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venerdì 13 agosto 2021

Secondi pensieri - 455

zeulig

Capitalismo – Il Medio Evo lo ha “inventato” (accettato) insieme con il Purgatorio, l’espiazione della colpa – la redenzione. Come una colpa quindi. Non specifica: del capitalismo come di ogni altra relazione sociale, dal signoraggio alla domesticità. Una colpa nel fatto in sé o nelle possibili applicazioni? Nelle applicazioni. Il modo capitalista è il modo di vita normale, comune: la compravendita, il prestito, l’investimento, l’interesse, il salario.
C’entra la religione? Nel processo del capitalismo non si direbbe – gli studi sulle radici ebraiche o cristiane restano aperte, inconcludibili se non nei presupposti. Ma nella religione cristiana ogni trasformazione è legata al pentimento, al concetto di espiazione – un “mettere le mani avanti”, a scanso di sorprese infernali.  Molto prima di Lutero.
 
L’assunto di Weber, che lega lo sviluppo del capitale alle sette protestanti, è vero in colonia. Il Brasile (come l’Angola, di cui il Brasile è etnicamente figlio) ha tutto più degli Stati Uniti: clima, vegetazione, fiumi e comunicazioni interne, anche i minerali. Se Al Sud fossero andati i Padri Fondatori invece dei cappuccini…
 
Ma Weber, più che le sette protestanti, analizza il pietismo, in rapporto allo sviluppo del capitalismo. Cioè una forma di protestantesimo ancora vicino al cattolicesimo – con innesti di Swedenborg e altri esoteristi (si può riscontrare in Goethe”, “Faust”, al Circolo di Francoforte).
Le “riletture” di Max Weber in termini di Riforma uguale Libertà, un po’ massoniche un po’ “piciste” (i repubblico-comunisti), non sanno quanti libri di preghiere, inni, prediche, soprattutto prediche, i cristiani riformati si sono dovuto sorbettare. Il grado di libertà di un popolo è d’altra parte la sua esperienza storica: dove altro ha attecchito il militarismo (da Carlo XII di Svezia a Federico II di Prussia e agli Hohenzollern), o il nazismo, se non  nei paesi riformati?
 
“Se analizziamo la genesi e lo sviluppo del capitalismo scopriamo che è questa la vera rivoluzione permanente, e che tutte le altre «rivoluzioni» non sono state altro che reazioni all’opera di «distruzione creatrice
 compiuta nel corso dei secoli dal capitalismo. Ma come mai solo in Occidente questa rivoluzione ha vinto” – Luciano Pellicani, “Che cos’è il capitalismo”.
Perché il capitalismo è l’Occidente? Ora è anche la Cina, lo stesso paese della “rivoluzione permanente”. Ma è una Cina che parla americano. E durerà?
 
Concetti
– Non sono, non possono essere, assoluti, totalitari – definitivi: ogni concetto implica il suo contrario. In termini concettuali, e reali. Non c’è un idealismo, se non in confronto con in materialismo – e viceversa: non c’è un materialismo assoluto, se non in confronto con qualcosa di altro dalla materia. Cìò è tanto più vero del nichilismo: dire che tutto è un nonsenso è come dire che qualcosa lo ha.
 
Forza – Improvvisa (istantanea) e solitaria, la trova Camus vagando estemporaneo nella sue riflessioni su Orano, che considera la sua città, sotto il segno del Minotauro – “Le Minotaure ou la Halte d’Oran” (apre la raccolta “L’été”): “La forza e la violenza sono dèi solitari. Non danno niente al ricordo. Distribuiscono , per contro, i loro miracoli a mani piene nel presente”.
Divinità della collera? Ma dèi si può dire ripetitivi, contestabili ma non eliminabili. Si cancellano una volta perpetrati. Si scrivono anche con l’inchiostro simpatico. Chi l’ha vissuto (sopportato, ma anche inflitto) non lo racconta, chi lo racconta può averlo vissuto ma incidentalmente.
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Nulla di buono può venire dalla forza? Non nel segno della violenza.
Forza e violenza sono sinonimi?
 
Minoranza – Ha sostituto la classe, come gruppo identitario e affermativo. Protetta dalle Costituzioni e dai diritti umani, dalle carte Onu, a differenza della classe. Diritti che implicano la protezione – un accrescimento quindi esponenziale degli stessi diritti.
Minoranza s’intende, anche nel sentire comune, condizione di maggior favore. Da qui il pullulare d minoranze di ogni tipo. Tutte con diritto a una “affirmative action”, a diritti speciali.
 
Pesantezza – Lo spirito di pesantezza che denunciava, Nietzsche sapeva  come affrontarlo: con la forza di carattere, il gusto, la mondanità, la felicità semplice, la dura fierezza, la frugalità del saggio. E quello dei social? Con i social non c’è confronto, solo la negazione. Lo spirito di pesantezza al tempo di Nietzsche non era avvolgente – era una partita aperta.
 
Ritorno –Va con la nostalgia, è sempre il nostos omerico, di Ulisse: si ritorna in luoghi, con persone, in situazioni, conosciute, che in qualche misura s’intende rivivere. Ma il vero ritorno è a più, e diverse, dimensioni. Un napoletano che vive a Milano e ritorna a Napoli non fa una cosa speciale: va da una città poco disordinata a una disordinata quasi per principio, da una meno ghiottona a una più ghiottona, ma con gli stessi pensieri, aspettative, paure, ansie. Il ritorno dal Nord al Sud, dalla città al Paese, dalle Alpi all’Aspromonte, è invece – può essere, malgrado tutto, l’acqua che manca in casa tra le acque che si disperdono della Montagna, o le cure, o le strade, o la pulizia - un passaggio tra diverse dimensioni di vita. Per un bisogno di diversità – di differenziazione nell’omogeneizzazione.
 
Solitudine – Non ci sono più deserti, si direbbe la tebaide impossibile. Non mentali,  spazi occupatissimi da mille social, in immagine, suoni, parole, da intromissioni, truffaldine per lo più, porno, medicali, finanziarie, e di ogni genere. Non fisici – se non senso della “poesia”, come l’industria del turismo vuole. Non c’è più il turismo in solitario, il viaggio, tutto è organizzato anche quando non lo è, significante secondo formule prestabilite. E dunque la solitudine si direbbe impraticabile, la solitudine più certa, quella fisica. Ma una nuova se ne individua, ormai da un paio di generazioni, quella affollata: la solitudine è nell’affollamento – non c’è bisogno del deserto, del Sahara, dei Rub-al-Qali, basta aprite il cellulare.
 
Storia – Maestra di vita va ora comunemente intese nel senso del Pimandro di Borges (Ermes Trismegisto), per il quale la storia non è la ricostruzione di ciò che è avvenuto ma “la fonte stessa della realtà”. La quale non è “ciò che è avvenuto” ma ciò che pensiamo si avvenuto.
 
C’è un senso neutro della storia, e uno prevenuto. Quello di Petrarca, spiega Albert Manguel, del trattato “Della propria e altrui ignoranza”, per cui la storia, povero Cicerone, era tenebra. Prima di Gesù Cristo, con “la fine di una notte per errori tenebrosissima”, e prima di Petrarca stesso, “Aurora della vera luce”. Ma è vero, anche senza l’autoapologia di Petrarca, che così  la storia viene letta.


zeulig@antiit.eu

 


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