa il comico Bill Crosby
di stupro, nel 2004, è stata professionista solo nella seria A italiana, per
due stagioni, 1997-98 e 1998-99, in Sicilia: col Messina primo anno, senza mai
scendere in campo, e poi con l’Alcamo.
Con Crosby
era finita male subito: Constand aveva ottenuto già nel 2005 un accordo
extragiudiziale da 3 milioni e mezzo. Un patteggiamento che le impediva di
riutilizzare l’accusa. Cosa che invece ha fatto, portando ora all’assoluzione
di Crosby. Sembra una storia siciliana e invece succede in America, a opera di
una canadese.
Ricordava
Elio Pagliarani, il poeta ora morto, la volta che fu a Palermo, a presentare un
libro sulla mafia edito dalla Cooperativa Scrittori che lui animava, ed avevano
appena ucciso Pio La Torre. Quando si
ritrovò in tasca una cartolina dell’ossario dei Capuccini , con teschio e tibie
incrociate. Che qualcuno gli spiegò essere un “primo avvertimento”. Pagliarani
si vide morto. Mentre era uno scherzo di Nico Garrone, che lo accompagnava –
poi critico del cinema a “Repubblica”.
“C’è stato un
momento, verso al fine degli anni ’80,
in cui Elisabetta Sgarbi ed io siamo partiti alla conquista della
Sicilia,, le terra del Belpaese forse a più alto tasso letterario” – Mario
Andreose, editore, “Domenica” del “Sole 24 Ore” 27 giugno. Semplice – Andreose
e E.Sgarbi lavoravano allora per Bompiani, l’editoria per converso è milanese.
In Sicilia
solo per questioni di ordine pubblico – la famosa intervista col generale Dalla
Chiesa, che presagiva la sua propria morte – Bocca non ha scritto dell’isola,
uno dei pochi. Ma al siciliano Paolo Di Stefano spiega, in un’intervista
ferragostana del 1995, venticinque anni fa, la “differenza” con le lapidi: “Le
due guerre mondiali in Sicilia sono state vissute come qualcosa di fantastico,
tra l’esaltazione e il sogno. In quelle lapidi c’è solo retorica, vuoto,
falsità”. Mentre “nelle lapidi piemontesi c’è il senso profondo della tragedia
e di un sacrificio terribile”.
Bocca prevenuto, a disagio in tutto nel Sud, non dice delle lapidi un segno del
tradimento delle borghesie meridionali. Ma spiega bene il problema, il divario
è tra l’esaltazione e l’avvedutezza.
Ricorda
Camilleri in breve, nel racconto “Lo stivale di Garibaldi”. il raccapricciante esordio
dell’unità d’Italia, in Sicilia, che la storia trascura. Il suo prefetto avventurato
Falconcini è inviato a metà 1862 dal generale Medici (il garibaldino comandante
militare di Palermo, n.d.r.) a Montelusa-Agrigento con questa
premessa - dalle memorie dello stesso Falconcini: “Il traviamento morale di
questi siciliani ha creato in essi tali condizioni che minacciano di portarli
all’ultima rovina. Agisca di conseguenza”.
Il luogotenente
Cordero di Montezemolo, ricorda ancora Camilleri, tre giorni dopo il suo arrivo
a Palermo scriveva al re: “I beduini di quest’isola sono assai più feroci di
quelli delle Cabilie”. Il generale Govone, “tragica macchietta di torturatore e
di fucilatore”, nello stesso 1862 in Parlamento: “La Sicilia non è sortita dal
ciclo che percorrono tutte le nazioni per passare dalla barbarie alla civiltà”.
Il generale
Govone è famoso, tra la tante sue imprese, per avere fatto torturare per ventiquattro
ore senza interruzione un malcapitato che non rispondeva alle sue domande.
Prima di accorgersi che era sordomuto.
leuzzi@antiit.eu
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