lunedì 20 settembre 2021

Il mondo com'è (431)

astolfo

Anglisieren – Termine in uso in Germania per tutto il Settecento, per designare la recisione del muscolo depressore della coda di un cavalo, lasciando in attività il muscolo elevatore, per avere cavalli da parata con la coda in elevazione.
 
Boia – Un mestiere, tramandato spesso da padre in figlio, come una qualsiasi specializzazione artigianale, ma non onorevole. Doveva vestire di rosso, nell’esercizio delle sue funzioni, e vivere altrimenti appartato. In chiesa doveva stare in fondo, e spesso gli era rifiutata la comunione, i sacramenti.
Un mestiere esclusivamente maschile. Ma il boia doveva avere un aiutante, detto “tirapiedi”. E la donna poteva fare da “tirapiedi”. In Francia, dove le pene corporali contro le donne dovevano essere inflitte da una dona, detta “bougrelle”, le bougrelle potevano fungere da “tirapiedi”.
 
Canicola – In Germania ha una data – un periodo di tempo: si intendono “giorni della canicola” quelli che vano dal 23 luglio al 23 agosto.  Canicola è la stella più luminosa della costellazione del Cane Maggiore, detta Sirio, che sorge e tramonta col sole nel periodo più caldo dell’anno.
 
Carta – Si fabbricava dagli stracci. D a ultimo col procedimento “olandese”, messo a punto in Olanda nel 1600: in una vasca anulare  di forma ovale un cilindro munito di lame sfilacciava e raffinava gli stracci. Il procedimento olandese dava una carta più bianca e più resistente., perché gli stracci venivano sminuzzati invece che  schiacciati. Ma gli stracci erano scarsi – era l’epoca, e lo sarà ancora a lungo, in cui si puntava sulla durata dei materiali invece che sulla rapida obsolescenza e il continuo ricambio.  Si fecero vari tentativi di produrre carte da altri materiali. Finché, nel 1748, un tessitore sassone depositò un brevetto per una pasta preparata d al legno.
 
Cavalli di Frisia – In tedesco è spanische Reiter-Werke, difesa usata per la prima volta a fine Cinquecento per difendere la città di Groninga dagli attacchi della cavalleria spagnola.
 
Cerauno – Era il fulmine, secondo il Vocabolario della Crusca del 1728, in greco: “Cerauno si è quella pietra, così dinominata in lingua Greca, ed in Latino è appellata fulmine; questa pietra si cade dal cielo, imperciocchè si trova colà, dove gli uomini sono fedìti dalla saetta folgore”. Lì dove il fulmine aveva colpito, si rinveniva il cerauno, la pietra che cade dal cielo.
 
Elettricità – Fu agli inizi uno strumento di tortura, sia la bottiglia di Leyda (1746) che la pila di Volta (1799). La tortura era al tempo legale, come mezzo istruttorio a disposizione del giudice, fino a tutto il Settecento. L’elettricità servì inizialmente come uno dei “tormenti”, per indurre alla confessione (all’autoaccusa).
 
Fiera – Era un luogo di libera frequentazione, un luogo e un tempo di massima libertà, di movimento e di azione. Non si facevano arresti, né esecuzioni,
 
Idrofobia – La paura dell’acqua. La vecchia cura, drastica, si trova nel “De Medicina” di Aulo Cornelio Celso – che collegava l’idrofobia alla rabbia: buttare il paziente in acqua e lasciarcelo finché berrà, la paura cesserà quando cesserà la sete.
 
Napoleone Luigi – Figlio di Luigi Bonaparte, il fratello dissidente dell’imperatore, spesso in disaccordo con lui, ha tentato di riprendersi il Regno dell’Etruria partendo da Bologna – come già Murat da Pizzo? Vi accenna Francis Wey, “Scilla e Cariddi”, p. 75: “Non è trascorso molto tempo (siamo nel 1840, n.d.r.) da quando il principe Luigi Bonaparte l’ha emulato a Bologna nel modo più
fedele, con un uguale numero di soldati e un insuccesso del tutto simile: basta sostituire i nomi”. Ma Napoleone Luigi non fu giustiziato, non fu nemmeno preso prigioniero. Partendo da Firenze, non da Bologna, alla volta dell’Umbria, il 20 febbraio 1830, dopo un abboccamento con Ciro Menotti, accompagnato dal fratello Luigi (il futuro Napoleone III), a Spoleto tentò una scaramuccia con le truppe pontificie. Ma presto si accorse di essere isolato, tra i patrioti repubblicani da un lato, e la Santa Sede e l’Austria dall’altra. Con i napoleonidi, per giunta, tutti contro, timorosi dell’allarme suscitato nelle cancellerie europee dall’eventualità di un ritorno della famiglia.
Napoleone Luigi non desistette, chiese al papa con un proclama la rinuncia al dominio pontificio. Ma la madre Ortensia, che si era subito mossa rincorrendo i due figli, si rivolse al comandante della piazza pontificia di Ancona, generale Armandi, che figurava essere uno dei capi della rivolta. Armandi reagì anch’egli infastidito dalla presenza dei napoleonidi nella sommossa antipapalina,  e allontanò i due fratelli verso Bologna. Da dove Napoleone Luigi e Luigi partiranno poi per la Romagna, il vero campo della rivolta. Qui però Napoloene Luigi morirà presto, a Forlì, il 17 marzo, di rosolia. Morì tra voci di avvelenamento, ma il suo funerale fu l’occasione per una grande manifestazione di patriottismo antipapale.
 
Lumini torinesi – Inventati nel 1779 dal medico torinese Luigi Peyla per l’illuminazione, consistevano in un tubetto di vetro contenente fosforo, che rompendosi incendiava lo stoppino. La scoperta fu celebre per un breve tempo in Europa. Nel 1784 lo scrittore e scienziato tedesco Georg Ch. Lichtenberg, la analizzò, spiegandola al pubblico tedesco, con la nota con la nota “Über der Peylasichen Lichten”.
 
Peloro – Capo Peloro, alla punta dello Stretto di Messina venendo da Nord, si vuole così nominato da Annibale in uno dei tentativi che fece, nei lunghi mesi trascorsi nel Bruzio-Calabria, di passare in Sicilia. S i dice che, vedendosi come chiuso dentro in lago - lo Stretto ad attraversarlo sembra un lazo, chiuso a Nord dal capo Peloro, aggettante dalla Sicilia, e a Sud da Reggio – pensò di essere stato tradito e fece buttare a mare il timoniere. S alvo accorgersi di avere fatto un errore, uscendo dallo Stretto dopo qualche tempo, di deriva e di remi, mentre il cadavere di Peloro galleggiava. E allora alla sua memoria fece erigere un monumento sulla punta Est della Sicilia, dandole così il nome.
 
Carlo Pisacane - Carlo Pisacane, il rivoluzionario pro e duro, ha una biografia romanzesca. Duca d San Giovanni allievo della Nunziatella, l’accademia militare dei Borboni, alfiere dell’esercito borbonico, supervisore della ferrovia Napoli-Caserta, 1840, rinchiuso l’anno dopo nella fortezza di Civitella del Tronto per adulterio – per avere indotto in adulterio Enrichetta Di Lorenzo sua cugina moglie del cugino Dionisio Lazzari. Lascia il Regno borbonico nel 1847, insieme con Enrichetta, incinta, dopo che l’anno prima Lazzari ha tentato di farli uccidere in un agguato teatrale. Inseguiti dalla polizia borbonica, Carlo e Enrichetta finiscono prima a Marsiglia, poi a Londra, infine a Parigi. Dove furono arrestati su indicazione dell’ambasciata napoletana.
Fu un ano molto travagliato, il 1847.  Enrichetta rifiutò i consigli dell’ambasciatore napoletano, di ritornare al domicilio domestico, e rimase con Carlo, I due furono presto scarcerati per un cavillo giuridico: l’adulterio era punito in Francia su denuncia del coniuge legittimo e Lazzari non aveva denunciato Enrichetta, per non venire collegato al tentativo di assassinio. I due non avevano risorse, e Carlo si arruolò nella Legione Straniera, come sottotenente. Subito inviato in Algeria, dove partecipò alle ultime operazioni contro la rivolta dell’emiro Abdel Kader. Enrichetta, bloccata a Marsiglia dal puerperio della figlia Carolina, che morirà dopo la nascita, lo raggiunse ad Algeri. Pochi mesi dopo, avuta notizia dei moti del ’48, del giugno ‘48 a Parigi, Carlo ormai convinto  democratico.
Subito poi Carlo fu con Cattaneo a Milano, nei moti contro l’Austria. Capitano della Quinta Compagnia Cacciatori dei Corpi Volontari Lombardi, fu ferito a un braccio in uno scontro a Monte Nota nel territorio di Tremosine,  Fu quindi volontario, nello stesso anno, nell’esercito piemontese nella Prima guerra d’Indipendenza, finita con la sconfitta. Quindi, a marzo del ’49 è a Roma, con Mazzini, Saffi, Garibaldi, Mameli, commissario di guerra e poi capo di stato maggiore dell’esercito popolare. Enrichetta era “direttrice delle ambulanze”. Molto attiva nella battaglia decisiva del Gianicolo, per curare i numerosi feriti – con molte altre dame, tra cui Cristina Triulzi di Belgioioso. Arrestato a Castel Sant’Angelo, Carlo fu presto liberato, e con Enrichetta ripresero l’esilio, di nuovo a Londra, via Marsiglia.
È a Londra, in questo secondo soggiorno che Pisacane matura l’idea socialista: la rivoluzione nazionale come esito della rivoluzione sociale. Partendo dalla liberazione delle plebi, dal dominio feudale e postfeudale. Un’altra ideologia nazionale, in dissidio da quella mazziniana. Anche per il lato religioso, forte in Mazzini, indifferente in Pisacane, che anzi faceva professione di ateismo: “L’Italia trionferà quando il contadino cangerà spontaneamente la marra con il fucile”.
Nel 1853 è, con Enrichetta (che dà ala luce una seconda figlia, sopravvissuta, Silvia), a Genova. Quindi a Torino. Sorvegliato ora dalla polizia piemontese, per il socialismo, e per i contatti col rivoluzionario russo Herzen. Riprende i contati con vecchi mazziniani, ex giovani patrioti come lui, Nicola Fabrizi, Rosolino Pilo,  Giovanni Nicotera e altri, e progetta con loro l’insurrezione del Sud, in un anticipo dei Mille. In principio anche il loro lo sbarco era previsto in Sicilia, che non aveva digerito il ritorno dei Borbone, dopo l’esperienza costituzionale dell’interregno inglese. Poi si decise per Napoli, sbarcando in un punto non controllato della costa, a Sapri. Il paino doveva partire il 6 giugno 1857, ma fu rinviato perché Rosolino Pilo, che aveva compiti di avanguardia, pese il carico di armi in mare.  Il 25 giugno Pisacane s’imbarcò  per la spedizione fallimentare - nelle settimane intercorse era stato a Napoli, travestito da prete, per sondare gli umori. Uscendone deluso.

astolfo@antiit.eu


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