La solitudine, nell'impero di Stalin
La
seconda stagione della poesia di Mandel’stam. Dopo quella classicheggiante
dell’acmeismo. Nell’isolamento, cui Mandel’štam si costrinse dileggiando
Stalin, nel 1933 – un isolamento che si concluderà targicamente, nel confino a
Voronež, alla frontiera con l’Ucraina, alla confluenza del fiume omonimo col
Don, in qualche tentato suicidio, e una fine oscura (che resta oscura dopo
molte ricerche). Appena uscito da un decennale divito di pubblicazione per
troppo tiepido sovietismo – con in più una rognosa accusa di plagio nella
traduzione del “Till Eulenspiegel”.
Un
personaggio e un poeta molto classico e molto eversivo. Ebreo di nascita e di
cultura, aveva cominciato col proposito di scavalcare il “caos giudaico”, il
“puzzo di bruciato del non essere veterotestamentario”, per riallacciarsi alla Grecia, a Roma, alla
civiltà governata dalla logica. A Roma, la civiltà latina: “La natura è Roma,
Roma rispecchia la natura.\ Vediamo immagini del suo potere civile\ nell’aria
trasparente come in un circo azzurro”. E, con l’acmeismo, a Dante, Villon,
Shakespeare – Dante soprattutto, e Tasso e Ariosto. Amante delle liste – alla
Eco, “La vertigine della lista” (che però non ne tiene conto): il catalogo
delle navi di Omero. Ma molto agì l’educazione cosmopolita e poliglotta
ricevuta: nato a Varsavia, cresciuto a San Pietroburgo, a 16 anni fu a
Parigi, viaggiò anche in Italia e in
Germania, a 19 studiò a Heidelberg.
Una
poesia, questa tarda, di solitudini, e di luoghi, la passione politica e la
società restando ora estranee, prima ancora che proibite. Le impressioni
d’Armenia, Leningrado,Mosca. Con il linguaggio “scientifico”, preciso e
scattante, della sua migliore saggistica - il “linguaggio della luce e
dell’aria”, degli elementi. Da “disegnatore del deserto,\ geometra delle sabbie
mobili”. La vita di relazione essendo impossibilitata: muri di carta, spie,
l’inaccessibile vicino. Di un solitudine estrema, ma visionaria: “Il tuo repertorio,
infinità,\ leggo da solo, non con gli
uomini -\ il selvatico, spoglio prontuario,\ le tavole delle massime radici”.
Molti
componimenti si suppone dal confino di Voronež. Tra “ancora giovani colline”
che lo riportano alla “chiara nostalgia\ del tutto umano chiarore di Toscana”.
Compreso il testo fatidico contro “il montanaro del Cremlino”, “baffetti da
scarafaggio”, “osseta dalle spalle larghe”, che portò alla condanna
inevitabile.
Curati e introdotti da Pina
Napolitano e Raissa Raskina, i cosiddetti quaderni, a lungo “poesie disperse”,
tenute insieme e in vita dalla moglie Nadežda, vengono con l’originale. Con una
profusa introduzione e un corposo apparato di note. La prima traduzione
integrale del cosiddetto “Codice vaticano”, le poesie che Mandel’stam poscritto
scrisse tra il viaggio in Armenia per cui è famoso, nel 1930, e il confino
politico a Voronez, cominciato nel 1934 e durato fino alla morte, per aver
criticato scopertamente Stalin, anche in un epigramma.
Osip
Mandel’štam, Quaderni di Mosca, Einaudi,
pp. 347 € 16,50
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