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La contessa scalza e il prezzo di essere una stella
Un
polpettone, lo dovrebbe dire un critico, le tre vite della Grande Attrice, cioè
i tre amori – che però non cancellano l’unico e solo, si sa che l’amore è
immortale. Molto 1954. Che però avvince – il romanzo vuole essere romanzesco.
Con una Ava Gardner statuaria, più formosa che mai, sotto un viso semplice. E
Humphrey Bogart che fa Humphrey Bogart, il regista narratore, l’innamorato di sempre. Con mezza Italia:
Rossano Brazzi, l’inevitabile nobiluomo, marito impotente, Valentina Cortese
(nei titoli di testa – allora si mettevano prima - Cortesa), Portofino, Franco
Interlenghi ragazzo, Alberto Rabagliati, e perfino Enzo Staiola, il bambino di “Ladri
di biciclette”, il capolavoro di De Sica.
Richard
Brody, il barbutissimo critico del “New Yorker”, lo rivede come “uno dei grandi
film sul cinema”, sul fare film. Ma strutturato, molto: “«La contessa scalza» è
forse il film di Hollywood più laboriosamente strutturato dopo «Citizen Kane». Come
nel film di Orson Welles, che comincia con la morte del produttore, la storia della
Grande Attrice è raccontata con una serie di flashbacks – a partire dal suo funerale”,
ed è narrata dai suoi tre uomini più importanti. “Manckiewicz era, dopo Welles,
il cinematografaro di Hollywood più literature-mad”.
Manckiewicz
dovette produrre il film, uno dei più grandi successi di pubblico, perché non
trovava finanziatori, attraverso una sua società ad hoc, che chiamò Figaro Inc.
Girò quasi tutto in Europa, dove i costi erano minori, specie in Spagna e in
Italia, una sola scena ambientata in California.
Joseph
L. Manckiewicz, La contessa scalza,
online
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