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Nerina al Porta Portese delle parole
“Le
pagine ibride di Bassani e Palazzeschi, Pavese e Levi mi hanno fatto amare la
vostra lingua. Ora mi sono messa alla prova con i versi di Nerina, una casalinga-scrittrice
che ha molto di me stessa”. Così confidava Lahiri alla “Stampa” per l’uscita
del “Quaderno”. E anche: “Il girasole impazzito di Montale ha illuminato le mie
poesie”. Un topos usato, non solo da
Manzoni, quello dello scartafaccio ritrovato, ma ben raccontato. Anche con la necessaria
ironia: “l’antica scrivania”, un “mobile imponente col ripiano alto”, si rivelerà
proveniente da Porta Portese, il mercatino domenicale romano, forse, probabilmente,
anzi certo.
Non
è l’unica invenzione. Una “Verne Maggio”, italianista presumibilmente
americana, specialista di Elsa Morante - una vicina di casa, naturalmente ex,
di Lahiri a Trastevere (più probabilmente vicina di umori, non risulta Morante
trasteverina: forse alla nascita, se è nata, come sembra, ma non si sa, nella
clinica di maternità per poveri, la sala Salvetti, allora in via Anicia), si
occupa di annotare il “Quaderno di Nerina”. Che ha bisogno di note, essendo un
genere certamente avulso in italiano, e forse anche nelle altre letterature,
per ragioni molteplici. Nerina che è naturalmente leopardiana, ma anche
morantiana. Dacché, sia per confessione di Lahiri che di “Verne Maggio”, dal
1952 l’autrice della “Isola di Arturo” progettava un romanzo dallo stesso
titolo - di cui esisterebbe lo scartafaccio nel suo lascito. Questa “Nerina” qui
però dev’essere diversa: lavora “in più di una lingua”, proprio come Lahiri, la
sua è “un’esperienza trasformistica”.
Una
cornice, insomma, multistrato. Lahiri si diverte, ma diverte anche, non stanca.
C’è un problema di rimandi, di continue interruzioni, come una conversazione
fra sordi. Ma alla fine il filo si sfila (l’allitterazione però Nerina ce la
risparmia).
Un
quaderno ben trasteverino. Via Dandolo. Il bar di viale Glorioso. Il pescivendolo
di san Cosimato che la interpella “fanciulla”. Le doppie scempie, e viceversa:
coretto per corretto, cappelli per capelli (non rilevati da Verne Maggio….), et al. Trastevere, dove la scrittrice
italianizzata ha scelto di abitare, “vicino alla casa di Elsa Morante”, viene anche al di sopra di tutto, luogo di
elezione e di riconoscimento, un luogo identitario. Nella commedia delle identità,
che è il gioco che Jhumpa Lahiri, indiana di nascita, inglese di formazione,
americana d’istruzione e carriera, italiana di elezione da qualche anno, con
gli ultimi tre libri scritti in italiano, ha scelto di sperimentare. Un
esperimento curioso, anche se al passo dei tempi, delle identità fuggevoli e
promiscue. Che Lahiri vive, in questo momento italiano, come un’apertura di
opportunità: di curiosità, linguistiche, perfino glottologiche, e naturalmente
culturali e ambientali, Trastevere non è Princeton. Che la divertono e
divertono.
Il
tono è elegiaco, quasi luttuoso. Le dimenticanze che da sempre, dall’infanzia
indiana, che non sa altrimenti evocare, perseguitano
Nerina, l’angoscia della perdita, con i ritrovamenti poi inevitabili, gli
oggetti perduti emergendo bene in vista. Di oggetti caduti, chissà come, dalle
mani. Di incidenti banali – manca solo il dito schiacciato nella porta. Con un
Alberto paziente risolutore – uno di due Alberto, l’altro è il professore di
poesia di Nerina all’università, che le ha insegnato ad amare Pessoa, suo
riferimento altrettanto importante che Leopardi.
Ma
il tono è pimpante. Una poesia narrativa, di luoghi e personaggi. Di cose
viste, memorie, impressioni: “romanzesca”.
Sul tema della sparizione, dell’ansia di perdere, e di salvare,
ritrovare.
Con
un tasso di gioco linguistico elevato. “Forsennato” e “Forsemmorto”, “l’ozio
nel mezzo dell’adozione”. la “contraddizione in termini” e la “contraddizione
terminale”. I temi pratici rifatti sul piano linguistico: “Passiamo al participio,\
la pace prolungata,\ la scrivania ignorata!”. Con i problemi in evidenza, opera
di “Nerina” o di “Verne Maggio”, nei commenti, le prolusioni, le note. Di
poetica, di sintassi, di mestiere. Con uso profuso del Battaglia – che Lahiri
sembra possedere (in 17 volumi?), con cui tanto si diverte - e del Devoto-Oli. Specie
con le parole, “sgamare”, “scartabellare”,
“pennacchio” (pernacchio?), “peripezia” – come di bimbo che scopre significati
dietro i suoni. Col genere della parole sempre un po’ misterioso per gli anglofoni.
Il
quaderno si divide in sezioni: Evocazioni, Accezioni, Dimenticanze, Generazioni,
Peregrinazioni, Osservazioni. Quanto a Nerina, “considerato il nome della
figlia, non è da escludersi che sia di madrelingua persiana, o che sia cresciuta
bilingue (forse tra persiano e inglese?)”.
Il nome è Paradiso, “Paradiso che proviene\ dal pairidaeza persiano” (ma il paradiso in farsì non è behestì?).
Con
un omaggio a Primo Levi, a Dolores Prato, e a Domenico Antonio Palumbo (chi era
costui?). Il meglio narrato forse dei tre libri scritti da Lahiri in Italiano.
Benché rapsodico, per istantanee, scorci, lampi di memoria, sogni spezzati.
Della scrittura ricostituente, cioè ricostruttiva per usare il suo metodo di
uso delle parole. Un omaggio a Roma – anche se con un paio di errori di fatto:
non c’è una via Mazzini a Roma, ma un viale con una grande piazza, e non vi
passa il tram n. 3 (il quale, se corre verso Marmorata, passa prima davanti al
Colosseo e poi davanti al Foro). Ma l’imprecisione non toglie alla volontà di
poetare piano, raccontando, raccontandosi. Di luoghi e paesaggi, memorie,
impressioni, avventure verbali. Seppure in una lingua “mai del tutto istintiva”.
Il primo libro di poesie di Lahiri. Il migliore, il più “narrativo”, dei tre
scritti in italiano. Benché il più costruito - costruito all’evidenza, con le
strutture in bella vista: la veduta non disturba in quanto mostra come una
sorpresa per la stessa scrittrice (non
un gioco ricercato ma uno trovato). Contro i “lacci pestiferi del linguaggio”. Con
molte parole portmanteau, o mashup, le parole macedonia, per fusione
di due parole diverse per via di un qualcosa in comune, una fonema, una lettera.
Con, ribadita, “l’inquietudine degli
oggetti smarriti”. “Una saga familiare” anche,
“di inciampi e incidenti”. Un Porta Portese di cose viste, ansie, ricordi,
evocazioni.
Jhumpa
Lahiri, Il quaderno di Nerina,
Guanda, pp. 206 € 14
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