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martedì 10 agosto 2021

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (463)

Giuseppe Leuzzi
La mafia è la famiglia. La scoperta è di Saviano, facendo il Pasolini sul “Corriere della sera”: “Quando mi chiedono quando finiranno le mafie rispondo quando finiranno le famiglie. Quando l’umanità troverà nuove forme d’organizzazione”, eccetera – Saviano reitera i concetti, come Pasolini. Ma col conforto di André Gide – che però aveva solo il problema di scopare in libertà: “Famiglie! Focolari chiusi; porte serrate; geloso possesso della felicità. Vi detesto”.
 
Camilleri segnala l’“idea” della mafia, che era sfuggita, di Manlio Sgalambro. Che a lui sembra balzana e invece non lo è – è anzi “centrale”, si sarebbe detto un tempo. Sulla rivista “IdeAzione”, intervistato da Giuseppe Rasiti, il filosofo catanese distingueva nel 1997 i mafiosi dall’idea di mafia. Questa dicendo una “astrazione”, alla pari di Stato, di Giustizia, di Polizia. Una “astrazione” che non si combatte con la Polizia, ma “con una buona logica”. Vero è – Camilleri è contro, ma non spiega perché.
 
Il “Corriere della sera-Milano” celebra l’Olimpiade di Tokyo come un successo lombardo. Pagine da memoriale, “Lombardia da medaglia”, con foto-ricordo e statistiche.  Tutto speciale: “Cinquantotto  dei 384 azzurri in gara ai Giochi di Tokyo” titola per l’ultimo giorno, domenica, “vivono e si allenano in regione”, nelle più diverse discipline.  I 58 in rapporto a 384 sono meno dei dieci milioni di Lombardi in  rapporto ai sessanta della popolazione italiana. Senza contare che “vivono e si allenano in regione molti atleti di altra provenienza”. Per il clima? No, perché la Lombardia è favorita negli impianti sportivi.
Ma l’orgoglio è ancora un peccato? Nel “mercato”, globale?
 
Il Sud è opera pubblica
È lo Stato che allarga il divario Nord-Sud, con prestazioni e infrastrutture cattive e pessime. Non per una volontà politica, non dichiarata, ma per una burocrazia errata. Invece di definire i “livelli elementari di prestazione”, come richiesto dalla Costituzione, art. 117, lo Stato finanzia gli enti locali, addetti ai servizi e alle infrastrutture, con i Fab, livelli di fabbisogno. Cioè, in base alla spesa storica – chi più ha avuto più ha. Un fattore di distorsione talmente abnorme che sarebbe inconcepibile, se non fosse la prassi.
Sul “Quotidiano del Sud” di sabato 7 agosto Fabrizio Galimberti fa un riesame comparato dei trasferimenti dello Stato (“settore pubblico allargato”) in euro pro capite, per regioni e per grandi aree, sui dati disponibili per il 2018, che parla da solo. Basti il dato medio per grandi aree, Centro Nord e Mezzogiorno:
                                                     Centro-Nord     Mezzogiorno
Sanità                                                 2.057                 1.790
Amm. Generale                                 2.090                  1.513
Mobillità                                               931                    586
Reti infrastrutturali                            1.688                  1.394
Politiche sociali                                 7.180                  5.626                
Servizi generali                                  1.358                  1.002
Attività prod.-Opere pubbliche          1.282                  1.097
Acqua                                                    230                     146
Ambiente e gestione territorio              310                      72     
Conoscenza, cultura, ricerca              1.488                   1.209                               
Con alcune curiosità. La Lombardia riceve di meno per l’ambiente e per la cultura e ricerca – molto  meno della media del Centro-Nord, e meno anche delle regioni del Sud esemplificate in tabella, Campania,  Puglia, Calabria e Sicilia. Ma la sperequazione resta larga. E regionale: il divario Nord-Sud è ben pubblico. 
Il circolo vizioso sembra all’apparenza ben fondato: i Comuni del Nord hanno Fab più alti perché offrono più servizi. Ma il Fab è un meccanismo sperequativo: non induce  i Comuni del Sud a spendere di più per i servizi, ma li obbliga al contrario, a contrarre la spesa. Mentre la spesa pubblica ha – deve avere – indirizzo egualitario. Di più nel quadro di una politica nazionale presuntamente (costituzionalmente) solidaristica. 
 
La Procura di Palmi
Famosa per essere stata a suo tempo gestita da Agostino Cordova, il Procuratore Capo di destra professa (Msi) che scalò i vertici della magistratura portato dall’ex Pci, la Procura di Palmi si vuole un bastione contro la mafia calabrese, dovendo controllare tutta la Piana di Gioia Tauro – la “plaga” la chiamava Cordova, insomma l’area a più alta densità mafiosa del mondo. Ora soppiantata in questa funzione dalla Procura distrettuale antimafia di Reggio Calabria, ma pur sempre un bastione.
Trent’anni fa, nella primavera-estate del 1991, la densità mafiosa fu tale che trabordò negli uffici giudiziari. Il Procuratore Cordova, nel pieno di un’offensiva giudiziaria contro due o trecento amministratori di Usl, amministratori comunali, amministratori di Enel e Fiat, politici socialisti e politici democristiani, massoni di varia obbedienza, tutti più o meno mafiosi, avanzò su “la Repubblica” il sospetto, anzi la certezza, che anche gli uffici giudiziari lo fossero. I giudici del Tribunale e della Corte d’Appello accusavano Cordova, nei corridoi, di “velenosità e astii personali” per la distribuzione degli spazi al palazzo di Giustizia. Cordova accusò il presidente del Tribunale, Domenico Grillea, di tenere ormeggiata la sua barca nella darsena del porto di Gioia Tauro (non quello di ora, il gigante trans-shipment¸ il vecchio porticciolo dei pescatori), “notoriamente controllato” dalla cosca mafiosa Piromalli. E di avere preteso da un ufficiale di Polizia “informazioni sugli sviluppi dell’inchiesta sulla barca”. Il presidente della Corte d’Appello, Alfredo Teresi, accusava invece di “irregolarità nel sorteggio dei giudici popolari” – in senso favorevole agli imputati, sottinteso. Un bell’ambientino.
Il quotidiano fu costretto a una precisazione. Con accuse rovesciate. Il presidente del Tribunale diceva “una pura insinuazione “ il controllo della darsena da parte dei Piromalli, “dato che nessun dato obiettivo e nessuna voce corrente lo rendeva percepibile”. Quanto alla tentata subornazione, o all’abuso di potere, nei confronti dell’ufficiale di Polizia, scrisse non contestato, che il procedimento era invece “di un inquietante caso di indagini fraudolentemente compiute ai miei danni mediante microspia”. Il presidente della Corte d’Assise spiegò che il procedimento sui giudici popolari era stato da tempo archiviato dal gip di Messina in quanto “completamente destituito di fondamento”.
Non è dato sapere come la controversia sugli spazi a palazzo di Gìustizia di Palmi sia terminata. La “plaga” era, e resta, ampiamente mafiosa. Erano quelli anche gli anni dei rapimenti di persona, cui la ”plaga” era interessata.
 
L’onorevole meglio del Nord
È cupio dissolvi, sicuramente, ma dà un’idea di stupidità. Come la Calabria oggi su De Magistris, uno che ha sempre disprezzato i calabresi, il Sud ama molto adagiarsi sui “falsi amici”, Grandi Giornalisti, Grandi Politici, Grandi Giudici. Rinunciando a quell’importante, decisivo, strumento  di costruzione del futuro che è la politica. Che la stessa Calabria, Napoli, la Sicilia, Bari hanno sperimentato con Mancini, Bassolino, nei lontani tempi di Alessi e La Loggia la Sicilia, Bari con Moro, il Salento con D’Alema.
Non c’è falsa causa per la quale il Sud non si immoli. Da ultimo per i 5 Stelle e per la Lega – per la Lega. In passato ha votato entusiasta Berlusconi, la Sicilia per ben due legislature ha solo votato Berlusconi, che non ha speso un euro in Sicilia e non ha portato un solo provvedimento di legge, uno solo, di beneficio. Salvini è senatore della Calabria, il leader della Lega. Il plebiscito meridionale per i 5 Stelle, che hanno inventato come “reddito di cittadinanza” la vecchia pensione di invalidità che non si negava a nessuno – ed era frse una elemosina necessaria, ma quanti danni non ha provocato.  E hanno voluto e sbandierato il cashback per i ricchi del Nord.
La Calabria ora si adopera a far vincere alle Regionali l’ex giudice napoletano De Magistris, fresco di un fallimento decennale come sindaco di Napoli. I peana si sprecano ogni giorno sui giornali locali. Uno che della Calabria disprezza anche l’aria: s’inventò inchieste di ogni genere, perché lo cacciassero per incompatibilità da Catanzaro, anche solo per Santa Maria Capua Vetere. E come lo rincorre il Pd locale – in tutte le sue frazioni. Dopo la serie comica di commissari alla Sanità, ora anche un presidente di Regione commissariale.
 
Sicilia
Nel 1911, due anni dopo la pubblicazione di “I vecchi e i giovani”, il romanzo critico dell’unificazione, Pirandello dettava per la scuola di Porto Empedocle una lapide che sanciva la questione meridionale: “Due stirpi\ con vicenda ineguale di nascita di vita di morte\ due Italie\ florida una di comuni\ splendida di signorie\ come da fiumi percorsa\ da vicini alterni destini\ l’altra arida da secoli povera\ feudalmente immota”… Anche se “sempre accesa nell’ansia\ da generosi ardimenti”.
 
Riflettendo sulle difficoltà dei sondaggi elettorali di saggiare gl umori reali dell’elettore in Sicilia, Camilleri difende così i siciliani: “Da queste parti non solo indulgono a raffinate beffe, ma amano soprattutto «fare teatro», cioè apparire agli occhi di un estraneo in modo diametralmente opposto a quello che in realtà sono”. E così privarsi della politica? Il sondaggio è politica.
 
Pronunciandosi per il Ponte sullo Stretto,  nel 1997, Camilleri si pronunciava anche contro la “sicilitudine” – “Ecco perché quel ponte s’ha da fare”, pubblicato su “la Repubblica-Palermo” (ora in “La Sicilia secondo Camilleri”): “L’insularità crea quasi sempre….una condizione di diversità che marcia o nella direzione del compiacimento o nella direzione dello scoramento. In altri termini, il ponte taglierebbe alla radice  la «sicilitudine», non l’essere siciliani”.
 
Una pagina di “la Repubblica-Palermo” per celebrare, a dieci anni dalla morte, Lodovico Corrao, artefice a trent’anni, sessant’anni fa, dell’“esperimento Milazzo”, delle sinistre che sostenevano un governo regionale Dc “contro la Dc”, e Sergio Troisi non trova una riga per nominare i cugini Salvo. Ricorda che Corrao ha ricostruito Gibellina, di cui fu a lungo sindaco, come un paese lunare, inabitabile - “una pianta urbana disposta per altre realtà e qui catapultata”. Ma non spiega che la ricostruzione si fece in un’area dei Salvo, gli esattori poi condannati per mafia e all’epoca molto sospetti. Sostenitori accesi nel 1958, anche loro, dell’“esperimento Milazzo”.
Sarà vero che in Sicilia la narrazione è tutto.
 
“Angilo era un galantomo”, un personaggio di Camilleri (“L’oro a Vigata”), “ma come tutti i galantuomini siciliani si scantava a morte dei carrabineri”.
Vero è, per dirla come Camilleri, ma fra i tanti scrittori siciliani solo Camilleri lo dice.
 
È in Sicilia, a Capo d’Orlando, non al mare della Versilia o della Liguria, che Gino Paoli concepisce “Sapore di sale”, 1963 – poi arrangiato da Ennio Morricone.
 
Andrea Erminia Constand, la cestista che ha accusato tre anni fa il comico Bill Crosby di stupro, nel 2004, è stata professionista solo nella seria A italiana, per due stagioni, 1997-98 e 1998-99, in Sicilia: col Messina primo anno, senza mai scendere in campo, e poi con l’Alcamo.
Con Crosby era finita male subito: Constand aveva ottenuto già nel 2005 un accordo extragiudiziale da 3 milioni e mezzo. Un patteggiamento che le impediva di riutilizzare l’accusa. Cosa che invece ha fatto, portando ora all’assoluzione di Crosby. Sembra una storia siciliana e invece succede in America, a opera di una canadese. 
 
Ricordava Elio Pagliarani, il poeta ora morto, la volta che fu a Palermo, a presentare un libro sulla mafia edito dalla Cooperativa Scrittori che lui animava, ed avevano appena ucciso Pio La Torre.  Quando si ritrovò in tasca una cartolina dell’ossario dei Capuccini , con teschio e tibie incrociate. Che qualcuno gli spiegò essere un “primo avvertimento”. Pagliarani si vide morto. Mentre era uno scherzo di Nico Garrone, che lo accompagnava – poi critico del cinema a “Repubblica”.
 
“C’è stato un momento, verso al fine degli anni ’80,  in cui Elisabetta Sgarbi ed io siamo partiti alla conquista della Sicilia,, le terra del Belpaese forse a più alto tasso letterario” – Mario Andreose, editore, “Domenica” del “Sole 24 Ore” 27 giugno. Semplice – Andreose e E.Sgarbi lavoravano allora per Bompiani, l’editoria per converso è milanese.
 
In Sicilia solo per questioni di ordine pubblico – la famosa intervista col generale Dalla Chiesa, che presagiva la sua propria morte – Bocca non ha scritto dell’isola, uno dei pochi. Ma al siciliano Paolo Di Stefano spiega, in un’intervista ferragostana del 1995, venticinque anni fa, la “differenza” con le lapidi: “Le due guerre mondiali in Sicilia sono state vissute come qualcosa di fantastico, tra l’esaltazione e il sogno. In quelle lapidi c’è solo retorica, vuoto, falsità”. Mentre “nelle lapidi piemontesi c’è il senso profondo della tragedia e di un sacrificio terribile”.
Bocca prevenuto, a disagio in tutto nel Sud, non dice delle lapidi un segno del tradimento delle borghesie meridionali. Ma spiega bene il problema, il divario è tra l’esaltazione e l’avvedutezza.
 
Ricorda Camilleri in breve, nel racconto “Lo stivale di Garibaldi”. il raccapricciante esordio dell’unità d’Italia, in Sicilia, che la storia trascura. Il suo prefetto avventurato Falconcini è inviato a metà 1862 dal generale Medici (il garibaldino comandante militare di Palermo, n.d.r.) a Montelusa-Agrigento con questa premessa - dalle memorie dello stesso Falconcini: “Il traviamento morale di questi siciliani ha creato in essi tali condizioni che minacciano di portarli all’ultima rovina. Agisca di conseguenza”.
 
Il luogotenente Cordero di Montezemolo, ricorda ancora Camilleri, tre giorni dopo il suo arrivo a Palermo scriveva al re: “I beduini di quest’isola sono assai più feroci di quelli delle Cabilie”. Il generale Govone, “tragica macchietta di torturatore e di fucilatore”, nello stesso 1862 in Parlamento: “La Sicilia non è sortita dal ciclo che percorrono tutte le nazioni per passare dalla barbarie alla civiltà”.
 
Il generale Govone è famoso, tra la tante sue imprese, per avere fatto torturare per ventiquattro ore senza interruzione un malcapitato che non rispondeva alle sue domande. Prima di accorgersi che era sordomuto.

leuzzi@antiit.eu

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