martedì 10 agosto 2021

Nerina al Porta Portese delle parole

“Le pagine ibride di Bassani e Palazzeschi, Pavese e Levi mi hanno fatto amare la vostra lingua. Ora mi sono messa alla prova con i versi di Nerina, una casalinga-scrittrice che ha molto di me stessa”. Così confidava Lahiri alla “Stampa” per l’uscita del “Quaderno”. E anche: “Il girasole impazzito di Montale ha illuminato le mie poesie”. Un topos usato, non solo da Manzoni, quello dello scartafaccio ritrovato, ma ben raccontato. Anche con la necessaria ironia: “l’antica scrivania”, un “mobile imponente col ripiano alto”, si rivelerà proveniente da Porta Portese, il mercatino domenicale romano, forse, probabilmente, anzi certo.
Non è l’unica invenzione. Una “Verne Maggio”, italianista presumibilmente americana, specialista di Elsa Morante - una vicina di casa, naturalmente ex, di Lahiri a Trastevere (più probabilmente vicina di umori, non risulta Morante trasteverina: forse alla nascita, se è nata, come sembra, ma non si sa, nella clinica di maternità per poveri, la sala Salvetti, allora in via Anicia), si occupa di annotare il “Quaderno di Nerina”. Che ha bisogno di note, essendo un genere certamente avulso in italiano, e forse anche nelle altre letterature, per ragioni molteplici. Nerina che è naturalmente leopardiana, ma anche morantiana. Dacché, sia per confessione di Lahiri che di “Verne Maggio”, dal 1952 l’autrice della “Isola di Arturo” progettava un romanzo dallo stesso titolo - di cui esisterebbe lo scartafaccio nel suo lascito. Questa “Nerina” qui però dev’essere diversa: lavora “in più di una lingua”, proprio come Lahiri, la sua è “un’esperienza trasformistica”.
Una cornice, insomma, multistrato. Lahiri si diverte, ma diverte anche, non stanca. C’è un problema di rimandi, di continue interruzioni, come una conversazione fra sordi. Ma alla fine il filo si sfila (l’allitterazione però Nerina ce la risparmia).
Un quaderno ben trasteverino. Via Dandolo. Il bar di viale Glorioso. Il pescivendolo di san Cosimato che la interpella “fanciulla”. Le doppie scempie, e viceversa: coretto per corretto, cappelli per capelli (non rilevati da Verne Maggio….), et al. Trastevere, dove la scrittrice italianizzata ha scelto di abitare, “vicino alla casa di Elsa Morante”,  viene anche al di sopra di tutto, luogo di elezione e di riconoscimento, un luogo identitario. Nella commedia delle identità, che è il gioco che Jhumpa Lahiri, indiana di nascita, inglese di formazione, americana d’istruzione e carriera, italiana di elezione da qualche anno, con gli ultimi tre libri scritti in italiano, ha scelto di sperimentare. Un esperimento curioso, anche se al passo dei tempi, delle identità fuggevoli e promiscue. Che Lahiri vive, in questo momento italiano, come un’apertura di opportunità: di curiosità, linguistiche, perfino glottologiche, e naturalmente culturali e ambientali, Trastevere non è Princeton. Che la divertono e divertono.
Il tono è elegiaco, quasi luttuoso. Le dimenticanze che da sempre, dall’infanzia indiana,  che non sa altrimenti evocare, perseguitano Nerina, l’angoscia della perdita, con i ritrovamenti poi inevitabili, gli oggetti perduti emergendo bene in vista. Di oggetti caduti, chissà come, dalle mani. Di incidenti banali – manca solo il dito schiacciato nella porta. Con un Alberto paziente risolutore – uno di due Alberto, l’altro è il professore di poesia di Nerina all’università, che le ha insegnato ad amare Pessoa, suo riferimento altrettanto importante che Leopardi.
Ma il tono è pimpante. Una poesia narrativa, di luoghi e personaggi. Di cose viste, memorie, impressioni: “romanzesca”.  Sul tema della sparizione, dell’ansia di perdere, e di salvare, ritrovare.
Con un tasso di gioco linguistico elevato. “Forsennato” e “Forsemmorto”, “l’ozio nel mezzo dell’adozione”. la “contraddizione in termini” e la “contraddizione terminale”. I temi pratici rifatti sul piano linguistico: “Passiamo al participio,\ la pace prolungata,\ la scrivania ignorata!”. Con i problemi in evidenza, opera di “Nerina” o di “Verne Maggio”, nei commenti, le prolusioni, le note. Di poetica, di sintassi, di mestiere. Con uso profuso del Battaglia – che Lahiri sembra possedere (in 17 volumi?), con cui tanto si diverte - e del Devoto-Oli. Specie con le parole,  “sgamare”, “scartabellare”, “pennacchio” (pernacchio?), “peripezia” – come di bimbo che scopre significati dietro i suoni. Col genere della parole sempre un po’ misterioso per gli anglofoni.
Il quaderno si divide in sezioni: Evocazioni, Accezioni, Dimenticanze, Generazioni, Peregrinazioni, Osservazioni. Quanto a Nerina, “considerato il nome della figlia, non è da escludersi che sia di madrelingua persiana, o che sia cresciuta bilingue  (forse tra persiano e inglese?)”. Il nome è Paradiso, “Paradiso che proviene\ dal pairidaeza persiano” (ma il paradiso in farsì non è behestì?).  
Con un omaggio a Primo Levi, a Dolores Prato, e a Domenico Antonio Palumbo (chi era costui?). Il meglio narrato forse dei tre libri scritti da Lahiri in Italiano. Benché rapsodico, per istantanee, scorci, lampi di memoria, sogni spezzati. Della scrittura ricostituente, cioè ricostruttiva per usare il suo metodo di uso delle parole. Un omaggio a Roma – anche se con un paio di errori di fatto: non c’è una via Mazzini a Roma, ma un viale con una grande piazza, e non vi passa il tram n. 3 (il quale, se corre verso Marmorata, passa prima davanti al Colosseo e poi davanti al Foro). Ma l’imprecisione non toglie alla volontà di poetare piano, raccontando, raccontandosi. Di luoghi e paesaggi, memorie, impressioni, avventure verbali. Seppure in una lingua “mai del tutto istintiva”. Il primo libro di poesie di Lahiri. Il migliore, il più “narrativo”, dei tre scritti in italiano. Benché il più costruito - costruito all’evidenza, con le strutture in bella vista: la veduta non disturba in quanto mostra come una sorpresa per  la stessa scrittrice (non un gioco ricercato ma uno trovato). Contro i “lacci pestiferi del linguaggio”. Con molte parole portmanteau, o mashup, le parole macedonia, per fusione di due parole diverse per via di un qualcosa in comune, una fonema, una lettera.  Con, ribadita, “l’inquietudine degli oggetti smarriti”. “Una saga familiare” anche,  “di inciampi e incidenti”. Un Porta Portese di cose viste, ansie, ricordi, evocazioni.
Jhumpa Lahiri, Il quaderno di Nerina, Guanda, pp. 206 € 14                          

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