Letture - 465
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Asterischi – Sono più veritieri delle recensioni che
accompagnano: se la cosa, film, libro, spettacolo, merita o no il lettore lo
capisce meglio dagli asterischi.
Usa da qualche
tempo anche per i libri, specie di narrativa, il giudizio sintetico con gli asterischi,
accanto alla riflessione o recensione. Queste sono normalmente involute, lunghe
e con grandi titoli, la grafica dei giornali privilegiando il formato a pagina
intera, e un grande titolo, a corpo 48 o 56, di per sé induce al consenso – si
tratta di una cosa importante. Poi si guarda l’asterisco, due su cinque, anche
uno e mezzo, e si capisce – “ho dovuto, il giornale ha dovuto, fare un favore
all’agente, l’autore, l’editore, l’addetto stampa, la scuola di scrittura, il
promotore di eventi culturali”.
Calvino - Devoto di Palazzeschi? Non trova eredi
a Palazzeschi il suo biografo e studioso Gino Tellini sul “Venerdì di
Repubblica”: “Lezione difficile quella d Palazzeschi, con pochi eredi. Calvino,
che si dichiarò suo devoto, forse Penna”. Bisogna pensarci.
Campanella – “Il poeta che voleva il. bene del
popolo”, Mario La Cava, “I fatti di Casignana”. Originale definizione del
filosofo e agitatore politico, forse più vera.
Céline – È una storia cèliniana quella che
accompagna i manoscritti dati per dispersi e riemersi dopo la morte della vedova.
Céliniana involontariamente, ma anche più tragica o perfida di quante Céline ne
immaginava: una (piccola) vendetta, di quelle che tormentavano lo scrittore e
che si ascrivono a una sorta di sua paranoia permanente.
Céline aveva
come commercialista Oscar Rosembly, ebreo: Col quale ha continuato a vedersi
anche sotto l’occupazione tedesca - e spesso condivideva il cibo, di cui a
Céline, in buioni trapporti con la Kpommandantur,
era più facile approvvigionarsi. Rosembly entrò presto nella Resistenza, ma
questo non interruppe i rapporti. Quando fuggì da Parigi, il 17 giugno 1944,
Céline dovette lasciare la cassa nella quale aveva ammassato i manoscritti. Poi
sosterrà che Rosembly aveva saccheggiato il suo appartamento, e aveva buttato i
manoscritti. No: Rosembly aveva saccheggiato l’appartamento, ma i manoscritti
li ha lasciati in custodia, “fino a dopo la morte di Céline”. Clausola che,
essendogli Céline premorto, aveva esteso “fino alla morte di sua moglie”,
Lucette Almanzor. Ora che la vedova è morta, a 107 anni (anche questa
prolungata esistenza sembra céliniana, invenzione di Céline), i manoscritti sono
stati resi di pubblico dominio.
Dante – Curioso ma pertinente omaggio dell’ultimo
“Economist” a Dante per i settecento anni: “La «Divina commedia» è una guida
salutare alla speranza nelle avversità” – “Settecento anni dopo la morte di Dante,
il suo capolavoro ancora risuona”.
Dialetto – È di Pirandello, del saggio “Introduzione
al teatro italiano”, che nel 1936 apriva la “Storia del teatro italiano” di
Silvio D’Amico, la distinzione tra idea e sentimento della parola: la lingua
evidenzia il concetto della cosa che la parola esprime, il dialetto (la stesa parola
in dialetto) il sentimento,
Federico II – Un tramper, un vagabondo - è la silhouette che ne fa Rumiz, in E' Oriente. In effetti, nacque con la mamma in viaggio, dalla
Germania verso Palermo, a Jesi. Da una madre quarantenne che, per anticipare i
pettegolezzi, sull’erede comprato, volle partorire in piazza, benché il 26
dicembre facesse presumibilmente freddo - come una gitana, di quelle che i
bambini nell’immaginario li rubano. Un imperatore del Sacro Romano Impero scomunicato.
Che corse ovunque, tutta la vita, e muore per caso a Torre Fiorentina, o Castel
Fiorentino di Puglia – morì a dicembre, come era nato. Dopo essersi fatto
costruire tante domus, qui e là per
tutto il Regno – più di quante ebbe bisogno di abitare almeno una notte (non fu
mai nella domus più famosa, Castel
Del Monte).
Libro –
“È come il martello o il cavatappi”, scrive Emanuele Trevi su “La lettura”,
per dirlo un utensile, utile. Ma il cavatappi non è recente – il libro, l’idea
di libro, si direbbe antica, come il martello.
Lolita
–
Ragionando di metanagramma, anagramma a vocale variabile, Bartezzaghi ne trova
di gustosi in “Lolita”, e li attribuisce a Nabokov, “uno dei maggiori giocatori
di sempre”: “Stavo pensando a Lolita.
Il nome ha qualche anagramma: atolli, il
lato, tallio, l’alito, italo… Altolà sarebbe
un metanagramma”. Dice anche che “Lolita
è uno dei suoi romanzi che più pullula di anagrammi, crittografie e enigmi”. Ma
in originale o in traduzione? Quello che
cita, “il periglioso sortilegio delle ninfette”, non può non essere del traduttore
– di Giulia Arborio Mella? O già di Bruno Oddera?
Una questione doppiamente intrigante, potrebbe
arguire l’esperto di giochi, Nabokov avendo dedicato molti scritti e molto
tempo, anche alla traduzione,. Come scrittore tra due lingue – magari perdendosi,
malgrado la sua capacità critica, dietro la traduzione dell’“Oneghin” di Puškin
in inglese, che gli esperti dicono spenta, e anche illeggibile, per la mole,
quattro volumi, col testo, 250 pagine, sommerso, come a questa traduzioni ambiziose
accade, dal commento e le note, 1.200 pagine.
Manzoni – Grande
scrittore di storia, si direbbe, e di paesaggi. Anche di personaggi. Cosa gli
manca? Ha un di più di albagia – troppo presto mostro sacro?
Natalia
Ginzburg
– È la scrittrice che ha più titoli nell’offerta dell’editrice New York Review
of Books di narrativa al femminile: “Lessico familiare”, “Famiglia” e
“Borghesia”, “Valentino” e “Sagittario”.
Omero – Goethe ne contesta
(Simmel dice: “Ne odia”) la frammentazione. Par la sua concezione della bellezza,
che deve essere totalitaria, unificante.
Ma Omero è frammentario?
Socialismo – Singolare rivalutazione
ne fa Goffredo Fofi nella prefazione che introduce la riedizione 2018 di Mario
La Cava, “I fatti di Casignana”, a proposito dei contadini, del mondo
contadino: “I contadini, per la vulgata marxista e leninista, erano nemici o pesi
morti”, e lo stesso sarà per i comunisti in Italia, “anche se la rivoluzione russa
l’hanno fatta anzitutto i contadini”. Da qui un ribaltamento della lettura
storica contemporaneistica, dominata dal Pci: “Dovremmo distinguere, in questo
senso, tra tradizione comunista e tradizione socialista, la seconda soffocata
in Urss ma rimasta a lungo viva in Italia, almeno fino agli anni del
centrosinistra, nel suo rispetto della storia e nel suo rifiuto di una visione
dottrinaria, distorta e manipolata, della vera storia del proletariato”. Ciò,
spiega Fofi, è soprattutto evidente sulla questione meridionale. Personalmente,
spiega, nella sua formazione e dopo, nella sua attività, “mi furono utili in particolare
il «Mondo operaio» di Raniero Panzieri e gli studi di Gaetano Arfé (lo storico
dimenticato che fu anche direttore dell’“Avanti!”, n.d.r.), o le polemiche e
gli interventi che comparivano sulle terze pagine dell’ “Avanti!” quando le impostavano
e curavano Luciano Della Mea e Franco Fortini”. Per centrosinistra intendendo, come è giusto
nella datazione storica, quello socialista, degli anni 1960-1970, che rinnovò l’Italia
(diritto di famiglia, urbanistica, ambiente, sistema sanitario nazionale,
statuto dei lavoratori).
letterautore@antiit.eu
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