giovedì 16 settembre 2021

Angela la padrina

Si celebra ovunque, incondizionatamente, Angela Merkel, e non si vede perché. Ha governato la Germania, e l’Europa, per  sedici anni, ma che cosa ne ha fatto? Cosa ha dimostrato, a parte la  capacità parlamentare di manovra, a destra, a sinistra, e nello stesso suo centro, i suoi partiti, che peraltro ha devitalizzato?
Ha cancellato la Germania dalla politica europea, tutta intenta ai privati affari della Germania stessa, con Putin, con Pechino, e l’Europa dalla politica mondiale. Scettica sulla Ue, per anni scopertamente (il discorso di Bruges è  del 2010), poi ironica, sufficiente - e sempre unilaterale e mercantilista, per la bottega Germania (Bce, Putin, Erdogan, immigrati). Sul fronte atlantico, ci sarà da lavorare per gli storici, tra uovo e gallina, tra Washington e Ue, ma in tutti questi anni le relazioni sono state al minimo, Merkel è stata quasi persona non grata in America, senza alcun beneficio per il Vecchio Continente. La cancelliera ha condotto la Germania in salvo attraverso tre crisi, delle banche, del debito, del virus, ma – nelle prime due – a danno dei partner europei, e in tutt’e tre grazie alla riforma del lavoro del suo predecessore Schröder, un socialista che ha disintegrato il mercato del lavoro.
Le attribuiscono anche il salvataggio dell’euro nella crisi del debito quando invece l’euro è andato in crisi a causa sua. Tardi e poco per salvare la Grecia. E accanto al grande statista Sarkozy nello strangolamento tentato dell’Italia. Merkel rideva di Sarkozy la notte con i suoi collaboratori al bicchiere della staffa, e con Sarkozy quando bisognava mostrare al mondo che l’Italia era kaputt. Questo si tace, e se si dice si fa scandalo, cospirazionismo, complottismo eccetera, il partito della Cancelliera è in Italia molto forte, il numero delle agiografie in circolazione è impressionante, ma è solo l’evidenza: lei “non c’era” naturalmente, ma questo se lo dicono i padrini.
La ragazza dell'Est
Una donna al potere. In Germania – cioè a capo dell’Europa. Per sedici anni, per quattro legislature. È sicuramente un successo degno di nota. Di una donna, per giunta, dell’Est tedesco, che in Germania è disprezzato come il Sud in Italia. Ma il successo va giudicato nei suoi fatti. A partire dagli esordi, anonimi, molto. Passò nel 1989 a Berlino Ovest per caso, portata dalla folla, uscendo dalla palestra, col borsone a tracolla. E questo è tutto quello che se ne sa, anche se alla caduta del Muro aveva 34 anni, e quindi un passato. Con lei è così: indistinzione e grigiore. Della Ddr, la Repubblica Democratica Tedesca, avendo preso il realismo del potere, che è mediocre: della sua resistenza, o incapacità, a impegnarsi sulle questioni di principio e di prospettiva ha fatto  un’arma. Della mediocrità.
Helmut Kohl, il cancelliere di più lunga durata dopo Bismarck, artefice della riunificazione, e della moneta europea, se ne fece bandiera, della “ragazza dell’Est”, da Grande Maneggione politico, e la ragazza presto lo giubilò – “ha una pietra nel cuore”, dirà di lei il suo mentore oltraggiato. Allo stesso modo ha anestetizzato l’Europa, che sempre ha bloccato sulle questioni minime, incapacitandola. Giustificandosi col dire, con cinismo da casalinga: “Senza di me vedreste…”. La cancelliera del “troppo tardi, troppo poco”. Per dire che la Germania è inselvatichita, mentre non sembra proprio, non se ne vedono segnali.
Si dice: ha sostenuto Draghi contro la sua stessa Bundesbank, contraria al quantitative easingma a Draghi lei è arrivata dopo il fallimento-ritiro dei suoi candidati, Weber e Stark, e dietro l’impegno a salvare lei e le banche tedesche con quello che i giornali tedeschi chiameranno la “Grosse Bertha” - il supercannone del 1914-18 che bombardava Parigi: un intervento spettacolare a salvaguardia delle banche. Un gigantesco prestito a tre anni a bassissimo costo che ha salvato tutti, ma soprattutto le banche tedesche, olandesi, belghe e austriache, le peggio messe - Draghi alla Bce, fautore della politica d’intervento ma anche miglior guardiano degli interessi della Germania.
Ha chiuso, si farà entro un anno, le centrali nucleari, autorizzando quaranta nuove centrali a carbone. Ha affidato a Erdogan il trattamento dei rifugiati siriani e mediorientali, a spese della Ue, senza consultare nessuno – a Erdogan. Fredda a ogni suggerimento di una politica europea dell’immigrazione, che è solo necessaria.
La creazione di Afd
Si è presa i profughi della Siria, che sono meglio degli africani disperati a mare - manodopera pronta, più preparata, meglio integrabile. Un anno, per la platea – mettendo in difficoltà i paesi limitrofi e di transito, dalla Croazia alla Polonia. E poi basta: non una mano d’aiuto all’Italia e agli altri paesi esporti nel Mediterraneo, Spagna e Grecia, e all’Est, non una politica europea dell’immigrazione. Che sarebbe anche facile, oltre che meritoria.
Siamo rimasti alla Germania del 2016, quando secondo Angela Merkel poteva accogliere un milione di immigrati. Ma le cose sono cambiate: già l’anno successivo, prima ancora quindi del voto a settembre 2018 che ha punito Merkel e i suoi partiti democristiani, l’“accoglienza” tedesca si era dimezzata. Nel 2016 ben 745 mila richieste di asilo erano state presentate in Germania, nel 2017 solo 223 mila. Mentre in Italia la cifra è rimasta inalterata e anzi è aumentata: 123 mila richieste nel 2016, 129 mila nel 2017. 
Il “restringimento” è avvenuto in Germania, va aggiunto, come nel resto dell’Europa. Nel 2017 le richieste di asilo nella Ue sono passate da 1.260.910 del 2016 a meno di 700 mila. Lo stesso l’accoglienza: si è passati da un’accettazione delle domande di asilo del 61 per cento nel 2016 al 45,5 nel 2017. Anche qui, il calo è stato determinato dalla Germania. Che ha ridotto l’accettazione dal 69 al 40 per cento, da sette su dieci a quattro. In Italia la percentuale è stabile, attorno ai quattro su dieci - 39,4 per cento nel 2016 e 40, 6 nel 2017.
Nel frattempo il beau geste di Merkel era costato alla Germania la spaventosa crescita dell’ultra destra, Afd, con il 12 per cento al Bundestag, terzo più grande partito a soli tre o quattro anni dalla fondazione, con la maggioranza relativa a Est, in Brandeburgo (la regione di Berlino), Sassonia, Turingia, Sassonia-Anhalt. È costato alla Germania e all’Europa, ma più di tutti ai due partiti della stessa Merkel, Cdu e Csu: il travaso non è tornato e non tornerà indietro, la destra non è più proibita in Germania, dopo 70 (settanta) anni. Di dirà di Merkel come di Brüning, il cancelliere che assisteva inoperoso alla ascesa elettorale di Hitler, uno sconosciuto. Un cambiamento “epocale” dell’elettorato tedesco, rispetto alla tranquilla, rassicurante, stabile navigazione della Repubblica Federale di Bonn. Che in Italia bizzarramente passa sotto silenzio: Merkel affascina inviati e corrispondenti - sarà il richiamo della Mutti¸ della mammina, l’immagine che di sé ha curato nelle agiografie, anche se di Merkel tutto si può dire tranne che sia o faccia la “mamma”.

La crisi italiana
Sulla Crimea e l’Ucraina ha imposto agli europei le sanzioni all’Urss. Ponendosi anche a mediatrice a Minsk. Dove non ha mediato nulla, per non dispiacere a Putin - la Crimea resta saldamente russa, e mezza Ucraina è a rischio. Fregandosene delle sanzioni dove gli interessi tedeschi sono in ballo. Da ultimo con le importazioni del gas russo a volontà, per conto di tutta l’Europa - una percentuale su trasporto e approvvigionamento.  
Ha assistito indifferente alla crisi del debito italiano – nulla a che vedere col cancelliere Schmidt nel 1976, che pure era ben “tedesco”.  Avviata peraltro per sua imprudenza, o calcolo. Il 18 ottobre 2010, sul lungomare di Deauville, Angela Merkel aveva imposto a Sarkozy, quindi all’Ue, il principio che “gli Stati possono fallire” - la Grecia, ma non solo. Era la ricetta del suo “banchiere” privato Ackermann (il capo, all’epoca, di Deutsche Bank): non ristrutturare il debito (allungare le scadenze, tagliare gli interessi) ma farlo pagare con l’austerità, anche cruenta. A questo fine limitando gli aiuti Ue. Il capo della Banca centrale europea, Jean-Claude Trichet, francese, reagì furioso: “Non vi rendete conto di cosa provocate”. Ma il suo presidente, lo statista emerito Sarkozy, lo mise a tacere.
Al contempo, in una sorta di divisione del lavoro sporco, i consiglieri monetari di Angela Merkel impedivano alla Bce ogni intervento calmieratore, Axel Weber, Jürgen Stark, Jens Weidmann. Tre personaggi influenti, accreditati portavoce della migliore Germania, di saggezza incontestabile e potere decisivo. Anche se il curriculum di Weidmann si limita a una laurea, e ad alcuni anni di servizio nella segreteria di Angela Merkel.
(continua)




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