Contagio a Vigata
C’è
un’epidemia in paese. Anzi al circolo – ex dei nobili, ora dei (pochi)
professionisti. Una “epidemia da duello”: a un certo punto tutti vogliono battersi
in duello con tutti, “il duello era forse contagioso?”.
Un’epidemia
per una causa, come sempre, remota. Il barone Paternò avendo pugnalato a morte
in un albergo malfamato al Pantheon di Roma la sua amante donna Giulia Trigona
di Sant’Elia, grande aristocrazia, nata Mastrogiovanni Tasca di Cutò, maritata
Trigona dei principi di Sant’Elia, perla del salotto Florio a Palermo, dama di
compagnia della regina Elena a Roma, trascurata dal marito per un’attricetta
della compagnia Scarpetta, quella del film di Martone a Venezia, incapricciata
del più giovane aitante barone Paternò di Cugno, tenente di cavalleria, che l’Enciclopedia
delle donne e Tomasi di Lampedusa onorano.
Una
presa in giro, arguta, del codice Gelli, il manuale dei duelli, ora ignoto a
tutti ma di cui si faceva gran parlare ancora nel dopoguerra, prima del Grande
Rinnovamento del Sessantotto – la stupidità è lenta. Camilleri è grande
narratore, in qualsiasi pozzo o ritaglio si cimenti, anche il codice Gelli. Questo racconto gira per di più, a parte il ridicolo dei duelli che da uno arrivano a sette, sulle “palle”.
Di pistola naturalmente, di quelle ad avancarica, non potendosi fare il duello
con l’automatica: ci sono “poche palle”, malgrado l’animosità – la questione sarà
risolta dalle mogli. Niente, insomma. Ma funziona.
Andrea
Camilleri, Il duello è contagioso, “la Repubblica”, pp. 44 gratuito col
quotidiano
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