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Il vuoto dopo la Bomba
È
lo speciale che la rivista dedicò al dopo-Bomba nel numero datato 31 agosto
1946, ma pubblicato una settimana prima, il 23 – la rivista lo ripropone per il
75mo anniversario della pubblicazione. Ritenuto storico perché rivelava infine
al pubblico americano la verità della Bomba, i cui effetti devastanti il
governo tentava di occultare.
“Un
lampo senza rumore” è il sottotitolo. Hersey fa rivivere i momenti precedenti
l’attacco, con la città e la contraerea già da qualche giorno inquieti perché “qualcosa
doveva succedere”, e quelli successivi. Seguendo le vicende di sei
sopravvissuti, che ancora si chiedono: “Perché continuiamo a vivere mentre così
tanti altri sono morti”. Sconsolati, come il paesaggio che Hersey sa far
“vedere” ai lettori, dello scheletro bruciato della città, fra i sette bracci
di fiume che l’attraversano.
Hersey
è ritenuto l’inventore del giornalismo d’inchiesta narativo: la tecnica di fare
la cronaca di eventi passati usando parte del racconto. Di persone, situazioni,
sensazioni. Prima del suo “Hiroshima” le cronache di guerra erano eroicizzanti,
rumorose, belliche. Hersey usa una prosa minima, quasi diaristica, corriva al
“silenzio” del dopobomba: la meraviglia, la paura, il vuoto.
È
una corrispondenza che è un libro. Originariamente pensata per una
pubblicazione su più numeri. Fino alla decisione, trattandosi di un gesto anche
politico, di pubblicarla tutta insieme, in edizione speciale – che andò esaurita in poche ore, Einstein, che chiedeva mille copie, ebbe difficoltà ad averle.
Curioso
che il dibattito storico su Hiroshima e l’uso dell’atomica non sia andato al di
là, in America, di questa ricostruzione. Così come della liceità – dell’onore?
– della guerra aerea, peggio ancora missilistica. Che l’America ha dilatato,
sia pure in risposta alla Luftwaffe di Hitler e ai bombardieri giapponesi su Pearl
Harbour, fino alle tempeste di fuoco del generale Curtis Le May, proprio in Asia,
fino a Hiroshima compresa.
John
Hersey, Hiroshima, “The New Yorker”,
free online
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