Vale la pena ricordare quanto questo sito scriveva, recensendo “Stress
Test. Reflections on financial crises”, il libro che Timothy Geithner, l’ex
ministro del Tesoro americano, pubblicò nella primavera del 2014, su Angela
Merkel e l’Europa nella crisi bancaria e in quella del debito (un libro che curiosamente
si è scelto di non tradurre, benché di interesse per l’Italia):
https://www.blogger.com/blog/post/edit/4308716637477704291/6462015494876381296
E l’Europa? Geithner ha avuto un ruolo anche nella crisi europea. Prende
poche pagine della sua voluminosa memoria, ma è preciso e sconcertante.
Europa sbalorditiva e inspiegabile
A metà settembre 2008, a crisi manifesta,
“la Banca centrale europea aumentò i tassi, il che mi parve sbalorditivo e
inspiegabile”. Se non per “un altro round di paranoia da
inflazione”, per l’aunento dei prezzi del petrolio. Il governo americano invece
lanciava una riduzione delle tasse per 140 miliardi, un’iniziativa bipartisan,
per stimolare i consumi e gli investimenti. Mentre la Fed di New York, che
Geithner presiedeva, negli stessi mesi spingeva le banche d’affari a
ricapitalizzarsi per 40 miliardi di dollari, e a ridure il breve termine e
l’esposizione sui titoli rischiosi. Questo non bastò a salvare una delle
quattro, la Lehman, ma salvò le altre.
Successivamente due eventi fanno “inorridire” il ministro del Tesoro di
Obama, e lo stesso Obama. L’attacco franco-tedesco all’Italia a novembre del
2011 - l’unica parte di questa memoria già nota, riprodotta dalle agenzie di
stampa - e sei-sette mesi dopo l’attacco tedesco alla Grecia. “L’Europa aveva
passato la maggior parte del 2011 nei tormenti”. Il 21 luglio fu ristrutturato
il debito greco. Nello stesso mese la Bce di Trichet accresceva l’acquisto di
titoli pubblici sul mercato secondario “per aiutare a puntellare la Spagna e
l’Italia”. Ma “l’Europa non persuadeva gli investitori con una strategia
credibile”. A ragione il governo tedesco recalcitrava ai salvataggi, perché “i
beneficiari del sostegno europeo – la Spagna e l’Italia come la Grecia – non
mantenevano gli impegni di riforma”. Ma “la linea che Angela Merkel disegnava
sulla sabbia limitava le opzioni” anticrisi. C’era bisogna di un intervento
massiccio subito. Di un piano di intervento, che nei fatti avrebbe consentito
alla Bce uno sforzo gigantesco a sostegno del debito e dell’euro, con una
“leva” di “piccoli aiuti” pubblici. Le banche centrali canadese e svizzera lo
proposero, la Bundesbank lo rigettò.
A un certo punto gli europei presero a rivolgersi ai paesi asiatici per
finanziare il loro fondo di intervento, “uno spettacolo abbastanza
sconcertante”. Giappone e Cina non risposero.
A settembre Geithner fu invitato all’Ecofin in Polonia, il consiglio
europeo dei ministri del Tesoro. Tentò di non andarci, l’invito fu reiterato e
pressante, e allora parlò “con umiltà”, scusandosi, schermendosi. Ma non poté
non dire: “È più rischioso un intervento a piccole dosi graduale che un
intervento preventivo massiccio”. Gelo, e invito a tornarsene a casa dei
ministri dell’Austria e del Belgio per conto della Germania. “No leadership”,
è il commento interno al Tesoro Usa sull’Ecofin europeo.
Il 26 ottobre fu annunciata una ulteriore revisione della ristrutturazione
del debito greco. Fu annunciato anche “un piano modesto per tentare di fare
leva sul fondo di salvataggio per movimentare il denaro privato, ma era
congegnato male e più che altro sembrò segnalare i limiti di quello che
l’Europa voleva fare”.
Via Berlusconi
Quell’autunno Obama “parlò regolarmente con i leader europei”, e anche
Geithner con le sue controparti. Ne ricevettero spesso richieste di intervenire
sulla Merkel per una maggiore flessibilità, e su Italia e Spagna per un
“impegno responsabile”. Qui viene il complotto: “A un certo punto
quell’autunno alcuni rappresentanti europei ci presentarono un complotto per
tentare di costringere Berlusconi fuori dal governo; volevano che rifiutassimo
di sostenere i prestiti del Fondo monetraio finché non se ne fosse andato.
Informammo il presidente di questo sorprendete invito, ma per quanto potesse
servire ad avere una migliore leadership in Europa non potevamo impegnarci in
un complotto come quello”. Geithner ne riferisce come di un approccio e una
decisione interna al suo ministero, al plurale, abbandonando la prima persona,
afferenti cioè a qualcuno dei suoi collaboratori. E probabilmente per iscritto,
poiché Obama non parla. Poi torna al singolare: “«Non possiamo macchiarci le
mani del suo sangue», dissi”.
Pochi giorni dopo, ai primi di novembre, si tenne a Cannes il G 20. Obama
“passò la più parte del tempo in negoziati riservati, per tentare di aiutare
l’Europa a salvarsi. La maggiore parte della conferenza riguardò le pressioni
su Berlusconi, ma noi continuammo a premere sulla necessità di un robusto firewall,
e ci fu molta pressione anche su Merkel. Merkel si sentì isolata e sotto
attacco; non l’ho mai vista così agitata”.
Poi le cose cambiano. Cambiano i governi in Grecia, Italia e Spagna. E alla
Bce arriva Draghi. “Ai primi di dicembre Draghi annunciò una massiccia
iniezione di liquidità a lungo termine per il sistema bancario europeo”, con
“un istantaneo effetto stabilizzatore… L’Europa aveva mostrato un po’ di forza
e un po’ di volontà”. A febbraio, al G 20 dei ministri del Tesoro a Città
del Messico, il morale era su: “Gli europei erano sollevati, molti dichiararono
che la crisi era finita. Io non lo pensavo. Sembrava più una tregua che una
soluzione”.
L’attacco alla Grecia
A luglio del 2012 Draghi impegna la Bce a fare “qualsiasi cosa” sia
necessario per salvare l’euro nella sua integrità. Geithner ci vede un’identità
di vedute con l’intervento monetario e finanziario americano. Ma è sorpreso –
“terrificante” – da Schaüble, che in un incontro successivo gli prospetta come
“una strategia plausibile - e anche desiderabile”, nelle sue parole, di
Geithner, l’uscita della Grecia dall’euro. Come una lezione agli altri:
l’evento, sempre nelle parole di Geithner, “sarebbe stato abbastanza traumatico
da aiutare a spaventare il resto dell’Europa, inducendola a cedere più
sovranità a un’unione fiscale e monetaria più forte”. E come incentivo
all’opinione tedesca a sostenere l’euro, senza più il pregiudizio antigreco.
Schaüble viene presentato ora come la controfigura di Merkel, quello che si
prende il ruolo del cattivo per coprire politicamente la cancelliera con il
ceto politico più recalcitrante all’idea di eurozona e di Europa. Geithner lo
dice simpatico, “engaging”. Ma ha agitato i mercati, aggravando la situazione,
più del necessario, molto di più, in più occasioni, troppe.
“A giugno dl 2012 la crisi europea bruciava più che mai”, ricorda Geithner.
Ma solo Draghi se ne preoccupava. E la risolverà ripercorrendo – in parte e in
ritardo – la ricetta americana: “L’Europa non era riuscita a convincere il
mondo che non avrebbe consentito una catastrofe”. Geithner ha presente,
ricorda, quello che tutti sapevano ma nessuno in Europa denunciava: “difese
fragili e politiche confuse”. Scrive allora a Draghi per incoraggiarlo: “Temo
che l’Europa e il mondo guarderanno ancora a te per un’altra dose di abile,
creativa manifestazione di forza da banca centrale”. Draghi sa di doverlo fare
ma la Bundesbank non glielo consente. I tedeschi “non avevano un piano per
salvare l’Europa ma sapevano quello che non volevano”, così Geithner sintetizza
le sue conversazioni con Draghi – “quel luglio Draghi e io abbiamo avuto
parecchi conversazioni”: “Davano una lettura limitativa dei poteri legali della
Bce, e si opponevano a qualsiasi cosa sapesse di questione morale”, di
salvataggi con denaro pubblico (quello che la Bundesbank aveva tranquillamente
fatto in casa, va aggiunto).
Qualsiasi cosa
Il consiglio di Geithner è di “lasciare la Bundesbank fuori”. Il 26 luglio
uno studio Citigroup dà la Grecia fuori dall’euro al 90 per cento. Quello
stesso giorno, a un convegno a Londra, al termine di una serie d’incontri con
banchieri e gestori di fondi, Draghi proferisce le parole famose: “Nei termini
del nostro mandato, la Bce farà qualsiasi cosa per preservare l’euro. E credetemi,
sarà abbastanza”. Fa l’annuncio, scrive Geithner, sotto l’impressione del
pessimismo che ha riscontrato negli incontri londinesi, ma non ha un piano.
Geithner va allora a Sylt, dove Schaüble è in vacanza, per tentare di
convincerlo. Ne ricava quanto si è già riferito – “lasciai Sylt più preoccupato
di prima”. Si ferma a Francoforte da Draghi, che lo rassicura, ma sempre
senza un piano.
Di ritorno a Washington, Geithner spiega a Obama che l’Europa può mettere a
repentaglio il programma anticrisi americano. Obama chiede più volte che
l’Europa affronti la crisi con decisione. A settembre Draghi annuncia il
programma di riacquisto di titoli pubblici europei sul mercato. I mercati si
rassicurano, ma per poco. Viene Cipro, altra confusone.
La memoria lascia gli europei in crisi. Tra “impegni sempre confusi e
incompleti”, nei “loro tardivi e spesso inefficaci tentativi di imitarci”.
Sempre divisi su “un robusto programma europeo di ricapitalizzazione diretta
del sistema finanziario, come il nostro”. Incapaci di “un piano effettivo di un
sistema comune di assicurazione sui depositi” (quello oggi in discussione). Con
una disoccupazione a livelli impensabili, “molto peggiore che negli Usa, una
crescita stagnante, … un’austerità mal posta”. La conclusione è triste: “C’era
tanta sofferenza innecessaria dietro questi dati”. E orgogliosa: “Gli errori
degli europei … fornivano un’ottima pubblicità alla nostra risposta alla
crisi”.
(fine)
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