L’invenzione dell’Africa
È
il “padre dell’Africa”, quale ancora resiste alle realtà. Di cannibali
eccetera. Celebrato “filosofo e matematico prestantissimo” alla (università) di
Padova, Bibliotecario a Roma, nelle pause dei viaggi in Francia e altre corti,
per il suo impegno di militare dapprima, e poi di scienziato, membro tra i
primi dei Lincei – siamo a fine Cinquecento. Più godibile della “Relazione” del
lontano parente Antonio, quello del viaggio di Magellano intorno al mondo,
scrittore italiano, le racconta più grosse. Con più accuratezza: se le fa
raccontare da un portoghese in abito di pellegrino, che, dice, ha passato in
Africa dodici anni – il bibliotecario gli dà accoglienza, e il pellegrino si
sdebita raccontando, inventando l’inventabile.
Non
si ride, se non per la meraviglia - cosa l’Europa scientifica non ha creduto
nei secoli. Lungo il fiume Zaire - “cioè sapio in latino” (so?) - ci sono cannibali
che mangiano solo gli amici e “se stessi” – anche se non si capisce come. Ci
sono in Africa tigri che mangiano solo i neri. Roba di questi tipo. Il tutto al
confine col reame del Prete Giani, già fantasticato da molti secoli di
letteratura. Di che alimentare la “conoscenza” europea dell’Africa per alcuni secoli,
e fino a recente.
Con
una notevolissima, incredibile se non fosse lì, curatela di Giorgio Raimondo Cardona,
nella presentazione e, soprattutto, nelle note, vertiginose. Una pubblicazione
della collana Nuova Corona, ideata e diretta da Maria Corti – si è eretto un
monumento. Roba di appena quarant’anni fa, e sembra preistoria.
Filippo
Pigafetta, Relazione del reame di Congo
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