venerdì 27 agosto 2021

La Calafrika, dove non conoscono Kristóf

Crotone è “in fiamme”, a Vibo Marina “ieri c’erano quarantadue gradi”, “a Crotone quarantasette invece”. La storia si direbbe ferma, anche in fatto di calura, il caldo in estate è sempre troppo.
Sei racconti, o piuttosto scene, di vita: la tendopoli per africani di Rosarno, una fabbrica di veleni, invisibile, Crotone, città dove “si vive male”, la malasanità a danno di una ragazza, una manifestazione alla Sapienza, e Roma, o “i treni che dalla stazione Termini portano in Calabria”. Più altri esercizi in arrabbiatura di passaggio, sui fatti della vita che il giornale propone. Come il suicidio di Norman Zarcone, a 27 anni, a Palermo, il genio filosofico cui i baroni universitari hanno sbarrato il futuro – ma no, il futuro è ampio, ce n’è per tutti. Un esercizio di bravura su una struttura esile, di cronache e, per lo più, collere.
Un progetto ambizioso, di fine scrittura, ricercata, innovativa. Sul solco della scrittura beat anni 1950 – Kerouac, Ginsberg et al.. Per un adattamento, o viraggio al sociale, della “nuova oggettività” del linguaggio scritto – l’invenzione di Gertrude Stein e Hemingway: la frase breve, l’anticipo, il dialogo in fieri, ripetitivo (tutti nomi assenti, però, fra le tante letture formative che Bubba nomina). Ma come slegato di fatto dalla vita, passioni e dolori esibendo per cataloghi. Nella forma racconto-saggio che Saviano ha portato con “Gomorra” al successo di pubblico. Se non che “Gomorra” è opera di radicale revisione editoriale, e anche dopo rimane alla rilettura insieme sbiadita e appesantita. Un genere, insomma, difficile da maneggiare. Che finisce, benché elaborato, nell’invettiva. Prolungata, ma non più di un moto di stizza.
Resta una sorta di instant  book, benché voluminoso. Un racconto che riflette un momento di rabbia, o di demoralizzazione. Che però si prolunga, molto più che un momento, e senza argomenti, non consistenti - forse una condizione: la depressione, si sa, è muta ma cattiva, micidiale?
Un caso anche, marcato, di odio-di-sé, la categoria che un secolo fa Theodor Lessing elaborava per l’ebraismo – con ben altro fondamento: la delusione che porta all’imprecazione. Che male ho fatto a nascere in Calabria è il sottinteso. Questo in ogni forma, e quasi in ogni capoverso: la Calafrica, anzi la Calafrika, un lunghissimo “Roma”, sui calabresi a Roma, al Tiburtino, San Lorenzo, Monti Tiburtini (ma la maggior parte non sono altrove?), Rosarno naturalmente, intesa ghetto per africani, o in alternativa a Crotone il centro Sant’Anna, che gli africani tiene in parcheggio, in riserva - come se non ce ne fossero purtroppo anche altrove. Con riferimenti anche ricercati: Crotone come Dublino, e Tiro – le quattro età dei quindici racconti “Dublinesi” di Joyce bloccate dalla paralisi, la città di Didone pietrificata all’arrivo di Enea. In sintesi: “In Calabria l’ironia se n’è andata da un pezzo”.
Leggerlo dieci anni dopo l’uscita, un po’ toglie il fiato. Anche perché sembra, viaggiando in Calabria, modellato sulle gazzette locali, bollettini criminologici - di “fatti”, certo. Mentre Bubba era già scrittrice affermata, finalista allo Strega del 2010, esordiente pluripremiata a ventun anni. Scrittrice, calabrese senza dubbio, di molta energia. E finisce che a un certo punto la Calabria è l’Italia, luogo piatto, a due dimensioni, l’incudine e il martello. Mentre l’ironia è la (sola) cosa che della Calabria resta, la “zannella”.
Un linguaggio? Una forma mentis? La deprecazione. Ben calabrese, a voler restare in argomento. Ma senza lo scherzo finale: in Calabria tutti scherzano, dopo essersi sparlati addosso, invece di analizzare e armarsi – la situazione è grave ma non seria. Specchio di un fondo culturale diffuso nella regione di Bubba, del rifiuto-di-sé sotto la forma opposta del legame indissolubile, dell’amore vero, del destino indissolubile. 
A Crotone non vendono Ágotha Kristóf – e a Roma? Si penserebbe sia una battuta per ridere.
Angela Bubba,
Mali Nati, Bompiani, pp. 375 € 17

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