giovedì 5 agosto 2021

Ecobusiness

Il rapporto energia-clima non è una novità del G 20 di Napoli, intitolato appunto “Ambiente, Clima ed Energia”. – e conclusosi con un nulla di fatto, nessun impegno. Era il tema della conferenza sui cambiamenti climatici di Toronto, 1988.  A Toronto si quantificò per la prima volta la riduzione delle emissioni di CO2, di un 20 per cento in dieci anni. Da allora sono invece cresciute del 34 per cento.
Non c’è nessun impegno dei paesi petroliferi o carboniferi a ridurre la produzione dei combustibili inquinanti. Anzi se ne auspica in questa congiuntura un amento, per evitare l’inflazione da fonti di energia, da materie prime.
Malgrado ogni impegno in senso contrario, l’uso del carbone non diminuisce. In Cina copre il 63 per cento della produzione di elettricità. In India il 72 per cento – in aumento. In Germania il 25 per cento. In Giappone il 30 per cento.
Fin dalla conferenza annuale del 2009, e poi dagli accordi di Parigi sul clima, c’è un impegno dei paesi ricchi a finanziare i paesi poveri per 100 miliardi di dollari l’anno con l’impegno a ridurre il global warming. Sul presupposto che nei paesi poveri l’investimento nell’energia pulita sarebbe meno costoso, e di attuazione ed efficacia più radia. Ma nessun trasferimento o investimento è stato fatto nei dodici anni.
Il piano europeo del 14 luglio, “Fit for 55”, ridurrebbe le emissioni globali, se attuato nell’interezza, di una percentuale simbolica, nell’arco di un decennio: di meno di un miliardo di tonnellate di CO2 al 2030, su un’emissione globale prevista in 36-38 miliardi di tonnellate – appena il 2 per cento.

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